Dopo gli scorsi duetti tra Bellocchio-Bertolucci e Servilo-Verdone, quest'anno il Festival di Roma ospita un nuovo incontro tra due autori italiani recentemente al centro dell'attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori: Giuseppe Tornatore e Gabriele Muccino. Due registi che Mario Sesti, direttore de "L'altro cinema - Extra", definisce "dotati di una capacità di voce e di potenza in grado di raggiungere il pubblico più vasto e incondizionato". Anche l'edizione 2009 rispetta la struttura dell'incontro-confronto che mette insieme due personaggi autorevoli del cinema italiano in un dialogo aperto ma anche attraverso reciproci omaggi con la scelta personale di alcune significative sequenze dell'altro. Tornatore e Muccino sono due sguardi diversi all'interno della cinematografia italiana, si rispettano e si ammirano a vicenda, ma, soprattutto, tra i loro film, le tematiche affrontate e gli stili visivi ci sono non pochi elementi di raccordo che li avvicinano. Il confronto tra i due cineasti non solo ci permette di ripercorrere le loro carriere, che s'incontrano in una citazione del giovane Muccino, ma anche di conoscerne meglio la sensibilità, di appurare la modestia e la moderazione di Tornatore e le ansie e le insicurezze di Muccino.
Di Baarìa, il film che ha inaugurato la 66 Mostra del Cinema di Venezia, con strascichi più politici che cinéfili, Muccino tiene a dare subito il suo giudizio positivo chiarendo "Ero un po' scettico perché in alcuni film spesso ho visto una certa ridondanza di Giuseppe come se non riuscisse a centrare qualcosa. In Baarìa invece ho visto tutto il suo amore assoluto per il cinema, un amore profondo, viscerale, sanguigno per la sua terra e per il nostro paese. Ho capito con questo film, che secondo me è il suo capolavoro, che tutto quello che voleva dire si risolve. Adesso non vorrei essere nelle tue scarpe, come si dice in inglese - Muccino si rivolge scherzoso a Tornatore - perché dovrai andare oltre".L'evento si apre con la proiezione di alcuni materiali inediti del giovane Tornatore, un frammento di documentario di 4 minuti che riporta indietro nel tempo il regista e apre a un interessante focus sulla visione delle proprie opere. Tornatore, in un tenue imbarazzo ma anche coinvolto probabilmente da un amarcord personale, spiega: "Questi sono estratti in super 8 che ho realizzato da ragazzo, sono in pessime condizioni perché risalgono agli ani '70. Ho moltissime cose girate ma mai montate, più di 10 ore di filmati e alcune sequenze fatte quando collaboravo alla Rai ma successive". Muccino confessa invece di non aver portato materiale legato ai primi esperimenti da ventenne perché se ne sarebbe vergognato e allora Tornatore lo rassicura sull'età: "Io questo l'ho superato perché sono delle testimonianze di una vocazione, di un viaggio e mi sento interessato a tutti gli errori commessi magari in passato". Muccino allora spiega il continuum della sua opera: "È come se avessi sviluppato nel corso dei miei film un percorso di crescita che intanto comunque nel momento in cui lo passo al vaglio della visione mi sfugge...". Tornatore sorride accennando a una tendenza ricorrente tra i registi: "Quando un regista analizza una storia e cerca di capire se è nelle sue corde capisce se il film che ha fatto si può continuare." Giuseppe Tornatore riprende a parlare della ridondanza, accusa frequente mossa al suo cinema: "È una cosa che mi sono sentito dire spesso quella della ridondanza, ma forse nessuno ha mai pensato che fosse proprio il mio stile - incalza con allusione il regista. Mi sembra strano che proprio questo film che poi è il più ridondante di quelli finora diretti venga poi definito "risolutivo". Lo stesso tipo di osservazioni mi erano toccate già con La sconosciuta, con Una pura formalità e con L'uomo delle stelle, ma non lo capisco appieno".
