No, questa volta no. Questa volta nemmeno il nostro falegname avrebbe saputo fare meglio. Con trentamila lire o con un più soldi a disposizione, fa lo stesso. No, perché Tre uomini e una gamba è perfetto così com'è: con le sue ingenuità, con la sua freschezza acerba che è maturata benissimo, con le sue battute scolpite nel nostro immaginario collettivo. Basta dare una rapida occhiata ai meme e alle gif che invadono le bacheche dei social network per accorgersi di quanto l'esordio cinematografico di Aldo, Giovanni & Giacomo si sia intrufolato nella memoria di molti attraverso battute diventate modi di dire e con i suoi sketch imparati a memoria e ripetuti a menadito tra amici. Se anche voi ritenete sopravvalutata l'arte del compianto Garpez, sogghignate al pensiero della maglia nerazzurra di Sforza, avete paura delle rocce franabili e sapreste ricostruire il codice fiscale di Ajeje Brazorf, siete nell'articolo giusto. Qui a rispolverare i tanti ricordi che ci legano a Tre uomini e una gamba, l'esordio cinematografico di Aldo, Giovanni e Giacomo arrivato nei cinema italiani esattamente 20 anni fa, il 27 dicembre del 1997.
Dodici mesi dopo Il ciclone di Leonardo Pieraccioni, un'altra abbuffata imprevista di risate si abbatteva sulle nostre sale; una scorpacciata dal sapore vario come la comicità trasversale del mitico trio che si era fatto le ossa tra palcoscenici e programmi tv. La triade ben assortita, legata da un'alchimia non comune e da una perfetta miscela tra pungente cinismo milanese e impeto siculo, dove a Giovanni tocca la parte del pignolo un po' bastardo e sprezzante, a Giacomo quella dell'uomo zelante, timoroso, bloccato dalle sue stesse paure e ad Aldo Baglio quella dell'ingenuo maldestro ma di buon cuore. Impreziosito da una comicità spontanea e pulita, Tre uomini e una gamba procede scorrevole, come un viaggio tra amici senza intoppi, senza mai inceppare nella facile tentazione della volgarità. Prima del film della definitiva maturità, che sarebbe arrivato tre anni più tardi con lo splendido Chiedimi se sono felice, Tre uomini e una gamba mette in scena una commedia on the road basata sullo scontro di caratteri che, alla fine, poco per volta, confluiscono nella stessa strada.
Vessati da un suocero prepotente e ricattatore e segnati dalla nomea di buoni a nulla baciati dalla fortuna, Aldo, Giovanni e Giacomo sfruttano l'autostrada che divide Milano da Gallipoli per capire davvero dove stessero andando le loro vite. Così, dopo peperonate alle otto del mattino, assurde capriole in autogrill e coliche renali davanti ad un film neorealista, il trio scopre il bello del non accontentarsi, impara a sognare e fa retromarcia, dando le spalle ad una mesta vita di comode ma tristi sicurezze. Il tutto raccontato con piglio fresco e una vena comica accessibile nonostante la scrittura mai banale. Così, con quel suo titolo degno del teatro dell'assurdo, ecco come Tre uomini e una gamba ci fa ridere ancora dell'inettitudine, come ci ha insegnato a mangiare "cadreghe" e ad apprezzare quel suo tocco davvero raro, soprattutto oggi che ci sembra così lontano e disperso. Diciamo a voi, Aldo, Giovanni e Giacomo, amici a cui siamo grati, ovunque voi siate finiti.
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Tre corti e una gamba
Lo abbiamo definito acerbo ed ingenuo, perché, a ben guardare, Tre uomini e una gamba ha tutte le caratteristiche di un'opera prima. Poco coeso e segmentato, il film diretto dal trio assieme a Massimo Venier sembra un vivace college di sketch tenuti insieme dalla simbiosi inestricabile di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ecco perché all'interno del film ci sono tre cortometraggi del tutto scollati dalla storia principale, ognuno con un tono diverso e un rimando ben preciso ad un genere cinematografico. La sequenza d'apertura, dallo stile grottesco e quasi tarantiniano, richiama un gangster movie e vede la prima apparizione dei tre criminali che rivedremo solo anni dopo in La leggenda di Al, John e Jack. Il secondo è l'indimenticabile corto neorealista del controllore pedante e del mitico Ajeje Brazof, durante il quale i nostri tre si dimostrano fan accaniti dei loro alter ego cinematografici. E, infine, l'horror gotico con il Conte Dracula terrone e i due nordisti, pieno di momenti di "tensione linguistica".
