Da un mostro profanato dal cinema ad un mostro sacro del cinema. Dal gelo di un cinico Dakota del Nord sino alle vaste terre africane, passando per una Los Angeles distopica e alienata. Ma c'è anche spazio per la bellezza, la dolce nostalgia e la spensieratezza che vince il dolore. È quello che troverete nella classifica che state per leggere; seconda parte della nostra carrellata nel più memorabile cinema statunitense targato anni Novanta. Una lista lunga dieci film (dalla posizione 40 alla 31) che non vuole giudicarne il valore, ma rendere omaggio a quelle pellicole capaci di entrare nell'immaginario collettivo e di rimanerci a vita, senza alcuna voglia di andar via.
Ricorderemo scene e frasi cult di un decennio di cinema con tanta voglia di spingersi oltre il lecito, oltre il prevedibile, oltre la realtà stessa. Un decennio visionario e spesso allucinato, che ha voluto e saputo addentrarsi al di là dell'ordinario. Non a caso stiamo per parlare di incubi, di sogni spezzati e proibiti, di fughe dalla responsabilità, ingabbiati però nel grande schermo del cinema e nella nostra testarda memoria cinefila.
Top 50 Anni '90: i nostri film e momenti cult del cinema USA - Parte 1
Top 50 anni '90: i nostri film e momenti cult del cinema USA - Parte 2
Top 50 anni '90: i nostri film e momenti cult del cinema USA - Parte 3
Top 50 anni '90: i nostri film e momenti cult del cinema USA - Parte 4
Top 50 anni '90: i nostri film e momenti cult del cinema USA - Parte 5
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40. Una vita al massimo
È questione di un attimo, giusto il tempo di incontrarsi in un cinema e di conoscersi in un negozio di fumetti: Clarence ama Alabama. Alabama ama Clarence. Amanti sinceri, quasi ingenui nel promettersi sin dal primo momento massima fiducia e tanta sincerità. Ma Una vita al massimo non è (solo) una bella favola romantica, ma un effetto domino dove omicidi, mafia, droga e cultura pop viaggiano on the road. Tony Scott dirige un cast incredibile (Christian Slater, Patricia Arquette, Brad Pitt, Val Kilmer, Gary Oldman, Samuel L. Jackson, James Gandolfini), mentre quell'affabulatore di Quentin Tarantino scrive e affila lingue che sembrano grilletti. Per questo non possiamo dimenticare il duello grottesco tra Christopher Walken e Dennis Hopper. Tarantiniano sino al midollo.
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39. La vita è un sogno
Ancora la parola "vita" in un titolo. Una traduzione che tradisce il riferimento ai Led Zeppelin e banalizza l'originale Dazed and Confused (martoriato da un doppiaggio italiano pessimo), ma che involontariamente o meno sposa il tema tanto caro a Richard Linklater: l'esistenza e il suo scorrere, il tempo che passa, ci cambia e per questo, a volte, spaventa. American Graffiti ispira, mentre la musica fa da guida in questo viaggio lungo poche ore in una gioventù avvinghiata alla spensieratezza. E allora, come si fa a non eleggere il David di Matthew McConaughey testimonial generazionale? Una sola battuta per fotografare un film intero: ("È questo che mi piace delle liceali: io invecchio, loro restano della stessa età")
"That's what I love about these high school girls, man. I get older, they stay the same age"
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38. L'esercito delle dodici scimmie
Occhi sgranati, sguardi spiritati. È così che si guarda al futuro. Il 2035 immaginato da Terry Gilliam coincide con una fantascienza cupa e delirante, afflitta da un virus mortale e dal desiderio impossibile di porvi rimedio. In questo film malato, sgradevole per ogni claustrofobico, il viaggio nel tempo si confonde presto con un'epopea nella mente di un uomo. Ma il percorso è un labirinto scivoloso, pieno di sangue e di sudore. Bruce Willis è più disorientato dello spettatore, mentre Brad Pitt, già quattro anni prima di Fight Club, aveva già le idee chiare sul consumismo.
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37. Fargo
La neve copre tutto, anche il senso il colpa. Così l'ovattato candore del North Dakota si tinge presto di sangue, sporcato da un piano strampalato, ordito da un uomo che non riesce a farsi bastare una vita normale. In questo memorabile noir bianco l'avidità è goffa, il cinismo è stupido, la cattiveria amica dell'inettitudine. Ma dentro un panorama gelido, dove sembra che tutto sia destinato a rimanere fermo e cristallizzato, vincono le persone semplici come Marge. Poliziotta e futura mamma, alla quale i fratelli Coen dedicano la scena finale dell'arresto, con quel piede nella cippatrice che diventa emblema del tragicomico.
