I suggestivi paesaggi delle Langhe e la nostalgia per un passato che rischia di scomparire sostengono Trifole - Le radici dimenticate, il nuovo film diretto da Gabriele Fabbro distribuito nelle sale da Officine UBU. Sospeso tra realismo e fantasia, il progetto regala dei momenti molto intensi ed emozionanti che, tuttavia, si perdono in un insieme poco equilibrato dal punto di vista narrativo che ostacola inoltre l'efficacia dei messaggi alla base del racconto.
Cosa racconta Trifole - Le radici dimenticate
La storia prende il via quando Dalia (Ydalie Turk), cresciuta a Londra e ora in un periodo difficile della sua vita, arriva in un paesino nelle Langhe per prendersi cura del nonno Igor (Umberto Orsini), la cui demenza senile sta peggiorando.
L'anziano protagonista di Trifole - Le radici dimenticate, che vive da solo con la sua adorata cagnolina Birba, ha ricevuto inoltre una notifica di sfratto e la sua terra sta per finire nelle mani delle aziende vinicoli locali che cercano di espandersi, ai danni del cercatore di tartufi. La giovane pensa quindi di poter trovare la soluzione ai loro problemi grazie ai segreti dei trifolao tramandati dal nonno, ma la realtà potrebbe essere più dura di quanto si potrebbe aspettare.
L'ottima interpretazione di Orsini
La sceneggiatura firmata dal regista Gabriele Fabbro insieme alla protagonista Ydalie Turk propone degli atti fin troppo separati uno dall'altro, iniziando il racconto in modo convincente con uno sguardo realistico e genuino al dramma di una vita e di una tradizione che si avviano verso il tramonto per poi proseguire con un'avventura confusa e quasi surreale, giungendo infine a un epilogo affrettato e che non sfrutta in modo adeguato le emozioni che i suoi protagonisti riescono a suscitare.
La prima parte della narrazione viene sostenuta in modo efficace dalla forza espressiva di Umberto Orsini, in grado di trasmettere la drammaticità della situazione di Igor con bravura, interpretando il suo senso di spaesamento causato dalla malattia e dal triste scontro con i cambiamenti avvenuti nel suo mondo in modo straziante. Il rapporto che si crea tra il nonno e la nipote e il legame con la sua cagnolina Birba, risultano onesti e sinceri, raggiungendo facilmente il cuore degli spettatori. L'attore sostiene senza incertezze anche il peso rappresentato dal tentativo di offrire un ritratto rispettoso e sentito delle tradizioni e di un mestiere affascinante che rischiano di scomparire a causa del passare del tempo e dei cambiamenti avvenuti nella società. Ydalie Turk, nonostante qualche incertezza, si avvicina bene al ruolo di Dalia e alla sua ricerca di uno scopo nella vita, delineando in modo soddisfacente proprio il rapporto con l'anziano Igor mostrando l'evoluzione del legame in modo realistico.
Qualche problema dal punto di vista narrativo
Il film, tuttavia, si perde un po' nella seconda parte della storia: dopo l'inizio della 'missione' di Dalia si susseguono, con un montaggio non troppo brillante, degli eventi che appaiono poco giustificati e in una sequenza al limite del surreale, rendendo complicato capire le reazioni della protagonista a ciò che le accade, oltre a lasciare del tutto interdetti per il destino di Birba, una parentesi crudele che non appare giustificata o realmente utile alla narrazione. La scelta di non dare un volto al 'cattivo' della storia, seppur lodevole dal punto di vista narrativo per la sua capacità di assumere un valore universale, rende la lotta della giovane quasi donchisciottesca, senza tuttavia essere sostenuta da un intreccio credibile che possa sostenerne la natura quasi onirica e le intenzioni nobili.
Diverte, invece, la partecipazione di Enzo Iacchetti e Caterina Balivo, coinvolti in un'asta che porta il film in un territorio tipico della commedia leggera.
L'ultimo atto del film, in cui è coinvolta anche Margherita Buy con un ruolo fin troppo limitato, giunge così in modo rapido all'epilogo, rendendo la malinconia che la contraddistingue poco incisiva.
Visivamente Trifole - Le radici dimenticate è un film molto curato e suggestivo, con una fotografia in grado di valorizzare gli splendidi paesaggi delle Langhe e le location scelte per portare in scena la storia di Dalia e Igor. La musica composta da Alberto Mandarini, eseguita dall'Orchestra Sinfonica Bartolomeo Bruni, accompagna bene il susseguirsi degli eventi senza mai risultare invadente o sopra le righe.
Conclusioni
La regia di Fabbro è funzionale al racconto e riesce a enfatizzare bene l'espressività dei protagonisti, regalando anche qualche sequenza di grande impatto emotivo e resa visiva nella riscoperta delle sue origini e di un passato ormai distante da parte di Dalia. Trifole - Le radici dimenticate è un film dalle buone potenzialità, non tutte sfruttate nel migliore dei modi, in grado comunque, nonostante i punti deboli, di condividere un messaggio lodevole e ricordare in modo rispettoso le esperienze dei trifolai, già protagonisti del memorabile documentario The Truffle Hunters diretto da da Gregory Kershaw e Michael Dweck e co-prodotto da Luca Guadagnino, che era stato in corsa per gli Oscar nel 2021.
Perché ci piace
- L'interpretazione di Umberto Orsini è emozionante e a tratti straziante.
- Gli splendidi paesaggi delle Langhe sono immortalati in tutta la loro bellezza dalla fotografia ricca di sfumature.
- Il contrasto tra passato e presente è rappresentato con la giusta dose di tragicità.
Cosa non va
- Il film sembra perdere il filo del racconto a metà della narrazione.
- Il destino di Birba risulta fin troppo crudele e senza una reale giustificazione.
- Il tentativo di unire la dimensione onirica e la realtà ottiene un risultato confuso e poco incisivo.