Difficilmente classificabile la programmazione dell'ottava giornata del Far East Film Festival 2009, nettamente divisa tra la leggerezza delle commedie, con la Corea del Sud a farla da padrone, e l'energia del cinema d'azione, che segna il ritorno del kung fu classico con Ip Man. In mezzo, un film non facilmente etichettabile come Love Exposure, al di fuori di ogni convenzione a partire dalla chilometrica durata (237 minuti).
Anche la Cina sperimenta la via alla commedia con il curioso The Story of the Closestool. Il regista Xu Buming tenta, infatti, di realizzare un ritratto della società cinese negli anni'80, segnata da incredibile povertà e intrisa della retorica di regime, attraverso una prospettiva decisamente insolita: l'attaccamento, quasi morboso, di una giovane ragazza per un gabinetto, che decide addirittura di farsi costruire in casa. Il gesto avrà delle conseguenze inaspettate in tutto il villaggio in cui vive la protagonista, mettendo in luce in maniera tragicomica i paradossi e le contraddizioni della cultura cinese dell'epoca.
In fatto di commedie, tuttavia, i film coreani rimangono ancora ineguagliabili nella capacità di saper confezionare un prodotto in grado di catturare immediatamente l'empatia del pubblico, non solo locale. Lo ha dimostrato ampiamente l'irresistibile Scandal Makers, vero e proprio evento della serata, applaudito senza sosta dalla platea udinese. Pur partendo da situazioni non certo nuove, e anzi prese in prestito dalla commedia hollywoodiana - il protagonista, un presentatore radiofonico di successo, vede scombussolata la sua vita dall'arrivo di una giovane donna, con bambino al seguito, che sostiene di essere sua figlia - il regista esordiente Kang Hyeong-Chul dimostra già di padroneggiare i ritmi della commedia, dosando con abilità gag divertenti, momenti romantici e numeri musicali.Tutt'altra impostazione segue invece Love Exposure, ennesimo esempio di cinema estremo del regista giapponese cult Sono Sion, salito alla ribalta con Suicide Club. È praticamente impossibile inquadrare un film del genere in poche righe: si tratta di un vero e proprio affresco delle derive del Giappone contemporaneo, realizzato con uno stile fluviale che mescola estetica pop, violenza estrema e sperimentazioni con la camera digitale. Pur nell'impostazione decisamente grottesca e surreale, il film di Sion riesce a non cadere mai del ridicolo, ma anzi prende di petto alcuni nervi scoperti della società giapponese, imbrigliata da costrizioni sociali e religiose che impediscono un regolare sviluppo emotivo degli individui.
Si cambia decisamente pagina con i film della serata, in cui sono calci e pugni a farla da padrone: il tailandese Fireball, incentrato su un improbabile torneo clandestino che mescola il basket con la thai boxe e Ip Man, film di kung fu dal respiro classico, diretto dal veterano Wilson Yip. La star Donnie Yen incarna la figura del maestro d'arti marziali Ip, che metterà le proprie arti marziali al servizio del suo popolo durante l'invasione giapponese. In questo caso, più che di semplice kung fu movie si può parlare di un vero e proprio affresco storico dal taglio epico, che riecheggia alcuni capolavori del cinema di Hong Kong come Once Upon a Time in China. Wilson Yip rifiuta nettamente l'estetica digitale dei nuovi film di cappa e spada cinese e si riallaccia alle origini del cinema di kung fu, con un'impostazione che privilegia temi patriottici e combattimenti realistici. Merito anche delle coreografie di un altro veterano Summo Hung (a lungo in coppia con Jackie Chan), che ha saputo conferire dinamismo a una tecnica soprattutto difensiva come il Wing Chun. Il risultato è uno degli action più convincenti degli ultimi anni.