La ricordiamo tutti la squallida vicenda dell'aggressione alla campionessa di pattinaggio artistico Nancy Kerrigan, proiettata verso le olimpiadi di Lillehammer. Nancy era bella, sorridente, scintillante come una principessa; un orco aveva tentato di infrangere i suoi sogni, e in nome di cosa? In nome dell'invidia e delle ambizioni frustrate di un'altra pattinatrice, la volgare, sgraziata ed evidentemente criminale Tonya Harding. E noi, sedotti dal mito di Eva contro Eva, forti delle nostre certezze sulla crudeltà delle donne verso il loro stesso sesso, ci credemmo. Chi avrebbe mai voluto vedere Tonya Harding su un podio olimpico?
Ma Tonya aveva la sua verità, perché la verità spesso è una cosa complicata. Attraversa voci, distrazioni, equivoci, e tante, tantissime scelte sbagliate. Sulle scelte sbagliate di questa controversa eroina nessuno fa scendere un velo. Ma allo stesso tempo questa brillante e sorprendente sceneggiatura di Steven Rogers le dà una voce, e Tonya la usa, non tanto per discolparsi ma per raccontarsi; non tanto per accusare chi l'ha tiranneggiata, perseguitata e rovinata ma per accusare noi, quelli che, senza conoscerla, la condannarono senza appello nel momento in cui vedeva la sua carriera colare a picco a ventitré anni. Ben ci sta.
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La ragazza sbagliata sul ghiaccio giusto
Con una scelta piuttosto inaspettata, Tonya non è costruito intorno al ripugnante attacco a Nancy, colpita a un ginocchio durante la pausa di un allenamento da un poco di buono ingaggiato trasversalmente da Jeff Gilooly, il marito di Harding.
Lo script di Rogers e l'attenzione di Gillespie sono tutti per lei, Tonya, dai suoi primi volteggi sui pattini, le angherie subite dalla madre (una esilarante, anaffettiva e perfida Allison Janney), lo sbocciare dell'amore con il possessivo e violento Jeff ma anche soprattutto il suo trionfo: essere stata la prima donna a realizzare uno dei salti più difficili della disciplina, il triplo axel.
Tonya aveva coraggio, potenza, velocità e talento, ma non aveva la grazia delle rivali più raffinate, quelle la cui immagine tradizionalmente elegante e femminile i giudici delle associazioni americane del pattinaggio artistico volevano promuovere e portare alle Olimpiadi. Così, per tutta la sua carriera, Harding dovette vedersela con punteggi ingiusti che penalizzavano le sue scelte musicali poco ortodosse, i costumi dozzinali che si cuciva da sé, il suo sorriso sfrontato, il suo essere irrimediabilmente white trash, non importa quanti tripli axel inanellasse. Ma lei non si arrese, continuò a lavorare sui suoi incredibili salti, sulle sue vorticose piroette, fino ad arrivare a gareggiare con le più forti del mondo: perché era una di loro.
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La versione di Tonya
Quando arriva il momento di parlare del fatidico incidente occorso alla dolce Nancy - ovvero "la ragione per cui siete qui"' sentenzia Tonya/ Margot Robbie in una delle tante incursioni oltre la quarta parete del film - la sceneggiatura fa ricorso a un repertorio di interviste filmate con le persone interessate, alcuni (sconcertanti) scampoli delle quali sono inseriti nei titoli di coda del film per la nostra avida curiosità.
Così Rogers e Gillespie non ricostruiscono la versione dei fatti dell'atleta in disgrazia e quella dei suoi "complici", non indagano sull'accaduto, non sfidano le conclusioni degli organi di stampa: offrono solo una visione parziale, viziata e compromessa dall'inattendibilità dei soggetti e dall'incoerenza delle loro affermazioni. Eppure è una versione che, come tutte le visioni parziali, contiene un germe di autenticità, una possibilità che noi figli della cultura del dubbio e del garantismo ci siamo dimenticati di considerare.
Ma è un piacere essere costretti a mettersi in discussione da un film come questo, brillante, originale e spavaldo; e dalla sua protagonista, una Margot Robbie grintosa e indomabile, che consegna alla storia una Tonya Harding non riformata, non redenta, ma forse illuminata da una luce che le rende giustizia.
Movieplayer.it
3.5/5