Tu trova i codici che io distruggo tutto
Ai tempi dell'uscita di questo Codice Swordfish ero dominato da sentimenti contrastanti: da una parte la confezione e il cast accattivante erano di certo degni di rilievo, allo stesso tempo le vibrazioni negative che mi giungevano da un plot decisamente scontato e da qualche sospetto di supereccesso hollywoodiano generavano in me non pochi sospetti. Il film si presentava come un sorta di True Lies zeppo di banalità sul mondo degli hacker, con attori migliori e un regista peggiore: ma l'istinto masochistico-regressivo finì per avere il sopravvento in un sonnolento pomeriggio di zapping satellitare, e optai per queste due ore di blockbusting pomeridiano.
Qualche coordinata: abbiamo John Travolta che è il tipico maniaco megalomane, inizialmente presentato come affascinante e brillante icona del male (in un delirante assolo metacinematografico pre-titoli di testa, di derivazione inequivocabilmente tarantiniana), contornato da un elevato gruppo di ominidi violenti e in pieno sonno della ragione. C'è poi l'eroe per caso Hugh Jackman: intelligente e sfigato, un hacker belloccio fondamentalmente pacifista, ex carcerato, che vive in una roulotte ed è pronto a fare qualsiasi cosa allo scopo di pagare un eccellente matrimonialista che gli permetta di ottenere l'affidamento della sua adorabile figlia (la madre per la cronaca si è risposata con un produttore di film porno e beve come una spugna). Il nostro eroe vede i numeri manco fosse John A Beautiful Mind Nash e viene ingaggiato per un megacolpo a parecchi zeri. In realtà Travolta essendo un ex esaltato dei servizi segreti, si definisce interessato, più che ai soldi, a mantenere lo stile di vita dell'americano medio e pur di rispettare questo suo nobile intento è pronto a fare carneficine a bizzeffe. Abbiamo poi un'infiltrata che poi infiltrata non è, però un po' di doppio e anche triplo gioco lo fa: inizialmente viene insultata dall'hacker sfigato, che in realtà ne è irresistibilmente attratto (d'altronde parliamo di Halle Berry), poi lo convince a partecipare al colpo non dicendogli però che l'esame di accesso consiste nell'entrare in 60 secondi nel sito protetto del Ministero della Difesa americana mentre una conturbante ragazza lo distrae con un servizietto e un simpatico energumeno gli tiene una calibro 45 puntata alla tempia. Non può mancare un rappresentante delle forze ordine, ma la sua unica importanza in realtà sta nell'essere il sosia del mitico playmaker NBA Gary Payton.
Insomma ci siamo capiti: il film, se non lo si prende minimamente sul serio, si lascia guardare, almeno nella prima parte; poi si trasforma in una risibile, paranoica e tronfia spy story, tutta ritmo, montaggio da videoclip ed esplosioni fragorose. Logicamente tutti guidano come Ayrton Senna e tutti tradiscono tutti in un crescendo che sa sempre di già visto e con una sceneggiatura inutilmente contorta e slegata, dove alla mancata caratterizzazione dei personaggi si sopperisce con battute modaiole à la Quentin Tarantino, del genere: "Non amo la pesca, la trovo un surrogato della masturbazione, ma senza l'orgasmo", o: "Guardami ancora e ti infilo la canna della pistola nel retto fino a quando non mi implorerai di ucciderti".
Questo è quanto: e se non avete lo stomaco, saltate senza rimpianti la portata di pesce spada!