È da poco passato un anniversario importante, i 55 anni dalla scomparsa di Totò, e Panini Comics ha colto l'occasione per presentare il primo volume di Totò, l'erede di Don Chisciotte, un'opera inedita firmata da Fabio Celoni e concepita partendo dal recupero di un trattamento cinematografico mai realizzato dal Principe della Risata. Si tratta di una graphic novel inedita sviluppata in due parti, o dovremmo dire due tempi, il suo primo tempo è attualmente nelle librerie e sul sito panini.it dalla pubblicazione del 21 aprile. Un volume interessante per quel che rappresenta, ma prezioso anche per il lavoro del suo autore Fabio Celoni, che ha riportato in vita il celebre attore con uno stile unico in cui la passione per Totò è evidente in ogni tavola. Approfittando della trasferta al Comicon di Napoli, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l'autore per farci raccontare il ritrovamento di questo soggetto firmato da Antonio Pietrangeli, Cesare Zavattini, Lucio Battistrada e altri, e la sua passione per Totò che l'ha portato a realizzare questo sentito omaggio.
Nascita di un fumetto e di una passione
Com'è nata questa idea di realizzare finalmente questo film di Totò... a fumetti?
L'idea nasce dalla mia passione per Totò e risale all'infanzia. Sin da bambino, da milanese, sono stato appassionato di Totò e dei suoi comprimari. Diversi anni fa avevo sentito che c'era un Don Chisciotte che Totò avrebbe dovuto girare, una specie di leggenda metropolitana. Ho fatto un po' di ricerche su internet e ho scoperto che era stato scritto un soggetto da noti sceneggiatori e registi degli anni '40. Parliamo di Zavattini, di Pietrangeli, Aldo Vergano e altri. A quel punto, visto che avrei tanto voluto fare una storia omaggio a Totò, ma senza dover ridurre a fumetti qualcosa che aveva già girato, che sarebbe stato abbastanza inutile dal mio punto di vista, mi sono messo alla ricerca e ho scoperto che questo soggetto era davvero stato scritto ed esisteva al Centro del Cinema di Cesena, in un archivio. Ho contattato il direttore dell'istituto, Antonio Moraldi, e gli ho spiegato quello che volevo fare: realizzare questo film perduto di Totò a fumetti. Si tratta di un progetto a cui teneva veramente tanto, che aveva inseguito tutta la vita. Lo diceva in interviste, lo dicevano i colleghi, e l'ho preso come un mio regalo a Totò per ricambiare i suoi.
Totò, bombetta e dispetti: l'altra faccia di un Principe "mascalzone"
Hai parlato di una tua passione per Totò dall'infanzia: come nasce?
Per me Totò è universale, non c'è una barriera culturale, non è legato a una napoletanità. Certo, Totò è Napoli e non potrebbe che essere così, ma da grande maschera quale è stato, come Chaplin, sarebbe stato veramente universale, come Chaplin appunto, se non avesse basato parte della sua comicità sulla parola, sui giochi di parole. Non è però legato solo al dialetto napoletano, perché era comprensibile. Era una maschera dell'arte che riusciva a farsi capire, perché andava a toccare quei tipi umani universali, che sono uguali ovunque, e tutte le sfumature dell'animo umano, dal divertimento alla tragedia alla farsa. È andato a toccare dei punti cardine della comicità con un genio che non era comune. Un personaggio unico e irripetibile. E non lo dico io, ma i suoi grandi colleghi. Da bambino milanese, mi piegavo dalle risate, anche se non avevo mai sentito parlare napoletano: lo capivo benissimo, mi toccava profondamente la sua comicità.
Da napoletano, sapevo ovviamente che fosse universalmente noto e apprezzato, ma credevo che una passione vera fosse più difficile...
Sai che non sono d'accordo? La mia passione per Totò mi ha portato a parlarne con altri amici in tutta Italia e ho trovato una varietà geografica totale di amanti di Totò. Quando abitavo a Praga, con i miei amici italiani parlavamo di Totò, ci raccontavamo le sue battute... come Totò e Berlino divisi a Berlino.
Il soggetto ritrovato
Sai in che anni era stato realizzato il soggetto?
Antonio Moraldi era riuscito a mettere le mani su questo fondo che ha tutto il materiale di Antonio Pietrangeli. Quando sono andato a visitare il Centro del Cinema ho ritrovato tutto il materiale originale, i dattiloscritti della fine degli anni '40, si parla del 48/49, quando Totò era nel pieno della sua carriera, negli anni de L'imperatore di Capri e Totò le Mokò. Lui aveva firmato anche già un contratto per questo film e non si sa bene perché non sia mai stato realizzato, probabilmente per la sovrabbondanza di offerte che aveva in quegli anni e anche perché si sarebbe trattato di uno sforzo produttivo importante. Sarebbe stato un film a colori, con un gran lavoro sulle scenografie. Penso che abbia deciso di non fare l'ennesimo film veloce, proprio perché ci teneva molto e voleva che fosse più curato dei tanti film che faceva in quegli anni. Questo gliel'ha fatto procrastinare finché non ha avuto anche il problema agli occhi e faceva sempre più fatica a recitare.
