Too fast... too slow
Cary Ford, andato via dalla città, qualche mese prima, con alcune motociclette che appartenevano a Henry, spietato spacciatore a capo degli Hellions, una banda di motociclisti, torna per rivedere la sua fidanzata Shane. Henry deve assolutamente recuperare le moto perchè nei loro serbatoi è nascosta della droga, ma Ford non sembra disposto a collaborare, così viene incastrato per l'omicidio di Junior, fratello minore di Trey, leader di un'altra banda: i Reapers. Aiutato dai suoi amici Dalton e Val, Ford dovrà da una parte fronteggiare Trey e Henry, dall'altra seminare un agente dell'FBI che gli sta alle costole.
I primi minuti di Torque - Circuiti di fuoco, in cui una scintillante moto sfida, uscendo vincente, due splendide automobili da corsa, sembrano quasi volerci comunicare che la due ruote di Cary (Martin Henderson) cancellerà dalle nostre menti The Fast and the Furious, altra produzione di Neal H. Moritz. Ma se la pellicola con Vin Diesel, strettamente riservata ad un pubblico di scapestrati giovinastri maniaci del volante, non era poi così esaltante, l'esordio alla regia di Joseph Kahn non è certamente di livello superiore.
Tra componenti interni di macchine e motociclette in azione, dettagli di borchie ed altri elementi di carrozzeria, vertiginosi e velocissimi movimenti di macchina, colonna sonora sparata a tutto volume, e titoli di testa metallici, in rilievo, che solcano le immagini, Torque ci lascia subito capire che il suo autore proviene dal colorato e movimentato mondo dei videoclips (Eminem e Mariah Carey sono soltanto due degli artisti con cui ha lavorato). E va bene che in questo tipo di pellicole la sceneggiatura poco conta (non ci viene neppure spiegato perchè Cary indossi una t-shirt del gruppo punk Ramones), in quanto lo spettatore deve per lo più essere eccitato dalla spettacolarità e dall'esagerazione di certe imprese compiute dai protagonisti, ma bisogna pure tener conto del fatto che esistono modi ben precisi per poter raccontare decentemente una vicenda, non basta una regia da "orgoglio coatto".
Se nei primi succitati momenti tutto quel virtuosismo tecnico poteva funzionare, a lungo andare, tra montaggio frammentato e musica hard-rock (nella colonna sonora anche Pennywise e Jane's addiction), risulta soltanto fastidioso e fracassone per il povero fruitore, e, di conseguenza, narcotizzante. Già dopo l'introduzione, infatti, il lungometraggio non sembra altro che il nuovo spot pubblicitario della Yamaha dilungato oltremisura, tecnicamente impeccabile (ci mancherebbe), con la bella fotografia di Peter Levy (Nome in codice: Broken Arrow) ed il montaggio frammentato di Howard E. Smith (City of Ghosts), ma decisamente stancante e ripetitivo, vuoi anche per l'infinità di ritocchi digitali presenti, diversi anche mal riusciti, che ci danno quasi l'impressione di trovarci di fronte ad un videogame.
E se di tale aberrazione cinematografica possiamo salvare, volendo proprio fare uno sforzo, almeno la tesissima sequenza del treno, non possiamo fare a meno di scoppiare a ridere di fronte a situazioni terribilmente grottesche, come quella in cui, in sella alle proprie moto, le due protagoniste femminili Shane e China (rispettivamente interpretate da Monet Mazur e Jaime Pressly) si scontrano usando le ruote anteriori come se fossero due spade. E' mai possibile che tutto questo feticismo nei confronti delle due ruote debba addirittura arrivare a convincerci che la moto può tranquillamente trasformarsi in un utile prolungamento del nostro corpo?
A fine lavorazione il regista ha dichiarato: "Non chiedetemi di guidare una moto per nulla al mondo. La cosa che ho capito con questo film è che i motociclisti amano la moto perchè amano vivere al limite. Dopo aver visto gli attori e gli stunt impegnati nella guida ho deciso che ci tengo alla pelle".
Noi spettatori, purtroppo, teniamo anche al nostro apparato visivo ed uditivo.