John Landis è senza ombra di dubbio uno dei registi più audaci di sempre, capace di confrontarsi con ogni genere e ogni sfida a cuor leggero, portandosi appresso sempre un carico di ironia, irriverenza e fantasia unici. Con lui non sono mai esistiti limiti tra i diversi generi, anzi la commistione l'ha sempre fatta da padrone, quasi che per lui spaventare e ridere fossero due facce della stessa medaglia, due strade parallele. Eppure nessun altro film fu più audace e coraggioso, più inquietante e ben più profondo di quanto sembrasse alla mera apparenza, di Un Lupo Mannaro Americano a Londra, uscito esattamente 40 anni fa e diventato un'opera di culto universalmente riconosciuta. E quindi, per l'occasione, eccoci ritornare tra brughiere e tenebre, tra incubi ad occhi aperti e zanne insanguinate per la Londra della Lady di Ferro, seguendo il triste (ed insieme divertente) destino di un mannaro davvero unico.
Il contrasto tra modernità tecnocratica e passato mitologico
Parlare di Un Lupo mannaro americano a Londra significa abbracciare innanzitutto la certezza che Landis volesse decostruire e sbeffeggiare le certezze della società occidentale, che proprio in quell'inizio di anni Ottanta si dimostrava sempre più certa del proprio potere e del proprio benessere, ancorato ad una base tecnocratica. La ragione imperava in ogni ambito dello scibile, in ogni aspetto della società, dopo la sbornia idealistica e sentimentale degli anni della contestazione. Un iter che avrebbe portato al trionfo materialista e yuppie che Landis fu tra i primi a percepire, e che avrebbe posto al centro del suo film più famoso e riuscito: Una poltrona per due. Il cinema fantascientifico, grazie a George Lucas e Ridley Scott, nel giro di pochissimi anni aveva conquistato il grande pubblico e rilanciato la fantasia di un altrove lontano dalla Terra. Il che, immancabilmente, significava anche dimenticare il nostro passato, ancorato nella mitologia, nell'arcano, nel confidare o nel temere forze oscure e misteriose. La Guerra Fredda aveva declinato le paure dell'uomo come risultato della Scienza, ed era l'uomo il mostro per eccellenza ormai, colui che aveva creato la possibilità dell'olocausto nucleare, l'apocalisse non più per mano divina ma per mano umana. I quel 1981 John Landis ci riportò al nostro passato tribale e antico, con tutti gli orrori e le paure che esso conteneva. Per farlo, si connetté a quell'era vittoriana, in cui avevano convissuto sia i primi miracoli della Scienza patrimonio dell'umanità, sia alcuni dei fatti di sangue più inspiegabili e feroci che avevano insanguinato le vie di Londra. Razionalità e visceralità, mito e ragione, scienza e poteri occulti. Fu da tale contrasto che partì Landis, il quale del resto aveva scritto la sceneggiatura di questo mix tra commedia d'horror proprio nel 1969, quando l'uovo metteva il piede su quella Luna di cui per secoli aveva fantastico e scritto.
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Tra decostruzione ed omaggio di genere
Rick Baker ebbe sicuramente un ruolo di prima grandezza nel rendere Un Lupo Mannaro Americano a Londra una gemma del genere horror, grazie a degli effetti speciali talmente incredibili ed avveniristici, che gli fruttarono un meritatissimo Oscar. John Landis, tuttavia, ebbe lo straordinario merito di ottimizzare il grande talento di Baker, mettendo la dimensione visiva ed anche sonora al servizio di un'opera ipnotica, che non dava alcun tipo di riferimento al pubblico e che rifiutava ogni tipo di categorizzazione.
Egli era del resto lo stesso regista che aveva "osato" distruggere la sacralità di un'istituzione come il college americano, e che in futuro avrebbe parodiato ogni pilastro dello storytelling mainstream americano. Qui Landis giocò con il genere, con le sue supposte caratteristiche intoccabili, torturando da un certo punto di vista il pubblico, a cui strappa una risata poco prima di farlo su balzare dalla sedia, mostrandogli uno dei lupi mannari più feroci, crudeli e selvaggi che si fossero mai visti, accompagnato da musica romantica. In quella creatura regnava la più totale bestialità, che rinnegava sia il precedente di Waggner del 1941, così come lo stile modaiolo e assieme classico voluto sempre in quel 1981 da Joe Dante per il suo L'ululato. David che riceve la visita del fantasma di Jack, David che massacra altre vittime innocenti, per poi ritrovarseli da cadaveri in una sala cinematografica, in uno dei dialoghi più assurdi di sempre. Bastano queste tre scene per rendersi conto di quanto complessa e audace fosse l'operazione messa in campo da Landis, che utilizzò ed assieme rifiutò l'epica dell'horror come mero risveglio di un istinto sessuale e predatorio, in favore di un quadro generale più ampio. Qui infatti vi era l'umanità intenta a cercare di nascondere la propria bestialità e la propria violenza, dietro un manto di rispettabilità e di regole classiste. Eppure forse anche questa analisi è in parte fallace, dal momento che in Landis il gioco, l'amore per l'emozione suscitata della settima arte, è sempre stata la cosa più importante. Stupire, divertire, meravigliare anche in questo suo film sono state le parole d'ordine, da ottenere con ogni mezzo anche il più assurdo o apparentemente contraddittorio.
A cena con il lupo e altri lupi mannari del cinema
Un inno alla controcultura giovanile
Il cinema horror deve davvero tantissimo a questo film e al suo regista, visto che dopo quel 1981, mischiare l'horror ad altri elementi cinematografici e narrativi diventò qualcosa di sempre più frequente, che sarebbe stato ripreso anche nella serialità televisiva, basti pensare ad un cult come Buffy l'ammazzavampiri. La straordinaria espressività della sua dimensione audiovisiva, avrebbe poi influenzato profondamente lo storytelling della MTV Generation, partendo dal videoclip di Thriller di Michael Jackson che ebbe proprio nel accoppiata Landis-Baker il motivo principale della sua immortalità. Allo stesso tempo questa pellicola fu in grado di anticipare e mostrare una rivoluzione sociale e culturale che di lì a poco avrebbe interessato tutto il mondo occidentale. Perché in quel 1981, vedemmo anche la repressione di una minoranza giovanile, di una "mostruosità" come sarebbero stati agli occhi di benpensanti e della middle-class, i giovani punk, i rapper, i metallari e gli street artists contro cui si sarebbe scagliata la mano delle repressione governativa, sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna. Non è quindi affatto errato indicare in questo horror demenziale, un inno alla controcultura, a quella sperimentazione che avrebbe reso gli anni 80 uno dei decenni più atipici ed assieme più innovativi, in perfetta controtendenza ad una società sempre più conformista e ferocemente materialista. Certamente fu anche uno dei primissimi racconti cinematografici in grado di farsi contenitore di una dimensione semiotica trasversale all'interno della quale fantasia e realtà andavano a braccetto, tra un omaggio ai reali inglesi, a Shakespeare, alla psicanalisi e a un orgasmica fantasia splatter, in cui però riviveva la leggenda sanguinosa di Jack lo Squartatore. Di certo, senza questo film, non avremmo scoperto come congiungere gotico e comicità, come unire paura e romanticismo con modalità che poi sarebbero state riprese con grande fortuna da Tim Burton.