In circostanze normali, questa recensione di Un altro giro avrebbe visto la luce già nella primavera del 2020, dopo la proiezione di gala al Festival di Cannes, la cui 73ma edizione doveva includere anche la nuova fatica registica del danese Thomas Vinterberg. Così non è stato, causa pandemia, e così la partecipazione cannense si è limitata al famigerato bollino, con il logo della kermesse a simboleggiare un'edizione fantasma. Il debutto vero e proprio è invece avvenuto a Toronto (virtualmente) e San Sebastián (in presenza), con altre tappe significative come la Festa del Cinema di Roma prima di approdare in zona premi, con il trionfo alla notte degli Oscar meno di un mese fa. Una vittoria che si aggiunge al più che discreto successo di pubblico in patria, dove ha registrato il miglior primo weekend di sempre per un film drammatico nazionale, nonostante le restrizioni legate all'emergenza sanitaria. Successo che il film spera di replicare a livello internazionale, uscendo ora in Italia, in sala, pronto ad accogliere spettatori che hanno voglia di una bella botta di vita sullo schermo.
L'ebbrezza sperimentale
Un altro giro (il cui titolo originale danese è il più schietto Druk, ubriaco) è la storia di quattro amici, tutti insegnanti in un liceo della capitale danese: Martin (Mads Mikkelsen), Tommy (Thomas Bo Larsen), Peter (Lars Ranthe) e Nikolaj (Magnus Millang). Sono tutti complessivamente insoddisfatti, a causa degli studenti poco motivati, e sfogano le loro frustrazioni in occasione di una cena per festeggiare i quarant'anni di Nikolaj. In quel momento si mettono anche a discutere le teorie dello psichiatra norvegese Finn Skårderud (che esiste veramente), per l'esattezza l'ipotesi che un tasso alcolico costante nel sangue intorno allo 0,05% possa migliorare la produttività e la vita in generale. Martin, che è nel bel mezzo di una crisi coniugale, si interessa alla cosa e i quattro decidono di testare la teoria, imponendo due regole: mai avere un livello sotto lo 0,05%, e non bere dopo le 20. Dopo un po' cominciano effettivamente a sentirsi più realizzati, ma la loro felicità non corrisponde per forza a quella delle persone con cui interagiscono. E se questa ritrovata gioia portasse a situazioni più spiacevoli?
Thomas Vinterberg: "Serve ben più di una pandemia per cambiare il mondo"
Bere per vivere
La sceneggiatura si basa su un testo teatrale del regista Thomas Vinterberg, e inizialmente voleva essere un ritratto della cultura alcolica in Danimarca, in particolare tra i giovani: nell'adattare il testo per lo schermo il regista si è avvalso della consulenza della figlia Ida, allora adolescente, ed era previsto che lei interpretasse la figlia di Martin. Questo però non si è potuto verificare, perché la ragazza è morta in un incidente d'auto quattro giorni dopo l'inizio delle riprese, spingendo il padre a trasformare il progetto in un inno alla vita. La presenza di Ida si fa sentire nelle scene scolastiche, girate nella sua vera classe, e nella dedica che rende esplicito l'omaggio alla giovane (menzionata da Vinterberg anche quando ha ritirato l'Oscar per il film internazionale). È un'esperienza agrodolce, dove l'euforia (soprattutto nella magnifica sequenza finale, usata per il marketing e incentrata sulle abilità da ballerino di Mads Mikkelsen, che prima di darsi alla recitazione ha studiato danza) si alterna a momenti di tristezza, ma senza mai perdere di vista un certo ottimismo di fondo, inserito già nella premessa: i quattro amici bevono - il giusto, pensano loro - per aumentare la positività sul lavoro e in casa.
È un lungometraggio esplicitamente, dolorosamente personale, come sempre quando Vinterberg lavora in patria anziché concedersi a irrisolte operazioni in lingua inglese. A otto anni da Il sospetto, che portava alle estreme conseguenze un elemento della normale quotidianità (i bambini mentono, il più delle volte senta intenti nefasti), il regista ritrova Mikkelsen (e Bo Larsen, altro grande volto del cinema danese contemporaneo) per una storia in cui sono gli adulti a mentire a se stessi, convinti di potersi migliorare tramite leggera ubriachezza giornaliera. È un percorso a suo modo coerente, all'interno della poetica del cineasta, ed è forse anche per questo motivo che i più hanno accolto con scetticismo la notizia che sarebbe in cantiere un remake americano, con Leonardo DiCaprio nei panni di Martin. Un rifacimento che sulla carta ha poco senso soprattutto sul piano culturale (negli USA il consumo di alcolici tra minorenni non è diffuso quanto nei paesi nordici), e che per forza di cose non avrà quella spinta intima che c'è dietro ogni momento di inebriata e sofferente sincerità. Ma questo è ancora tutto in forse, e del doman non v'è certezza: per ora, chi vuol esser lieto sia, insieme a Martin in quella che è una danza per la vita, lontana da ogni dispiacere.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Un altro giro, film molto personale che ha fruttato a Thomas Vinterberg un Oscar spiegando ancora una volta come si tratti di un ritratto agrodolce del presunto nesso tra alcool e felicità, affidato alla potenza di un cast formidabile guidato da un grandissimo Mads Mikkelsen. Da antologia il sublime finale.
Perché ci piace
- Mads Mikkelsen guida un cast eccelso.
- Il tono agrodolce è compatibile con l'argomento trattato.
- La sequenza finale è strepitosa.
Cosa non va
- Visione sconsigliata a chi potrebbe riconoscersi nei comportamenti meno positivi dei quattro protagonisti.