"La fantasia è un posto dove ci piove dentro". Ed è anche quel volo pindarico che Susy Laude, citando Italo Calvino, si assume il rischio di correre nel suo debutto alla regia di un lungometraggio. Non senza cadute, ma dimostrando di saper raccontare una storia per famiglie con semplicità (come vi spiegheremo meglio nella recensione di Tutti per Uma, in sala dal 2 giugno).
L'immaginazione senza confini è l'elemento fondamentale di un racconto infarcito di omaggi al cinema degli anni '80, una favola moderna che se ne frega dei luoghi comuni ribaltando il gioco dei ruoli: dentro si agitano improbabili principi e principesse, buoni e cattivi come vuole la tradizione, ma soprattutto bambini e adulti alle prese con le sfide della contemporaneità. Anarchico nelle intenzioni, ma poco organico nella narrazione che fatica un po' a tenere insieme le tante istanze presenti.
Una storia da commedia per famiglie
La storia di Tutti per Uma segna il naturale approdo di Susy Laude alla regia cinematografica dopo anni di lavoro appassionato tra corti, i palchi del teatro per ragazzi, il web e i set di diverse commedie recenti (da Beata ignoranza a Metti la nonna in freezer e Se mi vuoi bene). Il suo esordio usa il linguaggio della commedia per famiglie e raccoglie le suggestioni di cui si è nutrita durante la sua lunga gavetta, in un mondo che tradizionalmente riserva alle donne lo spazio di una comparsa. Qui la figura femminile è quasi inesistente per tutta la prima parte di film, ma solo per lasciare spazio ad un riscatto finale che le attribuisce una funzione salvifica, un ruolo da deus ex machina.
Nel mondo visionario costruito dalla regista, le regole del vivere comune subiscono un ribaltamento e la favola irrompe nella realtà di una stramba famiglia di viticoltori, i Ferliga, composta da soli uomini, tre generazioni di maschi sconclusionati a confronto sotto lo stesso tetto: Nonno Attila (Antonio Catania), imprenditore in crisi e padre padrone, il fratello minore Dante (Lillo Petrolo), eterno bambinone, un uomo irrisolto senza figli né moglie impegnato a cercare il successo sui social attraverso la creazione di video improbabili, il figlio Ezio (Pietro Sermonti), vedovo dedito all'apicoltura, e i due piccoli nipoti Francesco, appassionato di danza, ed Emanuele, che tutti chiamano "nano". A fargli compagnia il cane Mimmo, maschio anche lui. Il ruolo del cattivo spetta invece allo zio Viktor (Dino Abbrescia), un perfido banchiere che farà di tutto per tenere sotto scacco il Nonno e sottrargli l'azienda, ormai indebitata. La scombinata combriccola verrà però tratta in salvo dalla principessa Uma (Laura Bilgeri), una fata 2.0 in crisi con il suo principe, che ne tirerà fuori il meglio.
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I personaggi: tra Biancaneve, i Goonies e E.T
Laude sceglie la voce fuori campo del giovanissimo Emanuele per guidare il pubblico nella narrazione della vicenda: è lui infatti a fare la presentazione dei protagonisti in apertura. A partire da se stesso: "Mi chiamo Emanuele, ma mi chiamano tutti nano e c'è sempre qualcuno che si dimentica di me". Un film corale che decide di mettersi ad altezza bambino, malgrado le situazioni risultino spesso forzate e prive della magia e dell'incredulità che nutrono lo sguardo dei più piccoli, qui alle prese con il superamento di un trauma: la perdita di una madre. Il racconto è disseminato di citazioni: dalla meraviglia del piccolo narratore che ricorda quella del protagonista di E.T, alle scorribande in bicicletta e all' amicizia tra ragazzi che farà pensare a I Goonies, dalla corsa a bordo dello scalcinato furgone di famiglia "Epicuro" alla scena del ballo finale liberatorio e catartico come in Little Miss Sunshine. Dentro c'è spazio per parlare di bullismo, o per sovvertire alcuni stereotipi di genere attraverso l'immagine di una principessa in fuga dal suo fidanzato che "non l'ha mai salvata da una torre, né l'ha mai baciata nel sonno"; Uma è cresciuta al castello "con tutte femmine, i maschi non li conosce proprio, tranne suo padre, il re" e si è sempre chiesta perché mai le principesse si debbano per forza sposare con i principi azzurri.
Tra numeri da musical disneyano, siparietti da vecchie comiche in bianco e nero, i personaggi faticano a stabilire un'empatia con lo spettatore e a trovare una propria identità: tutti da Lillo a Sermonti, Abbrescia, Catania e Bilgeri rivelano un potenziale che non riesce a trovare piena espressione, complice uno sviluppo narrativo che si limita ad affiancare una sequela di sketch spesso slegati tra loro. Così, a parte qualche intuizione che non trova la misura e i toni giusti per svilupparsi, Tutti per Uma si risolve in una favola senza incanto.
Conclusioni
Come già ribadito nella recensione di Tutti per Uma, l’esordio alla regia di Susy Laude dimostra di essere un film anarchico nelle intenzioni, ma non nello sviluppo dove la narrazione è spesso incapace di tenere insieme le tante istanze presenti, finisce per obbedire alle regole senza particolari guizzi di originalità. L’universo costruito dalla regista, che siamo sicuri avrà altre occasioni per crescere e dimostrare le proprie abilità, stenta a sospendere l’incredulità anche dei più piccoli, mentre realtà e fantasia spesso si confondono senza aggiungere nulla a questa favola dei giorni nostri, che pure ha il merito di porre al centro del racconto alcune questioni contemporanee come il bullismo, il valore dell’amicizia, dell’accettazione del diversità e il ribaltamento degli stereotipi di genere.
Perché ci piace
- Una commedia per famiglie che ribalta i ruoli tradizionali della favola, con principesse ribelli senza principi azzurri che le bacino nel sonno, e una famiglia di soli uomini irrisolti e pasticcioni.
- I giovanissimi interpreti, il concetto di amicizia, le corse in bicicletta e le atmosfere da cinema anni ’80.
Cosa non va
- A parte qualche siparietto da vecchie comiche in bianco e nero, il cast non viene sfruttato come dovrebbe e il potenziale degli attori rimane inespresso.
- La regia non riesce a orchestrare il racconto con organicità e la narrazione rimane quella di una fiaba senza magia.