Recensione Lipstikka (2011)

Un dramma umano ben interpretato dalle protagoniste, segnate da un episodio del loro passato. Splendida fotografia che si divide tra passato e presente con colori caldi e toni desaturati, e tra sensualità e dramma.

Un gioco da ragazze

Ancora una storia al femminile, alla 61esima edizione del Festival di Berlino, mai come quest'anno particolarmente sensibile alle tematiche che gravitano attorno al pianeta donna, anche quello omosessuale, con pellicole come The Mountain, Romeos, Tomboy, Service Entrance e altre ancora.
Con il suo Lipstikka, il canadese Jonathan Sagall - qui al suo secondo lungometraggio, dopo Kesher Ir, che fu presentato proprio alla Berlinale nel 2000 - racconta la storia di Lara, una donna palestinese che vive a Londra da anni, e ormai si è abituata ad un'esistenza fin troppo tranquilla accanto a suo marito e suo figlio, in una bella casa negli eleganti sobborghi della città. Nel suo passato tuttavia, c'è qualcosa di oscuro, che non potrà mai dimenticare e con il quale tornerà a confrontarsi quando ritroverà Inam, la sua amica del cuore, con la quale ai tempi dell'adolescenza aveva un legame speciale, dalla spiccata natura sessuale. Inam, che oggi è una donna affascinante ma fragile, era stata una ragazzina provocante e curiosa, mentre la sua amica Lara era molto più timida e riservata, e viveva le avventure di Inam con altri ragazzi con un sentimento di gelosia.

La sera in cui decidono di andare al cinema nella città vecchia di Gerusalemme, trattenendosi ben oltre il coprifuoco, incontrano due militari palestinesi. A questo punto i ricordi di ciò che accadde si disgregano in due punti di vista differenti, destinati tuttavia a lasciare ugualmente il segno in entrambe. Lipstikka è fondamentalmente un dramma umano in cui la componente politica ha un ruolo più secondario rispetto a quanto si potrebbe immaginare e nel quale i dettagli sulle vite delle due protagoniste vengono svelati poco a poco, in un crescendo di tensione che si protrae fino alla fine.
La bella fotografia di Andreas Thalhammer e Xiaosu Han divide passato e presente tra colori caldi e immagini dai toni desaturati, eppure luminosi. Allo stesso tempo la macchina da presa accarezza con sensualità visi e corpi delle protagoniste, ad esempio mettendo in risalto le labbra carnose di Inam adolescente, ma ne racconta anche i drammi, soffermandosi sullo sguardo di Lara, velato di lacrime.
Le quattro protagoniste della storia, sia le due ragazze che le adulte, interpretano in modo convincente i loro ruoli: Ziv Weiner è la timida Lara, mentre la giovane Moran Rosenblatt è la solare e incontenibile Inam adolescente, la più brava di tutte, capace di recitare la stessa sequenza interpretandola diversamente. Nel presente invece, Lara ha lo sguardo intenso e i lineamenti di Clara Khoury, già vista ne La sposa siriana e nel drammatico Forgiveness, di Udi Aloni, già presentato a Berlino nel 2006, mentre Inam è interpretata da Natali Atiya, qui nel ruolo di una donna fragile e complessa.

Movieplayer.it

3.0/5