Tutta un’altra vita, la recensione: una vita in vacanza per Enrico Brignano

La recensione di Tutta un'altra vita: nel film, Enrico Brignano si trova catapultato nella casa e nella vita di un altro, con esiti imprevedibili.

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Tutta un'altra vita: Enrico Brignano in una scena del film

Una vita in vacanza, canta Lo stato sociale in una scena del nuovo film di Alessandro Pondi con Enrico Brignano. E nella recensione di Tutta un'altra vita, in uscita il 12 settembre, vi raccontiamo la storia di un uomo che, per una settimana, si prende una vacanza dalla sua vita di tutti i giorni per vivere l'esistenza di qualcun altro: più brillante, più ricco, più di successo. Per provare, almeno per un po', a diventare come lui, ad avere un'altra identità. Tutta un'altra vita è un film sull'arte di fingere, che è qualcosa che è da sempre nella natura umana ma che, nell'era dei social media, è diventato un fenomeno sempre più diffuso. Così come l'aspirazione a una vita diversa, oggi che tutte le vite degli altri sono in bella mostra, è un sentimento che accomuna sempre più persone. I temi sono interessanti, ma, al di là dello spunto dello scambio di identità che è ormai un classico della commedia, al netto di una regia che ha buone idee e alcuni ottimi attori, il risultato è quello della pochade, non lontano dai cinepanettoni, anche se siamo a settembre.

La trama: Enrico Brignano nelle vite degli altri

Gianni (Enrico Brignano) ha una moglie (Paola Minaccioni) e due figli, con cui trascorre una vita dalla routine consolidata. Fa il tassista, ma sogna un 5, o un 5+1 all'Enalotto, e per questo attende che gli arrivino i numeri giusti. Ma il numero fortunato è la chiave di una villa che una coppia ricca e di successo dimentica sul sedile posteriore del suo taxi. Un po' restio, Gianni prova a entrare nella villa per curiosare. Poi, col tempo, ci fa sempre più l'abitudine, iniziando a immedesimarsi in chi ci abita. Tutto questo fa sì che una situazione porti ad un'altra, in un'escalation di equivoci e di opportunità, come andare a feste esclusive e incontrare donne bellissime come la misteriosa Lola (Ilaria Spada).

Il confronto con Borotalco

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Tutta un'altra vita: Enrico Brignano durante una scena del film

Quella dello scambio di identità è un classico della commedia. Per restare al cinema italiano, come dimenticare un classico come Borotalco, dove il timido Sergio Benvenuti di Carlo Verdone si trasformava immediatamente nell'affascinante e intrepido Manuel Fantoni proprio dopo essere entrato nella sua casa? Per restare alle uscite recenti, anche Fausto Brizzi si è cimentato con questo schema con Modalità aereo, dove però lo scambio di identità avveniva grazie a uno smartphone, e faceva da preludio a una sorta di vendetta più che a un'aspirazione a un'altra vita.
È proprio questo aspetto che ci fa pensare spesso a Borotalco, e che fa emergere alcuni dei difetti di Tutta un'altra vita. Prima di tutto, una storia di questo genere avrebbe bisogno di un attore più sfaccettato, capace di giocare su diverse sfumature, più brillante rispetto a Enrico Brignano che, cabarettista e comico, ha dei registri più limitati e un suo inconfondibile aplomb che funziona in certe situazioni, ma meno nell'economia della commedia. Non riesce a creare quell'empatia in grado di farci entrare nella vita del suo personaggio.

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Tutta un'altra vita: Ilaria Spada in un'immagine

E poi, difetto che accomuna script a regia e recitazione, nel film non si sente mai quel senso di rischio, di pericolo, di attesa che i nodi vengano al pettine che di solito si respira in questo genere di storie e le rende vibranti. Dopo lo spunto iniziale, tutta la prima parte del film ruota infatti intorno allo stupore di Brignano davanti alla ricchezza in cui si trova catapultato, dall'incontro con Lola al centro della storia troviamo il rapporto tra i due, in contrasto con la sua vita familiare. Stupisce, poi, la leggerezza con cui il protagonista passa da una vita all'altra, e dall'amante a una moglie a cui è chiaramente legato, senza un minimo di dubbio o di affanno. Anche lo sbroglio della matassa avviene tutto sommato in maniera incolore (e indolore): altro che vedersi arrivare Mario Brega inferocito come accadeva a Verdone.

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Quelle riprese aeree su Roma

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Tutta un'altra vita: Paola Minaccioni in una scena del film

Tutta un'altra vita, in fondo, non ha quella profondità che potrebbe farlo diventare una commedia di costume, e neanche quel pizzico di cattiveria che potrebbe avvicinarla alla Commedia all'Italiana di un tempo, a cui potrebbe essere accomunata per i temi trattati. Rimane una pochade, una sorta di cinepanettone fuori stagione. E, per essere una commedia pura, si ride anche poco. Molto dipende dal fatto di essere in sintonia o meno con Enrico Brignano e la sua comicità.

Accanto a lui, Ilaria Spada ha una presenza di sicuro impatto ed è molto a suo agio nei tempi comici, un po' meno nei registri drammatici. Accanto a loro Paola Minaccioni e Giorgio Colangeli sono due attori di prima classe, e, come al solito, sono impeccabili. Così come sono interessanti alcune scelte di regia, inusuali per un film come questo, come alcune riprese aeree su Roma davvero degne di nota, e le musiche di Cris Ciampoli che spaziano tra jazz, soul, blues e, in alcuni momenti, richiamano l'Henry Mancini de La pantera rosa.

Conclusioni

Concludendo questa recensione di Tutta un’altra vita ribadiamo come si tratti di un film sull'arte di fingere, che è qualcosa che è da sempre nella natura umana ma che oggi è diventato un fenomeno sempre più diffuso. Il tema è interessante, ma, al di là dello spunto che è ormai un classico, lo scambio di identità, e al netto di una regia che ha buone idee e alcuni ottimi attori, il risultato è quello della pochade, non lontano dai cinepanettoni, anche se siamo a settembre.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
2.0/5

Perché ci piace

  • Paola Minaccioni e Giulio Colangeli sono due attori di prima classe, e, come al solito, sono impeccabili.
  • Sono interessanti alcune scelte di regia, inusuali per un film come questo, come alcune riprese aeree su Roma.
  • Le musiche di Cris Ciampoli che spaziano tra jazz, soul, blues e, in alcuni momenti, richiamano l’Henry Mancini de La pantera rosa.

Cosa non va

  • Una storia di questo genere avrebbe bisogno di un attore più sfaccettato, capace di giocare su diverse sfumature.
  • Non si sente mai quel senso di rischio, di pericolo, di attesa che i nodi vengano al pettine che di solito si respira in questo genere di storie.
  • Per essere in una commedia, non si ride poi molto.