Tra arte e natura
Il mondo dell'animazione negli ultimi anni sembra aver allargato i suoi orizzonti, allontanandosi dal monopolio che, almeno da noi in occidente, aveva avuto la Disney, portando alla ribalta altri studios che, con il passaggio alla grafica generata al computer, si sono saputi imporre all'attenzione generale. Il primo nome che viene in mente è indubbiamente quello della Pixar, seguito a ruota da DreamWorks e Blue Sky Studios, ma affiancato da una serie di produttori meno noti che poco per volta si stanno facendo strada in USA, ma anche qui in Europa. Si tratta di un'attenzione maggiore che ha in qualche modo favorito l'uso dell'animazione tradizionale per scopi più puramente artistici ed autoriali, da Persepolis a Valzer con Bashir, fino a L'illusionista che proprio in queste ultime settimane è arrivato nelle nostre sale.
Non è il caso di Mià e il Migù, che seppur appartenente al magico mondo dell'animazione tradizionale, si mantiene ancorato alla dimensione favolistica e pedagogica del racconto per bambini.
E proprio nei bambini trova i suoi protagonisti: da una parte la piccola Mià del titolo ed il suo viaggio che parte da un piccolo paese dell'America Latina e la conduce, alla ricerca del padre scomparso, nel mezzo di una natura fatta di lussureggianti foreste e creature fatate; ed in Aldrin, in viaggio negli stessi luoghi con il padre imprenditore Jackhide, impegnato a salvaguardare l'affare della sua vita, cercando di nascondere le evidenti difficoltà in cui il suo cantiere si trova per convincere gli investitori a non tirarsi indietro.
Quelli dei due bambini sono due percorsi separati che si intrecciano, portandoli a collaborare, tra loro e con i Migù, le creature magiche che vivono nella foresta e custodiscono l'imponente albero che ne è il cuore, per salvare il mondo della natura in pericolo.Il tema ecologista e l'impegno ambientalista sono infatti centrali in Mià e il Migù e vengono ribaditi in vario modo per tutta la durata della pellicola, fino alla canzone che accompagna i titoli di coda, sottolineando i danni che l'uomo continua ad infliggere al pianeta con il suo comportamento.
Seppur predominante, quello ecologista non è l'unico tema maturo che fa capolino tra i risvolti di una storia dall'impostazione semplice, da fiaba, che si rivolge con delicatezza e dolcezza al mondo dei più giovani: il cantiere in cui lavora Pedro, il padre di Mià, è l'occasione per accennare allo sfruttamento ed alla condizione dei lavoratori, mentre il difficile rapporto tra genitori e figli in un mondo carico di impegni come il nostro si riflette in quello di Aldrin ed il padre; così come appare evidente il voler mettere in scena il contrasto tra regioni ricche e povere del pianeta. Non si tratta però degli unici motivi di interesse di Mià e il Migù, che nel dicembre 2009 a Bochum in Germania si è aggiudicato l'Oscar Europeo del cinema d'animazione: spicca anche l'aspetto puramente stilistico, assolutamente artigianale e lontano da quello che va per la maggiore nell'ambito dell'animazione mainstream. Quello del film di Jacques-Remy Girerd, al suo secondo lungometraggio dopo La profezia delle ranocchie, è un tratto ricercato nella sua semplicità, che si avvale di colori caldi e di richiami al mondo dell'impressionismo, e più in particolare ad artisti come Cezanne e Van Gogh, risultando una piacevole sorpresa nel campo dell'animazione europea (il film è prodotto con fondi francesi e, parzialmente, italiani), qualcosa di diverso dai colossi del cinema per ragazzi che stanno invadendo le sale per Natale (dalla Disney con Rapunzel a Megamind e Narnia), ma al quale speriamo che il pubblico possa riservare un minimo di attenzione.
Movieplayer.it
3.0/5