Il bagno di folla torinese di Tim Burton ha ufficialmente preso il via con un incontro per la stampa brulicante di fotografi e giornalisti. Per un giorno molti colleghi si sono improvvisati fan sfoggiando t-shirt, spillette e look dark che celebrano la Tim Burton-mania. C'è perfino un collezionista piemontese che possiede 1300 pezzi, tra cui le fatidiche mani di forbice indossate da Johnny Depp, in copia ovviamente. E c'è chi rosica per non essere riuscito ad acquistare i biglietti per l'ambitissima masterclass di oggi che sarà preceduta da un red carpet, anzi, purple carpet, a uso e consumo del pubblico.
Come svela il direttore del Museo del Cinema di Torino Domenico De Gaetano, è la prima volta che Burton accetta di concedersi ai fan per foto e autografi in occasione dell'inaugurazione della sua mostra, che ormai passa di città in città fin dal lontano 2009, quando debuttò al MOMA di New York. "All'epoca non immaginavo di trovarmi protagonista di una mostra" confessa lui. "Ho passato due anni a rovistare cercando cose che non ricordavo di possedere. Mi hanno risvegliato tante emozioni, è stato bizzarro".
Il successo non ha cancellato il senso di inadeguatezza
Negli anni la mostra Il mondo di Tim Burton si è adattata agli edifici che l'hanno ospitata, variando da continente a continente, da città a città, ma una location suggestiva come la Mole Antonelliana è un unicum anche per Burton. Il cineasta non stacca gli occhi dalla spirale che corre lungo le pareti ospitando quadri, bozzetti, modellini, video e il suo intero studio, ricostruito alla base della Mole. "Non ero mai stato a Torino, ma alcune persone che conosco me ne avevano parlato; è davvero una città meravigliosa" esclama. "E questo posto è incredibile. Mi piace com'è organizzato, sembra di entrare in un luna park. Avete creato la combinazione perfetta tra la mostra e questo luogo magico".
Il mondo di Tim Burton è divisa in nove sezioni che forniscono un saggio del talento multiforme del regista di Batman, La sposa cadavere e Mercoledì, ma c'è spazio anche per schizzi realizzati su tovagliolini dei bar e degli hotel, sintomo della creatività incessante di Tim Burton. E poi c'è una nutrita sezione dedicata ai progetti non realizzati, cosa che capita anche ai più grandi. "Sono stato fortunato a poter parlare dei temi che mi stavano a cuore, il successo mi ha permesso di andare avanti" ammette Burton gesticolando. "Ma l'inadeguatezza che provavo da ragazzo non mi ha mai abbandonato, mi sento nello stesso modo di quando ho iniziato. Anche se oggi sono felice e affermato credo che continuerò a provarla per sempre".
Mercoledì: tutti i riferimenti ai film di Tim Burton presenti nella serie Netflix
La seconda stagione di Mercoledì e il legame con Mario Bava
Sorridente e affabile, Tim Burton risponde alla raffica di domande che gli vengono poste, ma non si sbottona di fronte al tentativo di carpire qualche dettaglio sulla seconda stagione di Mercoledì. "Stavamo lavorando ai nuovi episodi quando lo sciopero ci ha bloccato" spiega. "Spero che la seconda stagione sia all'altezza, l'ho fatta perché amo il personaggio, lo sento molto affine. Parte di me si rivede in un'adolescente disturbata". Anche se le piattaforme streaming hanno momentaneamente catturato l'attenzione di Tim Burton, il regista lancia un messaggio fiducioso sul futuro del cinema chiarendo che, anche se l'industria è cambiata e i cineasti sono costretti a preoccuparsi di budget e incassi, "il pubblico continua ad amare il cinema e questo non cambierà mai".
E il cinema che ha formato Burton, instillandogli la passione per la settima arte, annovera i lavori di Mario Bava, l'italiano in cui il cineasta si identifica maggiormente. E poi c'è Federico Fellini: "Sono sempre stato affascinato dall'aspetto onirico dei suoi lavori. Per me il cinema italiano è sogno". Un'affermazione non da poco per un autore che ritiene la fantasia "più importante dei film. Io ho sempre trovato la realtà nella fantasia, le fiabe sono metafore della realtà". E la realtà è ciò che ha sempre fatto paura a Tim Burton, come ammette lui stesso: "Cosa mi terrorizza? Una famiglia che va a scuola o al lavoro. Da ragazzino il mio incubo ricorrente era sognare di svegliarmi e dover andare a scuola".
Oggi questo eccentrico folletto californiano sessantacinquenne, che negli anni non è mai cambiato di una virgola, sta per diventare oggetto di una docuserie sulla sua vita e carriera. A chi gli chiede se è coinvolto nel progetto risponde: "Odio guardare me stesso. A casa ho coperto tutti gli specchi, come i vampiri. Non sono minimamente coinvolto nel documentario, lascio fare agli altri".