Abbiamo amato da subito Tutto chiede salvezza, la serie di Francesco Bruni che dall'ottobre scorso è arrivata su Netflix: perché è una serie delicata, poetica, inclusiva, che parla di disagio mentale non diventando mai opprimente, ma, al contrario, rimanendo dolce, calda e avvolgente. La storia ormai la saprete. Un ragazzo, Daniele (Federico Cesari), dopo una crisi psicotica si risveglia nella camerata di un ospedale psichiatrico, insieme a cinque compagni di stanza con cui pensa di non avere niente in comune. I medici sembrano dirgli chi è, ma lui sente di non essere quello che dicono. La serie è stata un successo. Che è stato consacrato da un premio importante, il Ciak D'Oro per la migliore serie italiana. È un premio dato dal pubblico: la serie ha ricevuto qualcosa come 660mila voti. È un riconoscimento che consacra la serie proprio nel momento in cui è stato confermato l'arrivo della stagione 2 su Netflix. La vedremo probabilmente nel 2024, ma sarà un piacere ritrovare dei personaggi a cui siamo tutti affezionati.
Tutto chiede salvezza è uno "slow burner"...
Abbiamo parlato con Francesco Bruni, regista e sceneggiatore di Tutto chiede salvezza con Daniele Mencarelli, Francesco Cenni e Daniela Gambaro, di quale fosse il segreto del successo di questa serie. "Il premio ci ha sospeso molto" ci ha risposto Bruni. "Ci sono state diverse fasi di selezione: eravamo in 15, poi il gruppo si è ristretto. Ho pensato che prima o poi saremmo usciti, combattevamo contro serie molto popolari, generaliste, anche all'ennesima stagione. Io non me l'aspettavo. È stata la testimonianza di un interesse che è stato crescente, che ha sorpreso gli stessi analisti di Netflix: siamo partiti discretamente, non benissimo, ma la tenuta è stata sorprendente e crescente. Siamo sati sette settimane in top ten: a parte Mare fuori, che non è un prodotto originale Netflix, credo che sia un record. Si parla di grande successo quando si sta 3-4 settimane in top ten. E quindi, in un report successivo ci hanno fatto vedere la curva ed è sorprendente". "Quello che sento ancora adesso è che in molti la stanno scoprendo ora", continua: "È uno slow burner, un termine che si riferisce a un prodotto che brucia a lungo. E questa ciliegina sulla torta è coincisa con il fatto che hanno deciso di confermare una seconda stagione. Che non era scontata per niente".
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Intercettare un pubblico di età diverse
La cosa straordinaria di Tutto chiede salvezza è che è una storia molto personale e dolorosa. Ma Francesco Bruni e il suo team di scrittura sono riusciti a inserirla nei target di Netflix, tra il teen drama e lo young adult. E questo senza snaturarla affatto, senza perdere niente del suo messaggio. Come si fa a fare una cosa del genere? "Se sapessi come si fa ad avere un successo avrei solo successi, e non è sempre stato così" ci risponde sorridendo Bruni. "Io mi sono mosso d'istinto, mi sono innamorato del libro e ho detto: 'lo voglio fare'. Pensavo a un film, ma Roberto Sessa mi ha detto di voler fare una serie. La trama andava rimpolpata: non era solo un discorso di andare a incontro a un target giovanile, il materiale narrativo non era sufficiente per una serie di sei puntate. Così è venuta fuori la storia d'amore, che è una storia molto particolare, molto contrastata, addirittura aperta". "Il ragionamento è stato questo", continua: "Una volta che il protagonista arriva, si sveglia, prende conoscenza del reparto, comincia a far pace con il fatto di stare lì dentro, conosce gli altri ricoverati, sentivo che c'era bisogno di un tiro che portasse la storia fino in fondo. Ed è stata Nina, che infatti dilaga nella seconda parte della serie. Questo ha fatto sì che fossimo di difficile etichettatura: oscillavamo tra young adult e teen, alla fine credo ci abbiano considerato young adult". "Io un'anima commerciale ce l'ho, mi interessa andare a cercare il pubblico, e ho pensato che potessimo intercettare un pubblico di età diverse", aggiunge. "I ragazzi, ma anche i loro genitori, che possono cercare di capire cosa passa nella testa dei loro figli, da cosa nesce questo disagio che è evidente. E alla fine, visti i dati, vista la tenuta, visto il passaparola, credo che questa cosa sia successa. La serie ha faticato all'inizio nel trovare il suo pubblico, perché non si capiva che cosa fosse, e poi l'ha trovato. Sento che la serie la vedono anche i sessantenni".
