Un inno allo slow food e alla cucina mediterranea
Di fronte a un film come Focaccia Blues, una voce critica che non voglia risultare particolarmente seriosa può andare incontro, ugualmente, a qualche imbarazzo. Da un lato quello di Nico Cirasola è un prodotto girato senza presunzione, genuino come le specialità culinarie di cui si fa baluardo, tale da assicurarsi sin dalle prime scene la simpatia degli spettatori che ne condividono lo spirito. Ma se uno non si lasciasse conquistare, per così dire, dall'atmosfera? Allora ecco emergere i limiti. Limiti oggettivi, perché quello del regista pugliese è un cinema animato da tanta buona volontà, disinvolto e picaresco, ma anche tremendamente grezzo da svariati punti di vista. Quasi sempre approssimativo nelle riprese, spartano nella direzione degli attori, poco affidabile nel (non) rispettare i piani di produzione, il suo stare sul set si rispecchia poi in scelte di montaggio che amplificano quel senso di amatorialità presente, con differenti gradazioni, in tutte le sue esperienze cinematografiche.
Uomo avvisato mezzo salvato, come dice il proverbio. Avvisato perciò lo spettatore più esigente dei rischi cui va incontro, tocca fare una repentina inversione di marcia, per sottolineare come questo Focaccia Blues riesca ad essere (con tutti i limiti di cui sopra) quanto mai spigliato, divertente, indovinato nelle location e pregevole per la filosofia di fondo che ne ha ispirato la realizzazione. Vi è infatti in filigrana una battaglia culturale condivisibile e assai sentita soprattutto in Italia, quella dello "Slow Food"; un ritorno agli alimenti più sani, naturali, gustosi, da contrapporre evidentemente all'aggressivo proliferare dei McDonald e delle similari catene di fast food, coerentemente poi con quel trend di cui un numero sempre maggiore di persone sente l'esigenza, a partire dagli amanti della cucina mediterranea e da chi è rimasto scioccato, vedendo le immagini dei più recenti documentari sul preoccupante nesso tra abitudini alimentari e obesità negli Stati Uniti. Se questo è lo sfondo, in primo piano vi è l'avventura di un ammirevole artigiano della focaccia, tale Luca di Gesù, la cui attività commerciale pochi anni fa si è scontrata, vincendo a mani basse, col colosso americano creatore del famigerato Big Mac!
Tutto questo nella piccola Altamura, dove le specialità pugliesi hanno saputo rispedire al mittente la dieta non proprio salutare proposta dai fast food. Un po' come il villaggio di Asterix, unico nella Gallia, seppe ricacciare indietro l'invasore romano, stando a quanto recita una spiritosa didascalia posta all'inizio di Focaccia Blues... Il gustoso e in un certo senso esaltante aneddoto del mastro focacciere che sfidò le multinazionali viene introdotto nel film ricorrendo allo stile della docu-fiction, mescolando cioè interviste ai diretti testimoni dell'evento, abitanti del paese dalla parlata spesso irresistibile, ad altri materiali maggiormente orientati verso la finzione. Dei vari siparietti alcuni risultano estremamente godibili, altri un po' prolissi e tutto sommato dimenticabili. Troppo spezzettata, ad esempio, è la parentesi americana col tentativo di farsi ambasciatori della cucina mediterranea da parte di alcuni dei personaggi coinvolti nelle riprese. Mentre simpatica, in fin dei conti, risulta la partecipazione del barese Lino Banfi e del foggiano Renzo Arbore, ritratti in una vivace discussione su usi e costumi dei corregionali. La parte più sostanziosa dell'opera rimane comunque lo stralunato triangolo, caratterizzato ora da un accento western e ora da grottesche derive melò, che pone al centro della disfida le grazie di una procace signora, contesa a colpi di sguardi da un modesto ma sincero paesano e dal misterioso "straniero" (per quel che ne sappiamo, potrebbe anche arrivare da una frazione distante pochi kilometri) giunto ad Altamura cavalcando un bolide giallo, quella macchina sportiva che nelle assolate stradine pugliese sembra calamitare l'attenzione di tutti. Vi lasciamo immaginare l'esito di questa ulteriore contesa, peccato però per alcune lungaggini nello sviluppo narrativo dell'amena storiella, considerando poi che nel discontinuo andamento della pellicola quello in questione rimane uno dei segmenti più riusciti e gradevoli.