Stanotte mamma mi ha mostrato una foto: mancava la metà. Non ho voluto dirglielo, ma alla mia vita manca quello stesso pezzo.
È un perfetto punto d'equilibrio fra postmodernismo e classicità a caratterizzare il tredicesimo lungometraggio di Pedro Almodóvar, Tutto su mia madre: un connubio dichiarato fin dal titolo dell'opera e rimarcato già nella scena d'apertura. Todo sobre mi madre riprende infatti la traduzione letterale di All About Eve ("Tutto su Eva"), il capolavoro di Joseph L. Mankiewicz del 1950, noto in Italia come Eva contro Eva; ed Eva contro Eva è proprio il film che, in una delle prime scene di Tutto su mia madre, la protagonista Manuela Echevarria e suo figlio adolescente Esteban si accingono a guardare in televisione. Nel frattempo, il ragazzo prende appunti su una storia autobiografica intitolata Tutto su mia madre, che però non riuscirà mai a portare a termine: all'indomani, nel giorno del suo diciassettesimo compleanno, Esteban morirà dopo essere stato investito da un'auto, mentre rincorreva il taxi dell'attrice Huma Rojo per ottenere un suo autografo.
Le donne secondo Pedro Almodóvar
Che Pedro Almodóvar abbia conservato il gusto per il postmodernismo è evidente già dalla catena di rimandi e citazioni che, in maniera più o meno evidente, fa da corredo ai momenti iniziali di Tutto su mia madre: dal richiamo a Eva contro Eva (che tornerà anche in seguito, ma in forma implicita) al fatale incidente fuori dal teatro, che recupera l'analogo episodio alla radice de La sera della prima di John Cassavetes, altro film in cui la recitazione costituisce una chiave di lettura della realtà e di se stessi. Stavolta, però, quel distacco ironico che contrassegnava molti titoli almodóvariani degli anni Ottanta, da Che ho fatto io per meritare questo? a Donne sull'orlo di una crisi di nervi, viene colmato quasi del tutto. A partire dalla tragedia della morte di Esteban, Tutto su mia madre si ammanta di un'empatia tale da renderlo il più 'classico' fra i melodrammi diretti dal regista castigliano fino a quel momento; un aspetto che, fra l'altro, contribuirà in misura determinante all'immensa popolarità del film.
Uscito in Spagna il 16 aprile 1999, Tutto su mia madre registra due milioni e mezzo di spettatori in patria, attestandosi come il maggior successo di pubblico di Pedro Almodóvar dai tempi di Donne sull'orlo di una crisi di nervi; un mese più tardi la pellicola approda in concorso al Festival di Cannes, aggiudicandosi il premio per la miglior regia. Da lì in poi, la consacrazione internazionale sarà pressoché immediata: Tutto su mia madre riporta ottimi incassi in tutto il mondo (America inclusa) e si aggiudica decine di riconoscimenti, tra cui due BAFTA Award, il Golden Globe e il premio Oscar come miglior film straniero. La vicenda di Manuela, l'infermiera magnificamente interpretata dall'attrice argentina Cecilia Roth (diretta di nuovo da Almodóvar dopo ben quindici anni), rielabora temi e suggestioni appartenenti al cinema classico hollywoodiano: dai woman's film di George Cukor al mélo alla Douglas Sirk, passando per la commedia brillante degli anni Cinquanta (con tanto di strizzata d'occhio a Come sposare un milionario).
Le donne nel cinema di Pedro Almodóvar: madri, mogli e amanti sull'orlo di una crisi di nervi
La vita, il teatro e la bontà degli sconosciuti
Ma al di là dello spiccato citazionismo, da sempre un marchio di fabbrica del regista, Tutto su mia madre assume una carica emotiva in grado di conferire autenticità e concretezza alla sofferenza della protagonista, così come alle sfide a cui andranno incontro lei e le sue comprimarie: Agrado (Antonia San Juan), prostituta transessuale dotata di un incontenibile vitalismo; Rosa (Penélope Cruz), giovane suora dedita ad aiutare il prossimo e in attesa di un figlio; e la star del palcoscenico Huma Rojo (Marisa Paredes), che presta il volto a Blanche DuBois in un allestimento di Un tram che si chiama Desiderio. Il dramma di Tennessee Williams, ideale trait d'union fra il passato di Manuela (che da giovane aveva recitato nei panni di Stella) e il suo presente, assume un ruolo preponderante nell'intreccio del film, in un emblematico gioco di specchi fra la vita e il teatro: Manuela, che si introduce nell'esistenza di Huma come la Eve Harrington di Eva contro Eva, comincia a riconciliarsi con il proprio passato tornando a interpretare Stella; mentre Huma, come Blanche, è una "persona tutta sbagliata" che confida nella "bontà degli sconosciuti".
Mai come in questo caso, nel cinema di Pedro Almodóvar, il senso di solidarietà e di comunità femminile è dunque al centro di un'apologia tenera e appassionata, nella cornice di un microcosmo in cui i maschi sono confinati al rango di fantasmi: lo è Esteban, la cui assenza grava sull'intero racconto, e lo è l'ex-compagno di Manuela, che ha cambiato genere sessuale diventando Lola ed è l'invisibile oggetto della ricerca che condurrà la donna da Madrid a Barcellona. In un'opera in cui dietro ogni svolta narrativa si annida un elemento tragico, e in cui il concetto di amore sembra inscindibile dalla morte, Almodóvar raggiunge una miracolosa coesione di toni, in un amalgama fra pathos e leggerezza che non rinuncia in alcun caso ad aprirsi alla speranza: che si tratti di ridefinire la propria identità ("perché una è più autentica", ci ricorda Agrado nel suo memorabile monologo, "quanto più somiglia all'idea che ha sognato di se stessa") o di celebrare una (ri)nascita in grado di sublimare il dolore nella prospettiva di un futuro più luminoso.