Innamorati perdutamente di Nina
Tutto chiede salvezza la guardi rapito, anche se non hai l'età dei protagonisti, non solo perché, da genitore, ti interessa cosa provano i ragazzi. Ma anche perché i tuoi 16, 18, 20 anni non li hai mai superati, sono gli anni in cui ti sei formato e ti sono rimasti addosso. Come certe storie d'amore. Nina è un personaggio che ti attrae e ti fa soffrire, ti fa innervosire. Chi non ha conosciuto una ragazza così? È anche per questo che Nina è un motore della serie. E anche una testimonianza del fatto che, visto che nel romanzo lei non c'è, a volte bisogna tradire il romanzo per rimanere fedeli. "Il personaggio di Nina lo amo particolarmente" concorda Bruni. "È la nostra creatura, scritta con lo stesso Daniele, con il suo avvallo all'innervamento della trama, con Francesco Cenni e Daniela Gambaro. Tutti e quattro ci siamo innamorati perdutamente di questo personaggio. La chiamano polarizzazione: c'è chi la ama e chi la detesta. Ed è forse il personaggio femminile più ricco che ho scritto da quando faccio cinema come regista. Intanto porta dentro una tematica attuale che sento forte su quella generazione, cioè la rappresentazione di sé virtuale attraverso i social che spinge a uno scollamento piscologico dalla percezione del sé autentico. Quel bisogno di preformare, di mostrarsi sempre felici, di successo è una cosa che già mi ha affascinava. E poi il suo carattere è ricchissimo, è una ragazza molto intelligente, molto autocritica, bastian contraria, con un carattere antiretorico, anche rispetto ai sentimenti. È il perfetto contraltare al romanticismo, a tratti eccessivo, di Daniele, con questo essere tranchant. E poi lei è sofferente, ma orgogliosa".
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Fotinì Peluso: Nina è l'opposto di quello che è nella vita
Il ruolo di Nina ha permesso di fare uscire Fotinì Peluso in un modo inedito. Era bravissima già in Cosa sarà, ma qui ha un prisma di possibilità enormi. "Con Fotinì avevo lavorato in Cosa sarà ed ero rimasto sbalordito dalla sua personalità e dalla sua bravura", ci racconta Bruni. "Ma qui le ho chiesto di fare l'esatto opposto di quello che sapevo avrebbe fatto, e di quello che poi è nella vita, una ragazza centrata, responsabile. Le ho dato la libertà di tirare fuori la corda pazza, l'irresponsabilità e anche la sensualità che non aveva mai tirato fuori". Ma sono tutti gli attori ad essere bravissimi e scomparire nei loro personaggi. "Il resto è testo, come diceva Hitchcock 'It's in the script'", commenta Bruni. "Gli attori cercano dei personaggi diversi da quello che hanno sempre fatto, se dai loro un testo in cui intravvedono possibilità nuove, li inviti a nozze. Non è stato difficile: c'era questo vademecum che era il copione, sul quale abbiamo molto discusso, e abbiamo tirato fuori da ciascun attore qualcosa di nuovo".
