Ha fatto impazzire tutti presentandosi a sorpresa sul tappeto rosso della Festa del Cinema di Roma 2023 per accompagnare la nuova compagna Monica Bellucci. È sul set del sequel di Beetlejuice dove ha ritrovato non solo il cast originale ma anche la protagonista della sua prima serie tv, Jenna Ortega, che compie un anno su Netflix. È protagonista della mostra speciale a lui dedicata visitabile al Museo del Cinema di Torino. Insomma Tim Burton, 65 anni compiuti, sa ancora come far parlare di sé. Ci sembra il momento perfetto quindi per provare a chiudere il cerchio iniziato un anno fa riflettendo sull'uso del colore (o l'assenza di esso) tra cinema e tv da parte del regista.
Follia cromatica
Nel suo film d'esordio per la Warner Bros, Pee-wee's Big Adventure (1985), Tim Burton poté già mostrare e sperimentare i propri deliri cromatici con associazioni buffe e surreali che provocavano cortocircuiti mentali durante la visione allo spettatore. Proprio come il protagonista interpretato dal compianto Paul Reubens, che ha una sindrome di Peter Pan molto acuta e si rifiuta di vendere la propria bicicletta, il suo tesoro più caro, con cui si sposta per il quartiere, che ricalca non poco la Burbank in cui il cineasta è nato e cresciuto, e che ha odiato per la falsità delle apparenze rispetto a ciò che accadeva nelle case. La stessa follia - o meglio delle ramificazioni di essa - le ritroveremo in alti due (s)cult del regista, ovvero la sua opera seconda Beetlejuice - Spiritello porcello (1988), di cui è attualmente in produzione un sequel, e Mars Attacks! (1996).
Da un lato uno spirito che si manifesta se nominato tre volte e che crea confusione ai nuovi padroni di una casa infestata poiché bio-esorcista, ovvero un fantasma che si sbarazza degli esseri umani per poter dare pace agli spiriti. Ancora una volta quindi Burton gioca con il mondo di qua e il mondo di là donando grigiore al primo (pensiamo al goth del personaggio di Winona Ryder) e sprazzi di colore al secondo. Dall'altro una commedia nera sci-fi che omaggia e prende in giro i B-movie di genere degli anni '50 con una rappresentazione degli alieni verde acido e folle, contro qualsiasi tipo di rappresentazione più classica a cui si poteva essere stati abituati da X-Files (più sui toni del mystery-thriller). La fisionomia invece celebrava una vecchia collezione di figurine negli anni '60, in omaggio con delle caramelle.
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Sleepy Hollow e Sweeney Todd
L'assenza di colore, o meglio l'azione su di esso si può rilevare particolarmente in due perle del regista. A cavallo del nuovo millennio, nel 1999 propone Il mistero di Sleepy Hollow, in cui i protagonisti interpretati da Christina Ricci e Johnny Depp si immergono totalmente - insieme al mitologico cavaliere senza testa - nell'atmosfera rarefatta e fumosa che pervade tutta la pellicola, grazie all'uso del grigio nelle gradazioni più disparate, dalle scenografie alla fotografia fino ai costumi e al trucco. Un setting che vuole trasmettere allo spettatore inquietudine e tensione prima ancora che lo facciano i dialoghi e la trama.
L'esperimento musical di Tim Burton del 2007, invece, Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street (dall'opera omonima del compianto Stephen Sondheim e Hugo Wheeler), oltre a ritrovare il suo protetto Johnny Depp nel ruolo del personaggio titolare accanto all'allora moglie Helena Bonham Carter, utilizza la desaturazione del colore per trasmettere l'inadeguatezza che provano i personaggi nello stare al mondo. Ma soprattutto il marcio che può venir fuori dall'invidia, un sentimento pericoloso in una storia che denunciava la forte disparità sociale nella Londra del 1800, e l'orrore che nasce dagli uomini che diventano dei mostri per necessità. Essendo un musical splatter, il contrasto tra il rosso sangue e il resto della scenografia è accentuato, risultando profondamente affascinante.
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Batman e Dark Shadows
Che dire della Gotham City burtoniana, così gotica e noir, una delle trasposizioni più suggestive e vive dell'originale cartaceo che fa diventare la città personaggio in carne ed ossa - aspetto che ritornerà nel Batman Detective di Matt Reeves oltre che nella serie tv omonima. (De)colorandola nei suoi luoghi più iconici e di ritrovo per la cittadinanza, li contrappone al coloratissimo villain del Joker di Jack Nicholson nel primo film - il circo coi suoi toni sfavillanti tornerà nella filmografia burtoniana, da Big Fish a Dumbo - e negli scurissimi Pinguino e Catwoman di Batman - Il ritorno (1992): il villain nero come la pece, la gatta in un nero-pelle che gioca con la luce e con i riflessi.
Il gotico torna prepotente in Dark Shadows (2012), in cui il regista mescola i colori e i toni di quello stile e quel linguaggio - avendo a che fare con vampiri e altri esseri soprannaturali - con un'anima anche pop. Sono il viola e il grigio a farla da padroni nella pellicola, che mette al centro una famiglia altamente disfunzionale che abita un'antica, lussuosa e decadente dimora prendendo spunto dall'omonima soap opera degli anni '60 creata da Dan Curtis. Un contrasto interessante, che ancora una volta oscilla tra la vita e la morte (e soprattutto quello che sta nel mezzo) con tonalità che puntano a mostrare tanto l'antica fatiscenza della dinastia e del maniero quanto la sua attuale e inesorabile decadenza nell'abisso nella memoria.
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Mercoledì
A proposito di famiglie disfunzionali, punto di arrivo di questo nostro viaggio burtoniano non poteva che essere Mercoledì, la prima serie tv del cineasta arrivata un anno fa sulla piattaforma rossa in pompa magna diventando la serie più vista di Netflix e scavalcando il precedente record detenuto da Stranger Things. Un po' come per Nightmare Before Christmas, diretto da Selick ma di proprietà artistica di Burton, anche la serie Netflix è creata da altri, ovvero il duo dietro Smallville Alfred Gough e Miles Millar, mentre a Burton è affidata la regia di metà degli episodi. Ma il suo lavoro, a partire dai bozzetti preparatori fino alla creazione delle scenografie e della messa in scena, è talmente inserito nella produzione, che anche qui l'associazione artistica ed intellettuale è immediata. Detto questo, la serie è un ottimo punto di arrivo e di congiunzione delle due anime che spesso ha provato a raccontare attraverso le sue opere, nonché della denuncia della periferia borghese americana - in questo caso rappresentata anche dalla stessa accademia che vuole mantenere a tutti i costi una buona reputazione tra gli umani.
La camera della protagonista Mercoledì interpretata da Jenna Ortega, versione adolescente in cerca di affermazione della propria identità all'interno della famiglia Addams, è emblematica in tal senso. La ragazza deve dividere la sua stanza al dormitorio della Nevermore Academy, la scuola per freak dove Morticia e Gomez la mandano per provare a farla appartenere a qualcosa, come era accaduto a loro da giovani, con Enid (Emma Myers), giovane lupacchiotta mannara che non ha ancora ottenuto la trasformazione completa e il controllo sui propri poteri. Lei è coloratissima e fa di tutto per portare un po' di quella vivacità nella vita grigia della compagna di stanza, spesso senza grandi risultati tanto da ottenere inizialmente la divisione a metà degli spazi, con un contrasto cromatico evidente e ironicamente d'impatto. Il viola è il nuovo nero per Mercoledì.