Totò: 5 stranezze che forse non conoscete sul Principe della risata
Si trattava di soggetto vero e proprio, non una sceneggiatura completa?
Ho trovato ben quattordici versioni della storia. Sia in forma di soggetto che più articolati. In alcuni c'erano parti che in altri non c'erano, c'erano ripensamenti, in altri una scaletta, c'erano delle scene complete e un trattamento cinematografico completo, ma non una sceneggiatura vera e propria.
Che hai provato quando hai letto questa storia?
Una grande emozione, sapendo che era stato scritto per Totò, che era un film che lui voleva realizzare a tutti i costi e che aveva letto, visto che aveva firmato già un contratto. Inoltre era stato scritto da grandi nomi di quegli anni.
Che lavoro hai fatto per tradurla in un fumetto?
Ho cercato prima di tutto di realizzare un soggetto che fosse unico, scegliendo le parti che avrei voluto tenere e quelle che si intuiva che anche gli altri avrebbero mantenuto. Ho scritto una scaletta definitiva e l'ho sceneggiata in forma di storyboard, con dei tempi fumettistici che sono diversi da quelli cinematografici, che è venuta di 160 pagine e abbiamo diviso in due albi. Abbiamo voluto sfruttare l'impostazione cinematografica, sottolineandola dividendo la storia in due tempi.
Il ritorno di Totò
Non avendo dialoghi già scritti, come è stato far parlare Totò?
Non è facile! Anche nei testi che ho trovato, c'erano degli abbozzi di dialoghi, ma non era Totò. Li avrebbe rivoluzionati ed era chiaro leggendo. Erano dei testi a volte macchiettisti, a volte legati a Totò delle origini, c'erano delle parti con giochi di parole, ma mancava il guizzo di Totò. E mi sono reso conto di un'evidenza: parlare con lui è impossibile, altrimenti ci sarebbe un altro Totò. Da una parte ho alzato le mani, dall'altra ho tentato di avvicinarmi a quello che per me era Totò, a tutto quello che ho ascoltato e riascoltato centinaia di volte, cercando di sentire lui che mi parlava nelle orecchie.
La difficoltà più grande nel disegnare e far rivivere Totò su carta? A quale ti sei rifatto di più?
Sono troppi! Anche negli anni '60 ci sono stati capolavori, da quelli con Fabrizi ad altri con Peppino. Totò ha iniziato nel '37 e ha finito nel '67, ho fatto una via di mezzo, un Totò che non è giovanissimo ma nemmeno quello degli ultimi tempi. Fisicamente è un quaranta/cinquantenne in forma.
Quanto è stato difficile trovare il tuo Totò?
Molto! Pensavo che fosse facile da disegnare, perché il suo volto è così caratteristico, ma rischiavo la caricatura. Si vedono caricature anche in rete che funzionano, ma hanno la prerogativa di funzionare sulla singola immagine, invece farlo recitare richiede una sintesi che deve funzionare sempre. Ho dovuto trovare una sintesi che mi aiutasse nella recitazione. Totò ce l'ho nella testa, ma forse questo lo rende anche più difficile, perché lo do per scontato perché il fumetto è narrazione, devo raccontare una cosa che io so e il lettore no.
Il lavoro di fumettista
C'è una cosa dell'albo che ho adorato ancor prima di entrare nella storia: i credits con i ruoli, in cui c'è l'elenco di tutto quello che hai fatto in prima persona, dal direttore della fotografia allo scenografo, il costumista, ecc. E in fondo è vero, perché un disegnatore di fumetti è tutto questo quando crea. Qual è l'aspetto in cui ti senti più a tuo agio?
È una gag che tra di noi ci diciamo sempre. C'è una grande similitudine tra cinema e fumetto come tipo di linguaggio, pur con i tempi diversi. L'autore di fumetti, l'autore completo almeno, è sicuramente il regista, è lo scenografo, il costumista, fotografo, è anche attore, perché devo farli recitare, addetto al casting perché devo cercare le facce giuste. Volendo fare questo omaggio al vecchio cinema, con i quadri iniziali, ho scelto questa strada. Dopo tanti anni ormai faccio il lavoro complessivo senza preoccuparmi troppo dei singoli ruoli, quando faccio un layout di tavola, già c'è dentro tutto, c'è già il lavoro di regista con la gestione degli spazi, c'è già un abbozzo di luci, perché le luci sono narrazione. La stessa scena con due luci diverse ti racconta due cose diverse. Insomma è una summa del lavoro che ti trovi a fare nel corso della carriera.
Hai lavorato per la Disney, hai lavorato per la Bonelli, hai sperimentato stili e toni diversi: qual è quello in cui ti senti più a tuo agio?
A me piace disegnare, anzi mi piace raccontare perché scrivo anche. Sin da bambino mi piaceva fare questo e ho la fortuna di riuscire a fare sia uno stile umoristico che uno più bonelliano. Questo era uno stile un po' sperimentale, un approccio che non avevo ancora affrontato. Mi sono divertito e spero che si veda!