I titoli di testa di True Detective non sono mai semplici titoli di testa. Sono già un indizio, una pista da seguire. Suggestive, sporche e malinconiche, le immagini e le note dell'opening evocano tutto il marcio in cui ci stiamo per addentrare. Lo fanno creando un nodo inestricabile di luoghi e di persone, con i personaggi che si fondono nell'ambientazione e l'ambientazione che scalpita dentro i personaggi, in un gioco di reciproci rimandi. Per la sigla della terza stagione di True Detective è stato scelto un pezzo della cantante jazz Cassandra Wilson; una canzone dal titolo emblematico: Death Letter. Il testo racconta di amori perduti, di giorni del giudizio imminenti, di disperate preghiere alla ricerca di perdono. Tristi presagi che ci mettono sulla via del detective Hays, che in True Detective 3x04 continua ad apparirci più infestato di una casa degli spiriti.
The Hour and the Day rappresenta il giro di boa di questa terza stagione e, non a caso, si conclude con un violento cliffhanger degno di un momento di svolta. Però, al di là della adrenalinica sequenza finale (girata e montata con grande cura), l'ultimo episodio continua a mettere in scena la pazienza di una serie tv dal ritmo compassato eppure catalizzante. La scrittura di Nic Pizzolatto avvolge lentamente lo spettatore con la stessa maestria con cui un ragno avvolge la preda nella sua ragnatela. Perché una volta dentro True Detective 3 è facile aggrapparsi a ogni parola, a ogni espressione o sguardo.
Perché tutto potrebbe essere un indizio. Ed è questo il grande merito di una ritrovata terza stagione: quello di far diventare il pubblico il primo dei detective, invitato a tenere sempre alta la soglia dell'attenzione, ad aguzzare lo sguardo e a tenere le orecchie ben sintonizzate. Sin dai meravigliosi titoli di testa.
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Il Male è vicino
Apriamo il nostro taccuino di zelanti e integerrimi investigatori da divano. Dove eravamo rimasti? Nel 1980 le indagini sembrano giunte a punto morto, almeno sino a quando spunta una sospetta berlina marrone con a bordo un uomo nero e una donna bianca che si aggiravano dalle parti della Tana del Diavolo. Una pista che sembra essere stata tralasciata da Hays e West. In modo inspiegabile, per ora. Nel 1990 il caso Purcell si riapre grazie al ritrovamento delle impronte della sorella scomparsa nel nulla, il che fa tornare i due detective in pista. Nel 2015, un anziano Hays viene assalito dal senso di colpa e dei demoni del suo passato, straziato da un caso maledetto, dal ricordo doloroso di una moglie perduta e da una memoria zoppicante e inaffidabile. Con il passo deciso di Hays e l'atteggiamento pragmatico di West, The Hour and the Day va subito al sodo e ci restituisce l'urgenza di questi due uomini intenzionati a fare luce su un omicidio e su una scomparsa. Nel 1980 (storyline predominante, questa volta) il clima di sospetto si fa sempre più denso.
Sotto le sue nuvole scure ci finiscono prima un prete forse troppo morbosamente attaccato ai bimbi della parrocchia (ma non crediamo certo a una svolta così banale), poi una presunta zia (spuntata dal nulla) frequentata dai bimbi, sul vagabondo solitario indiano perseguitato dal popolo e, infine, un uomo misterioso "colpevole" di aver comprato molte delle bambole di paglia ritrovate vicino al cadavere del piccolo Will. "Un negro senza un occhio", stando alle sprezzanti parole della signora artefice di quelle maledette bambole. Ecco che True Detective allarga molto il suo sguardo, intrufolandosi nelle case e nelle roulotte delle sue terre desolate, cercando una visione d'insieme, uno sguardo collettivo sulla comunità. Ne emerge un'America razzista, sospettosa, ruvida e poco aperta al dialogo. Eppure, nonostante le ricerche si sporchino le mani con tutto quel fango là fuori, il sospetto è che tanto del marcio sia molto vicino ai fratelli Purcell. Ovvero dentro una famiglia (zie fantomatiche e cugini ombrosi) infelice, dove non c'è traccia di amore. Ed è per questo che, forse, i fratelli Purcell sono stati avvicinati attraverso una malefica promessa d'affetto.
Esigenza d'amore e di ricordi
La ricerca d'amore dentro la ricerca dei colpevoli. È questa la morale nemmeno troppo celata di questo quarto episodio. Facile accorgersene quando True Detective indugia con dovizia di particolari sulla coppia formata da Hays e da sua moglie Amelia (una splendida e carismatica Carmen Ejogo). Si passa dalla complicità, gli ammiccamenti e i flirt dei primi appuntamenti alla crisi di una coppia formata da due persone piene di risentimenti, in cui marito e moglie sembrano persino in competizione tra loro. Lei accusa lui di essere troppo passivo, di subire troppo gli eventi e di esserne poco artefice. Lui accusa lei di aver approfittato di una tragedia scrivendo libri attraverso cui saziare il proprio ego. Si risolve tutto con un del sesso violento e "riparatore", ma le crepe tra i coniugi rimangono, e crediamo possano essere tasselli decisivi per venire a capo del grande puzzle di True Detective. E il vecchio Hays del 2015 ci appare proprio così: un puzzle disordinato a cui manca più di un pezzo. In uno dei rari momenti di lucidità, l'ex detective capisce di dover mettere ordine nei suoi ricordi pieni di falle (e forse menzogne comode). Per farlo ha bisogno del suo vecchio collega, ammesso che sia ancora vivo. Per capire, finalmente, se un uomo ancora ossessionato dal Vietnam (sequenza a dir poco lynchiana, quella) stia davvero ricostruendo la verità o se per decenni si sia solo raccontato una storia comoda per andare avanti senza nuovi fantasmi da cui ricevere "lettere mortali".
Movieplayer.it
4.0/5