Rompere quell'automatismo nefasto che porta a considerare tutti quelli che aderiscono ai movimenti No Tav come dei semplici teppisti. E' questo per Daniele Gaglianone il cuore del suo nuovo documentario, Qui, presentato alla 32.ma edizione del Torino Film Festival, nella sezione TFFDOC/Democrazia. Un lavoro, che sarà in sala a partire dal prossimo 27 novembre grazie alla Pablo di Gianluca Arcopinto, nato per spingere il pubblico a riflettere sulle profonde motivazioni che hanno portato un gruppo di persone a scendere in strada per rivoltarsi contro un sistema che considera la democrazia come "scatola vuota".
Sviluppatosi negli anni '90 per protestare con la costruzione di la linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, il movimento No Tav è una galassia multiforme che ospita diverse anime, raccogliendo le rimostranze di anarchici e antagonisti o di semplici famiglie che scoprono, per caso, che la propria abitazione sarà spazzata via dal nuovo progetto. Dieci in tutto le persone intervistate dal regista (ma molte testimonianze sono state accantonate per motivi di tempo), ognuna con una storia particolare e con un approccio diverso al problema. Così la rappresentate del volontariato sociale cattolico si affianca allo speaker di Radio Blackout, emittente dell'area antagonista di Torino, uniti dalla volontà di gridare forte il proprio no a quello che ritengono essere un sopruso.
Il racconto della democrazia
Sulla spinta delle riflessioni legate all'esito delle ultime elezioni Regionali, che hanno segnato un netto calo dell'affluenza alle urne, Gaglianone si esprime in maniera netta sul senso attuale della democrazia. "Mi chiedo perché si debba esultare per un risultato del genere - ha detto -, forse io non vivo in quel sistema solare lì. Che la gente non sia andata a votare è un segnale politico molto forte". "Non chiedetemi soluzioni, però, sono solo uno che racconta delle storie. Questa è una situazione complicatissima. Secondo me la classe dirigente, e non solo i politici, è sempre più inadeguata ai problemi che si trova ad affrontare, c'è un intreccio tra incapacità, sciatteria o strategia e questo mi preoccupa molto, perché potenzialmente potrebbe succedere di tutto".
Storia di un documentario partigiano
Val di Susa, allora, come specchio delle contraddizioni di un Paese in cui la Cosa Pubblica è gestita male e senza alcuna reale partecipazione da parte dei cittadini. "Quello che è avvenuto in questi anni in Val di Susa è la dimostrazione che la politica esiste e non è quella dei partiti o delle chiacchiere di Ballarò, ma quella della gente che davanti ad un problema reale si riunisce, scende in strada e si chiede cosa fare. Questo patrimonio è stato sbeffeggiato e ignorato dai media che, tranne qualche occasione, quando stava per scapparci il morto, non si sono occupati della cosa o l'hanno fatto in maniera distorta. Si parlava addirittura della Belfast degli anni '70. Ecco, non so se vi rendete conto di quanto sia pericoloso questo atteggiamento. Vuol dire che tu te la auguri una Bloody Sunday".
Gaglianone si è detto orgoglioso dello spirito "partigiano" del suo lavoro. "E' vero, è schierato e partigiano, ma non è fazioso, non è un volantino - ha spiegato -, anche perché io non voglio convincere nessuno. Se avessi voluto farlo avrei chiamato degli esperti che avrebbero spiegato nel dettaglio perché un'opera del genere non sia giusta e non sarebbe stato giusto. E' un lavoro che spetta ad altri. Il problema non è più la Torino-Lione sì, la Torino-Lione no, il problema è più complicato, cioè dove siamo? Qual è il senso della cittadinanza? Questo allora è un film sulla rivolta, ma non intesa solo come protesta o ribellione, ma sul rivoltare se stessi. Perché quando mi rendo conto che c'è una distanza drammatica tra la mia immagine del mondo e la realtà, questa distanza la devo colmare e per farlo devo cambiare".
Le tante anime della protesta
Come già anticipato, Daniele Gaglianone ha provato ad esplorare tutto il variegato mondo dei No Tav, dando voce alle diverse anime. "Non posso dire di aver utilizzato il Manuale Cencelli, ma ho provato a dar spazio a tutti. Ognuno di loro, ad un certo punto, ha trovato giusto scendere in piazza e scontrarsi con la polizia. Credo sia obbligatorio farsi delle domande su questa necessità, al di là del fatto se la protesta sia giusta o sbagliata. Queste persone potrebbero anche avere torto, ma bisogna rispettarle e avere il coraggio di ascoltarle se non è troppo tardi.".
Necessario quindi per il regista ripartire da una ridiscussione profonda sul senso dello Stato. "Quando lo Stato vuol calare le braghe lo fa, vedete il caso del centro immigrati di Tor Sapienza. Il punto è che se si fa appello al senso di responsabilità una volta, questo deve valere per sempre, facciamolo a 360°, dai politici ai giornalisti".
Qui, una parola piccola con un significato enorme
Ecco perché il titolo del film racchiude in sé una storia essenziale. "Qui sembra una parola minuta, apparentemente dimessa e innocua, ma è una parola potente, perché il Qui che ripetono ossessivamente i protagonisti è ovunque. Questo E' un documentario sul nostro paese, sulla percezione che la gente ha di questa rottura, ci piaccia o no".