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36. Dracula di Bram Stoker
Non esistono crocifissi e paletti che tengano: ci sono icone dure a morire, che si nutrono del tempo per passa per ritornare in vita senza perdere il loro fascino antico. Dracula è l'archetipo del vampiro ma è il cinema a nutrirsi di continuo del suo sangue. Nel 1991 Francis Ford Coppola sembra trasformare il cinema nel più cupo e ispirato dei romanzi gotici. L'atmosfera lugubre, la scenografia teatrale e poi un Gary Oldman sontuoso che in questa scena ci ricorda che il grande cinema si nasconde spesso nei piccoli gesti. Vi diamo un indizio: c'entra un rasoio.
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35. Strange Days
Se il postmoderno fosse un film, si chiamerebbe Strange Days. Kathryn Bigelow fa correre le lancette del tempo sino al 1999, verso l'alba di nuovo millennio allucinato da miraggi virtuali. Prima che il Millenniun bug diventasse uno spauracchio di massa, questa distopia ci ha mostrato ben altri virus sociali: il bisogno di evadere da se, la dipendenza dalla simulazione, la disperazione della personalità. Le sue sequenze in soggettiva, a partire dal bellissimo e potentissimo incipt del film, sono ancora installate nelle nostre retine.
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34. Heat - La sfida
Probabilmente la locandina di questo spietato poliziesco metropolitano pesava quintali. Contenere il nome Michael Mann e i volti di Al Pacino e Robert De Niro al loro apice di mitizzazione trasformava un foglio in un monumento. Nel 1995 i due interpreti valicavano il concetto di "grandi attori" e partivano per una Los Angeles affascinante, pronta ad ospitarne il duello. Il bene e il male che si riscoprono simili, attraverso la dedizione di due uomini ossessionati dal loro lavoro, dal loro ruolo nel mondo. Un sfida anche metacinematografica, caratterizzata dalla competizione tra i due attori. Leggenda vuole che il minutaggio riservato ad Al e Robert fosse pressoché identico, tutelato da un accordo che garantiva la stessa presenza scenica. Tra i due litiganti ha vinto Mann. Ma anche il doppiaggio italiano non è stato da meno, all'altezza di un indimenticabile faccia a faccia.
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33. Eyes wide shut
Maniacale, ossessivo, carnale: è il rapporto tra Stanley Kubrick e il cinema. E' il modo in cui Kubrick lo ha salutato. Eyes Wide Shut guarda alla coppia come ad una chimera, creatura costretta alla convivenza di nature opposte. Attraverso la lente dell'eros, l'uomo e la donna appaiono legati a dimensioni quasi inconciliabili. Tra mente e corpo, desideri e carnalità, Kubrick non celebra il sesso come piacere, ma lo mette in scena come un rituale. Servono il sacro e il profano per celebrare un mito. Noi lo ricordiamo così.
32. Il re leone
Due movimenti opposti: un cucciolo sollevato verso cielo e un grande leone che cade verso il baratro. La nascita e la morte, in mezzo c'è la vita. È questo che canta Elton John con The Circle of Life, note d'apertura di uno dei più grandi cartoni Disney di sempre. L'età d'oro disneyana coincide con gli anni Novanta, scovando nella Savana la sua apoteosi. Storia di formazione, di ricerca, scoperte e ritorni, Il re leone ritrova coraggio (con uno dei più laceranti addii di sempre) senza perdere di vista la spinta vitale. Per questo riguardiamo questo film come Simba fa con la volta stellata al fianco dell'indimenticabile Mufasa, avendo nelle orecchie (non ce ne voglia Elton) una canzone tanto cara ad un suricato ad un facocero.
31. American Beauty
"È difficile restare arrabbiato quando c'è tanta bellezza nel mondo". Bello come una rosa e spinoso come il suo stelo, American Beauty celebra la bellezza nascosta in un mondo peggiore di come appare. Le ordinate case a schiera, la famiglia, il lavoro: ogni spazio contiene un dramma pronto a compiersi. Noi siamo dal primo all'ultimo minuto al fianco di Lester, uomo frustrato da una vita castrante, dove l'abitudine soffoca desideri e dove il malessere è quasi una necessità per ritrovare i sentimenti. Poetico e diretto, il film di Sam Mendes abbandona il sogno (americano) per lasciare il segno con un finale amaro e potente. Ma la scena cult è quella che dà forma alle fughe proibite di Lester: la moglie accanto e una visione peccaminosa sopra la testa...
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