Un dubbio da Oscar
Bronx, 1964. L'assassinio del presidente Kennedy ha lasciato gli Stati Uniti nello sgomento, in un clima di incertezza dal quale i cittadini stentano ad uscire. Il nuovo presidente, approfittando della grave crisi politica e dello smarrimento generalizzato, tenta di scuotere il paese promuovendo le importanti e rivoluzionarie riforme che aveva sempre sostenuto con la sua campagna, una su tutte la Legge sui Diritti Civili contro le discriminazioni razziali. Sono anni complicati in cui dalla fiducia assoluta nell'establishment e nelle gerarchie di qualunque tipo, si passa pian piano a mettere in discussione ogni cosa, persino la religione organizzata. Dal canto suo la Chiesa cattolica sta tentando in ogni modo di rimodernarsi, di ammorbidire i suoi rigidi paradigmi e di aprirsi con i fedeli allo scopo di seguirli ed accompagnarli in un'epoca assai delicata.
Un'apertura non vista di buon occhio da sorella Aloysius Beauvier (Meryl Streep), la rigida preside della scuola religiosa di St. Nicholas, nel Bronx, che con fermezza e inflessibilità tenta in ogni modo possibile di mantenere intatti i metodi educativi e gli insegnamenti che da sempre caratterizzano il suo istituto. Per questo tra lei e il carismatico padre Flynn (Philip Seymour Hoffman) non corre affatto buon sangue. I sermoni del parroco sono sempre affollatissimi di fedeli, i ragazzi gli sono tutti molto affezionati, specialmente Donald Miller, uno dei chierichetti, l'unico ragazzo che non si è inserito nella scuola e che è continuamente vittima di soprusi da parte dei compagni per via del colore della sua pelle. I venti di cambiamento soffiano infatti anche alla St. Nicholas che ha accettato il primo studente nero della sua storia. Quando l'ingenua sorella James (Amy Adams) condivide con la preside gli atroci sospetti che da qualche giorno la assalgono riguardo l'ambigua relazione tra il parroco e il ragazzino, sorella Aloysius prende la palla al balzo per iniziare quella che a tutti gli effetti si rivelerà una vera e propria guerra contro padre Flynn. Con nient'altro in mano a parte la sua convinzione morale e la sua esperienza di vita vissuta, sorella Aloysius affronterà il suo superiore senza nessuna paura. Disposta a tutto pur di allontanarlo dalla parrocchia, persino a mettere a repentaglio il buon nome della sua scuola e delle istituzioni ecclesiastiche, la preside dovrà scendere a compromessi con se stessa e con i suoi voti di fede, ma alla fine costringerà l'uomo a fare i conti con la propria coscienza. D'altronde ogni passo verso il perseguimento della verità costringe ad allontanarsi un passo da Dio.
John Patrick Shanley, scrittore nato nel Bronx e vincitore di un Oscar per la sceneggiatura di Stregata dalla luna, torna a scrivere e dopo diciotto anni anche a dirigere per il cinema adattando per il grande schermo quella che senz'altro è la sua opera più importante. Parliamo de Il Dubbio, la piéce teatrale con cui nel 2005 ha vinto il Pulitzer per la drammaturgia e che ha riscosso un grandioso successo in tutto il mondo arrivando anche in Italia, diretta da Sergio Castellitto e adattata dalla moglie Margaret Mazzantini, e in Francia portata in scena niente meno che da Roman Polanski.
Il passaggio dal teatro al cinema non è sempre semplice, ma può diventarlo (e in questo caso accade) quando a dirigere entrambe le opere è lo stesso autore e ad interpretare i personaggi protagonisti di una storia così dolorosa sono attori del calibro di Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman. Al centro del film, più che dell'opera originale, non la pedofilia nelle istituzioni religiose bensì il dubbio. Il vento del cambiamento che spazza violentemente le foglie del cortile e le certezze di chi fino a quel momento non avrebbe mai creduto che il mondo potesse andare in una direzione così sbagliata. Un vento di rinnovamento e insieme di negatività che insinua il dubbio nella sua definizione più semplice e pura, quello che non fa dormire di notte, quella sensazione che allo stesso modo della certezza aiuta a non mollare, a non dare tutto per scontato, a lottare per il conseguimento di una verità che in mancanza di prove non è mai assoluta ma sempre relativa. Una verità che può essere assai meno consolatoria del dubbio stesso.
Il dubbio (Doubt in originale) è un grande film, di quelli che all'uscita dalla sala ti lasciano quella strana sensazione di appagamento, quella rara consapevolezza di aver assistito a qualcosa di più di un semplice spettacolo, a qualcosa che va oltre la messa in scena e la recitazione. E' un pugno nello stomaco, uno di quei film capaci di rimanerti dentro anche a distanza di anni, di quelli che non riesci a farti scivolare addosso. Cosa lo rende straordinario? I dialoghi, che ruotano dal primo all'ultimo minuto intorno al rigore visivo oltre che narrativo, nonché intorno alla sfida psicologica tra i personaggi; e poi il gioco tra luci ed ombre, tra bugie e false verità, i castigati costumi e la regia vecchio stile e senza fronzoli di Shanley, che indugia su volti e gesti che parlano da soli e si avvale della straordinaria presenza scenica di attori tra i migliori in circolazione. I confronti faccia a faccia tra i protagonisti riportano ad un cinema d'altri tempi, come i loro sguardi e la voce strozzata in gola di un'attrice, Meryl Streep, per la quale non ci sono più aggettivi capaci di renderle il giusto merito. Quante attrici sarebbero in grado di interpretare nello stesso anno un film spensierato come Mamma mia! e poi di catapultarsi anima e corpo in un dramma psicologico di questa portata? Nessuna.
Ne Il dubbio non ci sono risposte, solo domande e tante, tantissime parole, come in ogni trasposizione dal teatro al cinema. Ma nessuna di esse è mai fuori posto. Non ci sono certezze per lo spettatore, solo la voglia di condurlo in un viaggio nei meandri della coscienza umana raccontando una storia universale in un momento in cui il mondo sembra essere tornato indietro di cinquant'anni, in cui non ci sono più mezze misure, in cui tutti noi ci troviamo spesso a dover lottare contro le nostre convinzioni più profonde, in cui l'opinione pubblica è fomentata dal gossip, da sospetti infondati costruiti sul nulla e propende oggi per la colpevolezza e un minuto dopo per l'innocenza a spada tratta. Quando tutto sembra chiaro, Shanley cambia le carte in tavola, sposta il tiro, annebbia nuovamente la vista con elementi nuovi e apparentemente più concreti, ma niente è mai limpido, il dubbio rimane e corrode fino alla fine, una fine angosciosa che anziché illuminare col bianco della neve che scende nel giardino della scuola, oscura anche l'unico barlume di verità che sembrava esser venuto fuori.Tutto grazie principalmente a lei, un'interprete unica e inarrivabile che ad oggi non conosce rivali. E se la famosa statuetta dorata fosse realmente un premio assegnato con merito, essa avrebbe sin da ora, inciso sopra a fuoco, il nome di Meryl Streep. Almeno su questo non vi è ombra di dubbio.
Movieplayer.it
5.0/5