L'incontro si alterna alla visione di alcune sequenze cinematografiche, la prima offerta al pubblico è scelta da Muccino e si tratta di L'uomo delle stelle, in particolare il celebre piano sequenza in cui il popolo siciliano rimastica le battute di Via col vento. Gabriele Muccino motiva brevemente la sua selezione: "Ho scelto questa scena perché è molto bella ed elegante, racchiude tutta la poetica di Giuseppe: è il nocciolo di tutto quello che c'è intorno". Il regista siciliano spiega allora: "L'idea era quella di raccontare la febbre di un paese che si prepara a ripetere due battute del celebre film e man mano che vediamo il meccanismo delle storpiature quel film diventa qualcos'altro. Credevo fosse più interessante realizzarla con un avvitamento costante, con questa follia in salita. Quando devo trovare una soluzione cerco sempre di essere fedele stilisticamente e questo qualche volta può essere visto come un'ostinazione. Poi il finale de L'uomo delle stelle era diverso perché il protagonista andava via e ritrovava per strada soldati e briganti di un'altra epoca che poi avrebbe ritrovato in un film di Pietro Germi durante il quale veniva preso in giro. Era un finale un po' meno tragico che non s'è potuto fare per mancanza di soldi". Tornatore invece ha scelto del collega la sequenza di Come te nessuno mai in cui i gruppi di ragazzi protagonisti sono in due luoghi diversi nello stesso tempo e stanno parlando del loro senso dell'amore in maniera molto diversa. Tornatore la trova " divertentissima" e aggiunge: "Ho trovato in questa sequenza una cifra costante di Gabriele che lo identifica perfettamente. Qui vediamo dei ragazzi coetanei che parlano di quello che gli sta a cuore e questo loro parlare è di per sé un meccanismo comico. Questo l'ha sviluppato ulteriormente in altri suoi film come L'ultimo bacio, dove però i personaggi non hanno più la stessa età, ma il continuo viaggio, efficace e brillante, tra diverse generazioni è profondo e allo stesso tempo divertente. Quest'aspetto del suo cinema lo trovo estremamente interessante. Credo che i suoi personaggi siano tutti ispirati dallo stesso desiderio, che poi ha dato il titolo a uno dei suoi ultimi film: La ricerca della felicità! Un titolo che Muccino ha usato per un film in cui vediamo tutt'altro che felicità". Muccino risponde ai complimenti di Tornatore annuendo: "Mi ritrovo molto in questo voler vedere le cose da una parte della medaglia e anche dall'altra. Certo, rivedendo il film provo imbarazzo perché mi sembra così naif. Ora che mi ci ritrovo di fronte come uno spettatore mi sembra così lontano, magari avrei potuto migliorare i dialoghi". Il confronto tra i due registi torna alla parte iniziale di questo duetto e Tornatore afferma: "La reazione di un regista a un suo film è un aspetto interessante. In genere io non vedo il mio film dopo averlo finito perché altrimenti ne vedo solo i difetti e non ho più la percezione della forma di continuità della storia. Ci riesco solo molti anni dopo e anch'io provo un po' d'imbarazzo , ma ho perso l'ossessione per i soli difetti". Muccino è d'accordo e conferma quest'approccio inaspettato ai propri film da parte degli autori: "I film li vedo tante volte durante la lavorazione e il montaggio che mi accompagnano per più di un anno e quando li finisco penso solo a quelli successivi perché ne ho la nausea!" Tornatore ribatte alludendo a registi dei quali però non menziona il nome: "Ci sono registi che dopo aver girato dicono di essere contenti del risultato. Io di solito resto sempre un po' turbato di fronte a queste reazioni . Devo dire che li stimo e li ammiro". Gabriele Muccino interviene con una sana autocritica e una lodevole autoironia: "Io l'ho fatto una volta, ma poi ho capito che ho sbagliato". La sequenza doppia scelta per l'evento dal giornalista Mario Sesti affianca Nuovo cinema Paradiso e La ricerca della felicità, di entrambi vediamo le sequenze in cui sono protagonisti i bambini e il loro rapporto con gli adulti.
Giuseppe Tornatore: "In Nuovo cinema Paradiso non vediamo un padre e un bambino in realtà anche se il loro rapporto lo è a tutti gli effetti. Nel film di Gabriele invece il contesto è molto diverso e più forte. In fondo il rapporto tra adulto e bambino l'abbiamo visto molte volte nel cinema italiano.
