Tríada è la nuova serie Netflix messicana che trae ispirazione da un fatto di cronaca realmente avvenuto. In particolare, l'opera racconta la vita di Rebecca (Maite Perroni), una detective della scientifica che scopre casualmente l'esistenza di due donne completamente identiche a lei. Una scoperta che la porta a svelare, a poco a poco, un mistero inquietante. Lo show, con la regia di Leonardo D'Antoni ed Alba Gil, supportati dalla scrittura di Nayura Aragon e Patricio López Margalli, è troppo discontinuo. Se infatti il ritmo è instabile, con momenti compassati alternati a passaggi eccessivamente rapidi, anche il finale non è ben chiaro, rimanendo approssimativo. Un thriller che comunque cattura e depista con intelligenza gli spettatori, facendoli innamorare di una storia che poggia su atmosfere sì rarefatte ed evanescenti, ma senza tirare in ballo nulla di soprannaturale. Nella nostra recensione di Tríada, dal 22 febbraio 2023 su Netflix, ci concentriamo sulla tematica fondante della serie, portando alla luce l'incostanza di un prodotto che comunque risulta godibile.
Un doppio che diventa triplo
Il topos del doppio è un classico tema del mondo letterario e teatrale (ce ne sono tracce già nelle commedie di Plauto) che ha sempre trovato un terreno fertile anche nell'universo cinematografico e seriale. Vi basti pensare all'uso che ne faceva Alfred Hitchcock, giocando spesso sull'ambiguità identitaria o alla trasformazione logica intrapresa da Christopher Nolan in The Prestige, dove la sfida è aperta con il pubblico. Anche Tríada parte dalle radici profonde di questo concetto, stravolgendolo in modo intelligente. Nella serie, infatti, il doppio che vediamo inscenato nasconde, sottilmente, una tripartizione della quale non sentiamo né il peso né l'eco, perché quell'uno in più viene quasi nascosto e alleggerito con dei flashback e non con dei passaggi narrativi più concreti. Il risultato è uno scontro interiore e fisico tra la protagonista e la sua controparte Tamara con la memoria di una terza sosia, Aleida Trujano, che rimane più sullo sfondo. Il tutto risulta ancora più affascinante se pensiamo che si tratta dell'adattamento effettivo di una storia realmente accaduta, un esperimento sociale che è stato realmente eseguito con una risoluzione purtroppo tragica.
Ecco quindi che la narrazione, partendo dalla verosimiglianza, inganna più volte lo spettatore, spingendolo verso teorie totalmente assurde e prive di fondamento che però, per come sono costruite, hanno senso di esistere perché coerenti con la storia narrata. L'illusorietà di Tríada è probabilmente lo spunto più originale dell'intera serie, accompagnato da una regia rarefatta ed evanescente, che prende come modello visivo e strutturale lo show Shining Girls. Puntando, allo stesso modo, al caos e alla confusione estetica, sovrapponendo analessi, visioni, coincidenze e casualità, questa nuova opera arriva però a conclusioni diametralmente opposte. Perché se in Shining Girls il piano sovrannaturale è ben evidenziato ed è parte preponderante dell'esperienza visiva, in Tríada è solo suggerito ed è l'ennesimo elemento di disturbo che porta il pubblico completamente fuori strada. Una serie thriller che quindi, solo di facciata si dipinge di mistery, ma che nasconde bene una spiegazione realistica e scientifica, anche se chiaramente la sospensione dell'incredulità è sempre dietro l'angolo.
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Una scrittura ambiziosa, ma non risolutiva
Detto questo, la narrazione dell'opera non è in grado di risolvere sempre i vari misteri presenti all'interno della storia. In primis perché ci sono degli evidenti buchi di sceneggiatura, dei punti rimasti vuoti che portano poi a delle forzature più o meno esplicite all'interno della trama. In seconda battuta perché, quando si arriva al termine della serie, alcuni enigmi e situazioni rimaste in sospeso non arrivano ad una risoluzione definitiva, a tal punto che la conclusione di Tríada rimane affrettata e approssimativa, un finale che quindi chiude l'intreccio in modo fin troppo rapido, alterando tra l'altro il ritmo dell'opera. Fino a quel momento, infatti, lo show mantiene più o meno stabilmente un andamento compassato, volto ad un'indagine narrativa fatta di piccoli passi e ciò cambia nella puntata conclusiva dove si ha l'impressione che la trama debba necessariamente concludersi nella maniera più veloce e indolore possibile, senza soffermarsi più di tanto sulle pesanti rivelazioni da poco apprese. D'altro canto, nonostante queste instabilità narrative, la regia cerca in tutti i modi di tenere un preciso filo conduttore, al tempo spesso sperimentando con salti temporali e tematici e il risultato è piuttosto gradevole perché riesce perlomeno a mantenere una coerenza stilistica e visiva, senza troppi stravolgimenti.
Una nota di merito, in particolare, va all'attrice protagonista, Maite Perroni (Che fine ha fatto Sara?, Oscuro desiderio), che riesce ad interpretare tre personaggi differenti portando avanti una stratificata e complessa prova attoriale che si rimodula a seconda del contesto. Cambiando ceto sociale, ambiente e frequentazioni, la Perroni esprime diverse sfumature caratteriali, costruendo, di fatto, tre figure che sono accomunate solamente del medesimo aspetto estetico, perché per il resto siamo di fronte a sosia totalmente opposte. Il cast che rimane, anche se in parte sfigura in presenza di una performance così intensa e al tempo stesso inaspettata, mantiene saldamente le redini della storia, con interpretazioni che, seppur non memorabili, valorizzano sempre e comunque sia la protagonista che la narrazione stessa. In particolar modo Nuria Bages (Soledad, Mi querida Isabel) dà vita alla psicologa Julia, un personaggio perennemente in bilico tra oscurità e luce, dando tanto peso all'ambiguità dei suoi gesti e delle sue espressioni.
Conclusioni
Nella nostra recensione di Tríada abbiamo analizzato l'instabilità di fondo di un progetto che, a fronte di un ritmo discontinuo e di un finale decisamente troppo accelerato e impreciso, propone agli spettatori una narrazione fuori dagli schemi. La storia, infatti, illude e inganna continuamente il pubblico, spostando l'attenzione su elementi per nulla importanti ai fini risolutivi della trama, riuscendo ad attirarlo in un gioco appassionante. Allo stesso modo anche la regia, che fa uso spesso di immagini evanescenti di chiara matrice soprannaturale, depista più volte, nascondendo in profondità una spiegazione del tutto logica. Una serie che quindi, nonostante i difetti segnalati, è interessante, specialmente nella modalità con cui affronta il tema del doppio, mettendo in risalto l'incredibile talento multiforme di Maite Perroni.
Perché ci piace
- Una narrazione ipnotica e illusoria che gioca con lo spettatore.
- La regia crea l'illusione del soprannaturale, nascondendo una spiegazione scientifica.
- La performance multiforme di Maite Perroni.
Cosa non va
- Un finale approssimativo e affrettato.
- Una scrittura che lascia aperti troppi spiragli, con vari buchi di sceneggiatura.
- Un ritmo instabile.