Todd Haynes è gentile, sorridente e puntuale, proprio come le sue opere. La scelta di omaggiarlo a Locarno con il Pardo d'Onore ha coinciso con la seconda proiezione pubblica di Wonderstruck - La stanza delle meraviglie, dopo il passaggio a Cannes. Nel raccontare la sua carriera e la sua idea di cinema, Haynes è un fiume in piena e anche se appare stremato per il tour de force a cui si sta sottoponendo, non si tira mai indietro. L'unico momento di sconforto traspare quando il discorso cade sul nuovo progetto, un documentario sui Velvet Underground che il regista sta preparando. "Mettere un annuncio non è stata una grande idea" ride. "Non ho mai fatto un documentario prima d'ora, è un'esperienza nuova. Non sono ancora pronto a parlare di questo film. Sono ossessionato dalla cultura e dall'epoca che hanno prodotto i Velvet Underground, ma la vera sfida è trovare un linguaggio visivo adatto al film. Sicuramente onorerò la cultura e il cinema sperimentale attingendo ad essi per trovare il modo di rappresentare visivamente la loro musica".
La musica è una componente essenziale della vita e dell'opera di Todd Haynes. Il regista ha realizzato due biopic musicali decisamente atipici, Velvet Goldmine, ispirato a David Bowie, e Io non sono qui, sull'opera e la carriera di Bob Dylan. "Adoro i biopic, anche quelli mediocri. Ma non voglio fare un biopic mediocre, c'è qualcosa di perverso nel cercare di impersonare una persona famosa in un biopic perciò ho sempre cercato di trovare soluzione creative. Per Velvet Goldmine ho fatto molta ricerca, indagando la cultura pop in cui artisti come Bowie stavano applicando idee apprese da Andy Warhol sul finire degli anni '60. L'identità e la sessualità sono state scardinate dalla comparsa di Alice Cooper vestito da drag queen bisex, Iggy Pop che si copriva di brillantini e indossava collant a torso nudo o Bowie che attingeva alle maschere del teatro inglese, influenzato dai Velvet Underground. Nel caso di Bob Dylan, ho scelto di farlo interpretare da attori diversi a seconda delle fasi della sua carriera. Ho dato loto pacchetti con la biografia di Dylan e la sua musica e loro hanno apprezzato. Christian Bale ha interiorizzato il modo di parlare di Dylan e la sua fisicità. Per il ruolo del Bob Dylan più conosciuto, quello del 1966, che aveva cominciato a prendere anfetamine, era molto magro, quasi androgino, ho scelto una donna, forte e decisa. Ho confrontato le foto, i capelli e ho scelto Cate Blanchett. Convincerla non è stato facile. Pur avendo capito il ruolo, voleva essere sicura di riuscire a rendere giustizia a Dylan".
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Il regista delle donne
Dopo averla diretta in Io non sono qui, Cate Blanchett è tornata a lavorare con Todd Haynes nel melodramma Carol, pellicola che consolida l'etichetta di regista delle donne. Parlando del suo rapporto con i personaggi femminili, Haynes spiega: "Sono interessato a storie in cui le donne siano al centro perché non sono personaggi di un franchise, spesso sono mogli e madri. Adoro il cinema d'intrattenimento, gli action, i western, cinema associato solitamente a uomini. Ma quando si parla della vita delle donne si punta al cuore del senso della vita umana. Non sono necessariamente personaggi vittoriosi, sono persone ordinarie, ma sono la loro condizione e la loro integrità a interessarmi. I melodrammi domestici rappresentano uno sguardo importante sulla società".
La vera musa del cinema di Todd Haynes è Julianne Moore con cui il regista nutre un rapporto molto stretto, quasi fraterno. Rapporto inaugurato nel 1995 quando l'ha diretta per la prima volta nella sua opera seconda, Safe. Racconta Haynes: "Cercavo un'attrice che interpretasse una ordinaria casalinga borghese americana. Julianne Moore ha letto il copione e ha capito subito il personaggio. Quando è venuta al provino e ha letto alcune righe di dialogo, sono rimasto impressionato dalla sua specificità, dall'accento californiano del sud. L'idea del personaggio che avevo si è materializzata nell'interpretazione di questa attrice e l'attualità di questo film è dovuta alla sua performance. In tutti i ruoli Julianne è in grado di creare un equilibro tra ciò che esprime e un non detto, un vuoto che sarà il pubblico a colmare. Non credo che esista un'attrice con cui potrei lavorare meglio di lei".
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Dagli scandali gay alle possibilità del piccolo schermo
Quattro anni prima di Safe, Todd Haynes si è affacciato sulla scena americana con Poison, pellicola che ha scatenato non poche polemiche a causa del suo contenuto sessuale esplicito. Il film, presentato al Sundance nel 1991, venne premiato come miglior pellicola drammatica scatenando le ire della destra che disapprovava le opere a contenuto omosessuale. "Un pastore protestante inviò una lettera ai parlamentari chiedendo di non dare fondi a film gay, ma non aveva nemmeno visto il film. Parlò di scene hard che non c'erano, ma questo suscitò grande attenzione mediatica sul film e io ero contento, siamo finiti sulle prime pagine, sono stato invitato a parlare in radio e tv ed è stata organizzata una proiezione esclusiva per i parlamentari a Washington, dopodiché il giornale del governo mi definì il Fellini della fellatio. Dopo la visione, un senatore disse avrebbe voluto fare un bagno nella candeggina. Negli USA il film fu giudicato da subito dal punto di vista politico e dovetti aspettare la presentazione in Europa, a Locarno, perché fosse guardato e giudicato come film".
La carriera di Todd Haynes si è sempre sviluppata in questo equilibrio perfetto tra amore per la tradizione classica e profonda modernità stilistica. Oggi che il boom della serialità e la diffusione delle piattaforme streaming sta modificando radicalmente il sistema produttivo e distributivo, Haynes si è affidato ad Amazon per la realizzazione di Wonderstruck, ammettendo però che la compagnia gli ha lasciato la massima libertà creativa. Già qualche anno fa, però, il regista si era rivolto al piccolo schermo dirigendo Kate Winslet nella miniserie Mildred Pierce. "La forma seriale presenta molte sfide, ma anche l'opportunità di raccontare una storia in un arco di tempo ampio. Non è come nelle vecchie soap opera in cui si andava avanti all'infinito agganciando lo spettatore a una dipendenza che lo trasforma in mero consumatore. Quando è fatto bene, si crea un equilibrio interessante tra l'unicità di un episodio e la continuità degli stessi attori nello sviluppo orizzontale della storia. Ho scelto la forma della miniserie perché mi sembrava l'unico modo di rendere giustizia al romanzo, che era stato troppo condensato nell'adattamento del 1945. Amo la possibilità di estendere una storia nel tempo".