Ma vai, ma vieni
"Certo che sei proprio bastardo". Questa frase viene rivolta spesso e volentieri al buon Giovanni, colpevole di essere pignolo, sprezzante e assai pungente. Il suo atteggiamento vagamente sadico e il suo spirito competitivo non si fermano davanti a niente e nessuno, nemmeno dinanzi a dei bambini che vogliono giocare. Colpevoli noi, quindi, che ridiamo lo stesso al pensiero del nostro che straccia a braccio di ferro un pargolo o deride a suon di capriole un gruppo di ragazzini.
Luci a San Siro
Subito dopo aver abbandonato il cane Ringhio al suo atroce destino, il trio si rimette in marcia verso il profondo Sud. Come in ogni buon viaggio on the road che si rispetti, la scelta della musica da ascoltare in auto è un momento fondamentale. Niente da fare per i Cugini di Campagna, la cui audiocassetta vola dal finestrino. Prima dello spaventoso impeto ispirato da Vesti la giubba ("Ridi, pagliaccio"), però, è Roberto Vecchioni a scardinare ogni corazza, rievocando anche nel cinico Giovanni i ricordi di una grande Inter ormai passata. Una nostalgia che proveremmo anche noi, oggi, inserendo nel nostro lettore la VHS di Tre uomini e una gamba. Non ce la faremmo, troppi ricordi. Appunto.
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Professorone. Di stirpe
"Ti ha lasciato lui! Con la tua migliore amica!". Il tatto con cui Giovanni rievoca a Chiara (Marina Massironi) la sua rottura con l'ex fidanzato è una delle chicche del pranzo durante il quale Giacomino non solo si innamora definitivamente della ragazza (ricordate il Simposio di Platone?), ma ingerisce delle cozze letali. Arrivati al pronto soccorso, il siparietto tra un insolito Aldo esperto di medicina e il medico infastidito interpretato da Augusto Zucchi (che tornerà in un ruolo simile in Chiedimi se sono felice) ruba la scena.
Niente di serio
Imprevisto come un tamponamento, l'innamoramento improvviso di Giacomo nei confronti di Chiara è la chiave rivelatrice del film, lo scossone che smuove tre uomini da una vita comoda ma infelice. Mentre tra Giovanni e Aldo si creano strane complicità (tra mezzi limoni e coreografie acquatiche), Giacomo sminuisce il suo matrimonio con un'altra battuta iconica.
Il Marocco è forte fisicamente
La scena delle scene. La sequenza madre. Ogni volta che viene segnato un gol di testa da incorniciare (qualcuno ha detto Brignoli del Benevento?), qualcuno rievoca l'epico tuffo di Aldo, riemerso dalla sabbia per insaccare il pallone "in rete" dopo il perfetto cross mancino di Giovanni. Mentre Vinicio Capossela ci racconta in sottofondo Che coss'è l'amor, Chiara para rigori con meravigliosi colpi di reni e Giovanni esulta come un dannato. Però, si sa, il Marocco è forte fisicamente, e la sconfitta per 10 a 3 è inevitabile. Non resta che vendicarsi con un agguato che cita le rapine di Point break, Punto di rottura. La maschere di Scalfaro e Cossiga sono già storia. L'improvvisa voglia di caffè di Aldo, anche.
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Era occupato
Altra sequenza rimasta negli annali, esilarante ma anche piena di significato. L'ombra opprimente del suocero burino si staglia sul trio di cognati, così Aldo decide finalmente di sfogarsi e dichiarare a gran voce un malessere e una frustrazione covate per anni e anni. Una telefonata liberatoria e doverosa. Peccato solo che fosse occupato.