Hanno sguardi attenti e penne sarcasticamente affilate, i cineasti francesi. Scrutano lo scorrere dei tempi traducendolo in commedie eleganti, ma mai altezzose, o saccenti. I mondi che attraversano lo spazio cinematografico degli autori francesi sono riflessi mai abbiglianti, ma perfettamente ancorati allo spazio umano e terreno che vanno a raccontare. Sono microuniversi di ordinaria fattura, che prendono in prestito le difficoltà, e le fragilità dei propri protagonisti, per elevare un caso particolare a denunce di matrice universali. Un atto declamatorio compiuto con ironia sopraffina, e una scrittura che si immerge totalmente nella quotidianità reale, intessendo un abito tanto unico quanto facilmente indossabile da tutti, perché costruito su un cartamodello di lotte personali vere, possibili, recuperabili all'interno di nuclei domestici lontani dalla luce della ribalta, e da quell'ostentata perfezione raccontata nell'universo hollywoodiano.
Come sottolineeremo in questa recensione di Un anno difficile (dal 30 novembre al cinema con I Wonder Pictures), la coppia di registi composta da Olivier Nakache ed Éric Toledano (già autori dell'acclamato Quasi amici) torna a sfruttare il potere di un duo protagonista per moltiplicare non solo le possibilità di risata, ma anche della denuncia sociale che permane nello stato più profondo di ogni raccordo di montaggio. Un quadro di umanità, dipinto con i colori dell'ironia e dei disagi sociali, tra manifestazioni contro i cambiamenti climatici ed esistenze vissute all'ombra della povertà.
Un anno difficile: la trama
Bruno e Albert non si conoscono ma entrambi hanno una cosa in comune: la loro vita sta andando alla deriva, anche a causa di un forte indebitamento. Bruno sta perdendo la casa e la moglie non lo vuole più vedere. Albert dorme nell'aeroporto dove lavora e recupera degli oggetti sequestrati cercando di rivenderli. Entrambi si illudono che il loro debito possa essere estinto dalla Banca di Francia con l'intervento di Henri Tomasi che fa parte di un'associazione specializzata nel sovraindebitamento. Nel frattempo iniziano a frequentare un gruppo di attivisti ecologisti che, con azioni dimostrative, cercano di fermare il consumismo compulsivo e lanciano l'allarme sul futuro climatico. Tra loro c'è anche Cactus, di cui Albert s'innamora. Ma sia lui che Bruno cercano di approfittare delle loro manifestazioni pubbliche per trarne un profitto personale.
Lo schermo riflettente mille, reali, esistenze
Camminano, parlano, si stagliano fieri e orgogliosi al centro della cornice cinematografica, i protagonisti di Un anno difficile. In ogni movimento, in ogni parola lanciata con forza sarcastica, o sospirante remissività, un'aura di pregnante verosimiglianza circonda ogni uomo e donna immortalata dalla cinepresa di Olivier Nakache ed Éric Toledano. E così, da sostanza bidimensionale di fattura cinematografica, Albert, Bruno, Valentine e il resto di questo conglomerato cittadino si tramutano in una materia umana fatta di carne e passione, anima e fragilità.
Non solo risultati di processi fantasiosi, ognuno di loro viene chiamato in causa per farsi portavoce di lotte interiori e battaglie sociali all'interno di un mondo che scorre, vive e schiaccia con forza e un'inflazione in aumento cittadini sempre più indebitati, o terrorizzati dal cambiamento climatico. Il microuniverso parigino di Un anno difficile si trasforma magicamente in carta carbone di altri conglomerati urbani perfettamente adattabili alle difficoltà umane e alle sfide quotidiane che affliggono le versioni reali di quelli portati sullo schermo da Nakache e Toledano. Eppure, non vi è nessuno sbaffo di falsa retorica, o presuntuosa ruffianeria tra i raccordi di montaggio; ogni evento, o singolo momento, scorre con naturalismo e credibilità, coinvolgendo con (a volte troppa) semplicità i propri spettatori.
L'egoistico senso dell'essere una comunità
È il senso di umanità che arranca, che lotta insieme e cade, per poi rialzarsi sempre con il sorriso sulle labbra, quello di Un anno difficile. Una fiumana sospinta da sensibile umorismo e alacre ironia, che i due autori prendono in prestito dalla propria quotidianità per riversarla in formato cinematografico. Una contraddizione continua, quella di chi - come i due protagonisti - tenta di sopravvivere all'indebitamento generale, e alle difficoltà di arrivare a fine mese, arrivando addirittura a sfruttare a proprio piacimento la partecipazione a manifestazioni disturbatrici di matrice ecologica. Uno slancio di profondo egoismo, quello che permea l'incipit del film, e che lascia pian piano spazio a un profondo senso di comunità. Uno scarto reso possibile soprattutto da un giusto equilibrio di riprese, capaci di passare da inquadrature ristrette, che isolano i propri personaggi dal resto del mondo, come satelliti perdutisi nell'immenso universo, a campi più ampi che esaltano il senso di umanità dilagante, sottolineando le divergenze, evidenziando la potenza dei legami.
Prestare il proprio corpo per dare voce al proprio pubblico
Ma nessun saggio sull'essere umano (e in particolare sulle sue difficoltà quotidiane) in formato cinematografico avrebbe la stessa pregnanza se non vi fosse un comparto attoriale capace di restituire tutto lo tsunami interiore che sconvolge e vive all'interno dei propri personaggi. La scrittura può avvalersi, dunque, della penna più alacre e pungente, il montaggio giocare di dinamismo e di un perfetto equilibrio ritmico (gli usi ironici dei ralenti giocano perfetto al ribaltamento parodico dei momenti circostanti), ma senza un'interpretazione espressiva (mai mai caricata) come quella di Jonathan Cohen (Patrick) e Pio Marmaï (Albert) nulla si vestirebbe di verosimiglianza e umana immedesimazione. Grazie al proprio reparto attoriale, Un anno difficile da saggio in parole di una situazione economico-sociale in precario equilibrio, si fa denuncia diretta che colpisce al cuore, in un processo affettivo reso possibile da attori che si svestono della propria individualità, per farsi presta-corpi di realtà possibili che (r)esistono con audacia e coraggio al di là dello schermo.
E se il lieto fine è solo un dolce poco equilibrato nel proprio sapore, lasciando sul palato un retrogusto di amarezza, a insinuarsi nello strato epidermico più profondo dei propri pescatori è un senso di speranza, di sollievo, di puro ottimismo, facendoci credere che qualcosa possa davvero cambiare, e che quell'anno così difficile che ci aspetta dal 1974, possa diventare prima o poi un anno se non meno difficile, almeno un po' più facile.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Un anno difficile sottolineando come ancora una volta il duo di cineasti composto da Olivier Nakache ed Éric Toledano riesca a parlare delle difficoltà del nostro quotidiano insignendolo di umorismo e irresistibile comicità. Uno sguardo umano, ma mai retorico, compiuto con semplicità, così da poter colpire in maniera democraticamente egualitaria i propri spettatori, lasciando nello spazio di un'inquadratura lasciti del proprio quotidiano.
Perché ci piace
- La capacità di parlare delle difficoltà quotidiane nella nostra società con estrema leggerezza.
- Le performance del comparto attoriale.
- L'atemporalità dell'opera, che parla di un anno difficile senza specificare quale.
- Il senso di comunità e di calante egoismo dato dall'uso delle inquadrature.
- Il personaggio di Henri, raccoglitore umano delle nostre contraddizioni.
Cosa non va
- L'indugiare su certi passaggi (come quello in tribunale) che frenano la scorrevolezza dell'opera.