Un giorno a Palermo
La Sicilia sul grande schermo ha sempre indossato un vestito macchiato di sangue, perché di sangue ne erano piene le sue strade, teatro di violenza gravida di morte e disperazione. Qui del sangue resta solo l'odore, che vizia l'aria e appesantisce i polmoni, un ricordo vivo che vuole essere vomitato, perché se è impossibile far finta di niente, almeno la prospettiva può cambiare fino a consegnarci una favola nella quale crescere diventa una sfida a un destino comune dalle mani sporche e dove il sussurro innocente dei primi baci combatte il rumore molesto delle grandinate di pallottole.
Miracolo a Palermo è una favola lunga un giorno, il racconto di formazione di Totò (Michele Lucchese), dodicenne dal viso paffuto che ritrova nei suoi incubi il volto degli assassini di suo padre e, pronto ad avere la sua vendetta, gira per la città con una pistola nascosta nei pantaloni. Accanto all'odio trova posto dentro di lui l'amore per Lina, una ragazza di soli quattro anni più grande, ma già simile a una donna. Oltre la sua quotidianità, fatta di piccoli lavori sottopagati per suo zio Sparagna (Tony Sperandeo), furtarelli a ingenui turisti o alla sua stessa mamma, tenere attenzioni riservate alla sua principessa dagli occhi verdi, Totò dovrà scegliere se restare bambino o diventare adulto, lasciando che uno dei due sentimenti che si agitano in lui prevalga sull'altro, annientandolo. Forse per salvare la vita di un bambino già assetato di sangue e liberarlo così dall'odio che gli esplode dentro c'è bisogno di un miracolo e nel mondo delle favole è facile trovarne uno.
Sono tanti i personaggi che circondano Totò e che fanno di Miracolo a Palermo un film corale, morti di fame che tentano di arrivare a fine giornata con qualche soldo in tasca e la pelle salva, che si tradiscono, si minacciano, si scontrano, per poi ritrovarsi a sera attorno alla stessa tavola, ben consapevoli di essere tutti comunque pesci piccoli pronti ad essere stritolati dai tentacoli della piovra che vive nell'ombra. Totò è uno di loro, un bambino goffamente spavaldo che di fronte ai soprusi dei più grandi non conosce altra forma di comunicazione che la minaccia, un discolo che si atteggia ad adulto anche per via della responsabilità che condivide insieme al fratello Rosario (Marco Correnti) di dover trovare i soldi per vivere, ora che sua madre (Maria Grazia Cucinotta) è diventata vedova e da sola non riesce a provvedere ai bisogni della famiglia.
Beppe Cino, allievo e collaboratore di Roberto Rossellini, si allontana dalle coordinate del neorealismo lungo le quali si muoveva il suo maestro, per tentare una strada più poetica e visionaria, una favola che esce dall'imbrigliatura dell'ordinario per sfociare nella meraviglia e che ci restituisce una Palermo piena di colori, grazie alla fotografia luminosa di Adolfo Bartoli. Il film è quasi un tour turistico, per quanto sobrio, di una città festosa e cadente, avvolta nella spiritualità, pullulante com'è di immagini sacre, statue di santi e tabernacoli consacrati alla Vergine Maria. Mentre segue le avventure del piccolo Totò, Cino porta in primo piano lo sfondo e celebra con passione il patrimonio artistico, monumentale e naturale di una città mai così bella.
Un film che ha faticato tanto per trovare una distribuzione e che molto probabilmente passerà inosservato e sarebbe questo un peccato, perché Miracolo a Palermo è un piccolo film che dentro uno dei più oscuri mali dell'Italia lascia brillare una scintilla di speranza.