Recensione Thank You for Smoking (2005)

E' satira graffiante, quella che Jason Reitman (figlio d'arte del più noto Ivan) propone in questo Thank you for smoking: al centro del film ci sono i guasti di una società che basa sull'apparenza gran parte dei suoi parametri valutativi.

Tutto fumo... e molto arrosto

Nick Naylor è un uomo di successo, che incarna in sé il concetto (inteso in senso molto meno progressista del solito) del "potere alla parola": bisogna avere un'abilità oratoria non indifferente, d'altronde, per convincere la gente che i danni del fumo siano in fondo trascurabili. Nick è il rappresentante televisivo dell'Accademia degli Studi sul Tabacco, un'associazione nata per contrastare le ricerche dell'American Lung Association, che mettono in guardia gli americani dai rischi del fumo: la sua continua presenza nei talk-show unita alla sua brillante dialettica lo rendono un uomo molto popolare, amato o odiato ma comunque sulla bocca di tutti. Ma Nick vive anche un problematico rapporto con il figlio dodicenne Joey, incuriosito dall'attività del padre e desideroso di apprendere da lui i segreti del mestiere: il conflitto tra il suo ruolo pubblico di sostanziale imbonitore e quello privato di genitore creerà all'uomo non pochi dubbi.

E' satira graffiante, quella che Jason Reitman (figlio d'arte del più noto Ivan) propone in questo Thank you for smoking: al centro del film ci sono i guasti di una società che basa sull'apparenza gran parte dei suoi parametri valutativi. Cinicamente, il protagonista ammette che il suo mestiere non è diverso da quello di un avvocato che difende un criminale anche quando è consapevole della sua colpevolezza: è la dialettica l'arma per far accettare all'interlocutore posizioni in apparenza indifendibili, per far passare tra il pubblico concetti altrimenti difficilmente proponibili. Tutto diventa accettabile, logico, condivisibile se è espresso nel modo giusto: questo non vale solo per la campagna pro-tabacco, ma anche per l'informazione e la politica. "Esponi una tesi, argomentala in modo convincente, e non sarai mai in errore", dice Nick a suo figlio: consiglio che il ragazzino segue alla lettera nello svolgimento di un tema che invita a esporre i motivi per cui il governo statunitense sarebbe "il migliore del mondo".

Ma il cinismo di Nick non potrà non riversarglisi, presto o tardi, contro: in un mondo di squali, l'uomo dovrà accettare di non essere il più grande né il più famelico, e le regole del suo gioco dovranno per forza, in qualche modo, cambiare. I dialoghi del protagonista con il figlio (valorizzati dall'abilità di Aaron Eckhart e del giovane Cameron Bright) sono forse i momenti più riusciti del film, sospesi tra la disarmante curiosità del ragazzino e gli equlibrismi sempre più "a rischio" del genitore. La sceneggiatura, ispirata all'omonimo romanzo di Christopher Buckley, dissemina la pellicola di sano e divertente cinismo, con uno humour che porta sovente a sorridere a denti stretti: il trio dei M.O.D (Merchants of Death) di cui fa parte il protagonista insieme ai suoi due amici Polly e Bobby (propagandisti rispettivamente degli alcolici e delle armi da fuoco), i malati di cancro esibiti nei talk-show come armi da usare contro l'avversario, un senatore fanaticamente salutista, un gruppo terroristico antifumo con singolari metodi di lotta, sono ottimi esempi di questa tendenza all'umorismo sopra le righe dello script. Nessuno dei due "partiti", in fondo, ne esce pulito o innocente, in un'"arena" in cui ogni mezzo sembra essere valido per l'annientamento dell'avversario: e dalla diatriba sul fumo alla politica nazionale statunitense il passo si rivela, così, decisamente breve.

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3.0/5