Non potevo abbandonare i personaggi: avevo voglia di rivederli tutti
Tutto chiede salvezza è una di quelle serie che davvero potevano concludersi alla prima stagione. Il libro è autoconclusivo. Il finale della prima stagione è aperto, bellissimo, ma proprio per questo in tanti pensavamo che il resto della storia sarebbe stato lasciato alla nostra immaginazione. La storia si svolge in un ospedale e con l'uscita sembrava una parabola compiuta. Ovviamente ritrovare tutti in un'altra stagione è una cosa bellissima. Ma che ragionamenti sono stati fatti? "Eravamo molto combattuti", ci spiega Francesco Bruni: "Quel finale, che è un cliffhanger proprio visivo, quel lasciare i personaggi sul trampolino con una prospettiva così importante da affrontare, per certi versi chiama una continuazione. Dall'altra parte l'ho sempre visto come un finale che poteva essere autoconclusivo, e aperto. Il riferimento è a Il laureato e a quella scena in cui c'è questo sorriso che si spegne di fronte alla preoccupazione del domani. Si prestava a tutte e due le possibilità. Mi tenevo pronto a dire: la finiamo qui. Ma dentro di me sapevo e so che si può andare avanti. Non a casaccio. Ma c'è un discorso molto chiaro sul fuori nella prima stagione. Daniele dice: 'Ho paura di uscire perché qua c'è solo un piccolo campionario della follia'. Nella storia ci sarà anche il fuori. E ci sarà da affrontare questo discorso della maternità e della paternità Noi scavalliamo un anno: di solito le serie di successo saranno riproposte a distanza di un anno, e io avrei già dovuto iniziare le riprese. Invece verosimilmente usciremo nel 2024. È stato dovuto al fatto che abbiamo ragionato molto perché volevamo essere sicuri di avere un racconto altrettanto potente e necessario. Non sarei mai andato avanti per forza di cose". È evidente che uno sceneggiatore sente quando un personaggio ha un arco narrativo ancora da spiegare, se in lui c'è ancora vita, c'è ancora racconto. "Avevo voglia di rivederli tutti, tranne ovviamente Mario che non c'è più", ci spiega Bruni. "Avevo voglia di vedere il loro inserimento nella vita nomale. Non potevo abbandonarli qui".
La stagione 2 non è tratta da un libro, ma scritta ex novo
Dopo Tutto chiede salvezza, Daniele Mencarelli ha scritto altri libri che parlano di sé. Ma la seconda stagione non sarà tratta da un suo libro, ma scritta ex novo. Come le stagioni di The Handmaid's Tale seguenti alla prima, per fare un esempio, che dopo aver seguito il libro per la prima stagione, poi hanno preso una loro strada. "Noi sceneggiatori eravamo in quattro, ora siamo in tre: io, Daniele e Daniela Gambaro" ci racconta Francesco Bruni. "Naturalmente se avessi sentito che Mencarelli non voleva andare avanti, non sarei andato avanti nemmeno io, avevo bisogno di sentire che anche lui era partecipe, che poteva fornirmi degli spunti, delle storie che ha raccolto in questi anni. Perché comunque la psichiatria resta in campo. Lui era straconvinto di volerlo fare, il difficile è stato pensare a come farlo. Lavoriamo molto, abbiamo una chat che pullula di messaggi, ci dividiamo il lavoro nelle varie fasi. È una squadra di scrittura molto bella. È stata un'esperienza nuova, come regista e autore non avevo mai scritto con altri. È un'esperienza che vorrei ripetere quando tornerò a fare cinema. L'ho potuto fare perché questa storia è meno personale".
Da Scialla a Tutto chiede salvezza, il fil rouge è il disagio giovanile
Quando si è saputo della lavorazione di Tutto chiede salvezza, è sembrato un approdo naturale per Bruni. Veniva da un altro film in cui si parlava di cura, di guarigione e luoghi chiusi, come Cosa sarà. Lì si curava il corpo, qui la mente. Cosa cambia nel raccontare queste due cose vicine ma diverse? "È vero che Cosa sarà è stato il turning point del mio percorso registico", conferma Bruni. "È un film che mi ha dato fiducia nelle mie capacità di regista e non solo di narratore, e anche del fatto di non dover per forza fare una commedia tout court, ma anche di poter affrontare temi drammatici, sempre stemperando dove possibile: mi ha fatto uscire dal recinto della commedia". "Io però trovo che sia più il punto di arrivo una parabola che parte da Scialla! (Stai sereno), continua con Tutto quello che vuoi e arriva a Tutto chiede salvezza" continua. "È una parabola del disagio giovanile, che parte dai toni umoristici e assolutamente leggeri di Scialla, passa per quelli più drammatici e problematici di Tutto quello che vuoi e arriva alle estreme conseguenze di Tutto chiede salvezza. A posteriori ho notato che era un fil rouge che attraversava tutte le mie opere. Con il discorso che, avendo vissuto in prima persona l'esperienza di contenimento, isolamento, solitudine, angoscia, paura per la mia vita questa storia mi parlava molto direttamente, mi stava molto a cuore. Le differenze è che questa storia è più angosciante rispetto a Cosa sarà, in cui il personaggio sa perché è lì, persone competenti, che lo cureranno. Non è circondato da un panorama umano all'inizio così inquietante. Ma tra le due opere ci sono delle parentele".