Dopo il non propriamente convincente Tomb Raider del 2018, Roar Uthaug è rimasto in panchina per un po', anche complice la pandemia di covid. A quattro anni di distanza dal reboot cinematografico di Lara Croft e dal suo esordio in quel di Hollywood, il regista norvegese torna ora in patria, alla sua terra e al suo folklore, per confezionare un progetto al contempo curioso e molto furbo. Si intitola Troll ed è l'oggetto di questa recensione, approdato da pochi giorni su Netflix e pronto a inaugurare quello che potrebbe diventare il monsterverse scandinavo per eccellenza. La storia è davvero lo starter pack più classico dei kaiju movie.
Nelle profondità delle montagne di Dovrefjelle, tra le Alpi Scandinave, si risveglia un gigantesco mostro alto 50 metri che produce una scia di morte e distruzione lungo il suo cammino verso Oslo, capitale norvegese dove la creatura sembra essere diretta per qualche scopo inizialmente non meglio specificato. Starà alla paleontologa Nora Tideman (Ine Marie Wilmann), al padre esperto di folclore Tobias (Gard B. Eidsvold), al consigliere del primo ministro Andreas (Kim Falck) e al soldato Kris (Mads Pettersen) tentare di comprendere la reale natura dell'essere e fermare la sua catastrofica avanzata.
Un po' di tutto
Troll è un prodotto davvero ben congeniato nella sua totale non originalità. Non ha davvero nulla di unico ma è tutto lestamente rubato da altro, che si tratti d'ispirazioni concettuali oppure di modelli di scena veri e propri. Si salvano alcune caratteristiche narrative e d'azione legate direttamente alla mitologia dei Troll, a cui il film si rifà tanto nell'iconografia quanto nei dettagli - per così dire - "comportamentali" -, non essendoci delle vere e proprie cartine di tornasole reali ma solo antiche leggende e credenze popolari. In questo senso l'opera si muove anche bene e con intelligenza, nutrendo di (poca) specificità un titolo senz'altro generalista in termini creativi e d'impostazione. Lascia infatti sgomenti la quantità delle sequenze già rintracciabili - a volte in modo identico - in vecchi ma anche recenti titoli di genere.
Il modo in cui la dottoressa Tideman viene rintracciata e scortata dai militari è un mix pedissequo tra Jurassic Park e il Godzilla del 1998 di Roland Emmerich, e a quest'ultimo guarda ancora Troll - forse credendolo dimenticato - quando inquadra le gigantesche impronte della creatura dall'alto e ci fa cadere dentro sempre la Tideman (scena praticamente sovrapponibile al cult anni '90). Persino più spudorato è però il modo in cui Uthaug e soci hanno riproposto la scena degli elicotteri vista in Kong: Skull Island di Jordan Vogt-Roberts.
Giro intorno alla bestia, attacco concatenato, fuga delle manate del Troll e schianto al rallenty contro il palmo della creatura prima di fuoco e fiamme tutto intorno. Al Troll hanno persino dato lo stesso ruggito e modello comportamentale, addirittura dei natali regali. Dal Godzilla di Gareth Edwards hanno invece raffazzonato il personaggio di Bryan Cranston nei panni di Tobias. Non contenti, in produzione sono persino riusciti ad allungare le mani su Shin Godzilla. Da queste parti siamo convinti che in arte tutto sia un furto, di un furto, di un furto - in senso buono -, ma qui siamo davvero oltre, perché non c'è uno sprazzo di entusiasmo tra ricerca e compromessi. Solo un'astuzia concettuale che fa propria l'idea di high-concept e ripropone sotto una luce differente sempre le stesse cose.
Sotto la montagna
Al netto di una vivida mancanza di carattere, Troll risulta anche godibile. Molto facile quando si prende il meglio del comporta visivo e creativo da altri per poi trasformalo in "citazione", ma tant'è: Troll è godibile. Questo e nulla più, intendiamoci. Di base non diverte ma intrattiene mediamente bene, le scene d'azione sono poche e confermano l'occhio poco elegante e l'assenza di stile nella regia di Uthaug, le relazioni e la psicologia dei personaggi sono appena abbozzate e comunque di poca attrattiva, per nulla empatici. Si lascia guardare con semplicità per la premessa di regalare alla Norvegia e all'estremo Nord Europa i suoi mostri giganteschi correlati a culture popolari anche più antiche di quella Giapponese, ma di fatto non basta. Incuriosisce scoprire il look del Troll e tentare di comprendere le sue azioni, magari scoprirne il lato più emotivo e quello più rabbioso, ma il gioco di mordente finisce qui, perché oltre c'è il nulla mascherato da altro.
Sarebbe magari interessante vedere come potrebbe comportarsi un Troll di 50 metri contro altri mostri simili, magari contro Godzilla o Kong, magari contro altre creature della mitologia o inventate di sana pianta. Questo è però affare del futuro, sempre che questo monsterverse scandinavo riesca a perdurare nel tempo. Per ora, sotto la montagna progettuale, restano soprattutto polverosi detriti cinematografici e sparuti quanto piccoli e opachi diamanti folcroristici. Per impressionare ci vuole molto di più.
Conclusioni
In conclusione, Troll di Roar Uthaug è un more of the same in salsa norvegese e folcloristica delle origini giapponesi o americane di Godzilla e King Kong. Fa man bassa di ogni possibile ispirazione visiva o concettuale nel genere dei monster movie, tra vecchie e bastonate glorie e recenti successi, mettendo insieme uno spettacolo totalmente privo di originalità ma godibile nella sua furbizia. Questo è nulla più.
Perché ci piace
- Il modo in cui vengono sfruttate le credenze popolari scandinave.
- Buoni effetti speciali, specie quelli relativi al Troll.
- L'attaccamento alla cultura e al territorio raccontati...
Cosa non va
- Oltre questo, specificità di altro tipo non pervenute.
- È tutto preso da altro e spesso riproposto addirittura in modo identico.
- La regia di Uthaug si conferma mediocre e senza guizzi.
- Scene d'azione deludenti.