Gabriele Muccino:"Siamo stati tutti figli e abbiamo avuto bisogno di essere protetti. Io credo che la fantasia sia la forma più grande per un bambino di essere protetto quando gli si nega la conoscenza di qualcosa, mentre si cavalca un dolore. Da adulti in qualche modo dobbiamo restituire quell'ombrello di protezione e vivere senza ansie. Un'altra sequenza doppia è quella delle sequenze dei suicidi dei protagonisti in Sette anime e Una pura formalità. I due registi le hanno raffigurate visivamente in modi molto simili pur avendole realizzate partendo da punti di vista quasi opposti. Muccino spiega come ha "pensato" la sequenza: "Sono entrato nei panni di un uomo ossessionato dai sensi di colpa. L'unica cura contro il dolore è l'assenza del dolore. È l'inadeguatezza a gestire il dolore che porta al suicidio. Ho raccontato il motivo di ciò che porta il mio protagonista a questa scelta nel momento in cui la mette in pratica". Anche Tornatore ha sviluppato questo tema seguendo un percorso parallelo: "Ci sono diverse analogie tra queste sequenze, soprattutto nella funzione rivelatrice perché il suicidio diventa un racconto di rivelazione. Il film di Gabriele si apre con un incipit legato al rito dei suicidio, che viene poi sospeso e torna chiudendo il cerchio alla fine. Anche Una pura formalità inizia in modo simile. Ma nel film di Muccino c'è una lucidità nel suicida, anche con questa bellissima immagine della medusa, ricorrente nel film. Io mi sono ispirato al delirio, alla confusione mentale di chi invece non riesce a commettere il suicidio e vive un tormento indefinito. Solo nel momento dell'on-off si prende coscienza della propria vita, negli ultimi istanti. Un'altra sequenza del cinema di Tornatore scelta da Muccino è invece la passeggiata del piccolo protagonista in Malena. Muccino dice di averla scelta perché "è il pretesto che Peppuccio trova sempre nei suoi film per raccontare qualcosa: c'è sempre qualcosa che si tramanda e questo è un topos che attraversa qualsiasi geografia e qualsiasi epoca storica nei tuoi film. Questi passaggi sono riconoscibili e sono meccanismi attraverso cui Tornatore snoda le sue storie". Il regista allora ribatte sorridendo: "Quando qualcuno cerca di quadrare il cerchio che hai fatto, ti sembra perfino più interessante!". Muccino osserva: "Malena è quello che non hai fatto con Baarìa - Tornatore intanto scuote leggermente la testa - che è un film complesso, un film sulla vita, che io non sarei capace di fare adesso". Giuseppe Tornatore ha scelto invece la sequenza de L'ultimo bacio in cui scocca il momento della seduzione tra i personaggi, poi dice: "Il sentimento è lo stesso della sequenza vista prima e tratta da Come te nessuno mai, ma i personaggi agiscono in modi diversi. Eppure sono tutti alla ricerca della felicità, dell'amore. Muccino è un abile maestro nel portare le situazioni a un corto circuito e il suo è uno stile geometrico che caratterizza il suo cinema e lui non si stanca di approfondirlo perché forse deve ancora approdare a una sua risoluzione. Deve fare il suo Baarìa!". Muccino ci racconta del significato profondo e quasi traumatico che ha avuto nella sua vita l'accoglienza de L'ultimo bacio: "Non ero preparato a quel successo perché poi diventi un bersaglio dei media e non sei pronto a gestire questa situazione. Nel mio caso mi paralizzò per i due anni successivi e l'ho superata solo quando sono andato in America. L'avventura americana mi è caduta in testa come se fossi stato estratto dalla lotteria della vita. Mi ha permesso di essere più coraggioso e ritornare con una leggerezza e un disincanto maggiori". L'ultima clip ci mostra un momento di citazionismo mucciano: nel film Sette anime il regista romano ha utilizzato infatti un brano composto da Ennio Morricone per La leggenda del pianista sull'oceano. Entrambi i registi ci spiegano il percorso che li ha portati a quel brano così singolare.
Gabriele Muccino: "C'è un lungo processo per testare i film in America e prima che questi vengano approvati di solito si utilizzano colonne sonore temporanee. Io usai quella del maestro Morricone che mi aveva colpito quando avevo visto il film di Giuseppe. Credo che quel brano racchiuda il pensiero di Morricone perché c'è una nota stonata superata poi da archi molto intensi. Io non ho mai lavorato con il maestro perché credo che mi troverei in enorme imbarazzo se un suo pezzo non dovesse piacermi... Poi dopo l'approvazione ho fatto come Tarantino che compra i brani e li usa nei suoi film!".
Giuseppe Tornatore: Quello è il brano che amo di più perché ha la genesi più assurda. Era l'ultimo tema che dovevamo inserire nella colonna sonora del film e telefonai a Morricone spiegandogli la scena, lo stato d'animo del personaggio... E lui fece un tema basato sull'ostinazione di una nota stonata".
Un lungo applauso saluta due registi che si sono offerti con enorme generosità al pubblico in un incontro che non si è fermato a un livello superficiale, ma è andato nel cuore di due filmografie e due autori che il nostro cinema fa bene a tenersi stretti.