Il cinema, secondo me, è una forma dispendiosa di psicoterapia. Mi piace l'assurdità del cinema. E' straordinariamente divertente: questo pensa del suo lavoro Tim Burton, il regista più visionario e geniale che esista: anticonformista, hollywoodiano con estro tutto europeo, poetico e lunare, è colui che con le sue opere riesce sempre a meravigliare il pubblico e a condurlo fino ai confini del sogno e della fantasia.Le pellicole di Burton si presentano come delle fiabe ricche di elementi grotteschi, humour nero, bizzarri personaggi e vibranti atmosfere gotiche e surreali, nulla è lasciato al caso, tutto è frutto dell'eccezionale capacità riflessiva e autoriflessiva che rende grande e unico, quanto ad originalità ed intelligenza, questo giovane regista.
Non è affatto semplice tracciare, con poche parole, il profilo artistico di questo cineasta tanti sono gli avvenimenti e le esperienze che hanno segnato la sua brillante carriera, riassumendo: studia animazione al California Institute of the Arts, approda come cartoonist alla Disney (partecipa alla realizzazione di Red e Toby nemiciamici, 1981) e poco dopo passa alla regia con Pee-wee's Big Adventure (1985) ottenendo un improvviso successo che lo consacra enfant prodige di Hollywood, nuova icona del cinema americano. Non si può parlare di un unico genere cinematografico come marchio distintivo del suo lavoro, perché Burton ama sperimentare e alterna con estrema nonchalance il film romantico- dark, alla pellicola d'animazione, passando per la fantascienza pop di Mars Attacks! fino alla regia televisiva ( ha diretto anche una puntata della mitica serie Alfred Hitchcok presenta).
Ma ogni volta che è alle prese con un nuovo film dichiara, con franchezza, che è come mettersi dietro la telecamera per la prima volta, perché l'emozione di girare un film è grandissima e non riesce a non farsi trascinare dal suo entusiasmo fanciullesco e autentico così, ogni volta, come la prima volta, si abbandona completamente alla passione per i personaggi e per la storia che intende narrare e sullo schermo gli viene del tutto naturale miscelare fantasia a vita reale regalandoci sempre qualcosa di straordinario.
Tuttavia le storie burtoniane s'intrecciano spesso su di uno stesso filo conduttore: l'ossessione per la solitudine riservata al diverso, all'outsider, alter ego del regista che ha sperimentato questa condizione particolare fin dall'infanzia poiché, nonostante la sua grande umanità, non è mai riuscito a farsi accettare e ad accettare i propri simili con il loro stile di vita, da lui ritenuto egoista, ipocrita e ottuso, incapace di evolversi in maniera positiva, poiché fondamentalmente indirizzato al non rispetto dell'altro e alla sopraffazione di coloro che all'apparenza sembrano più deboli, in tal modo condannandoli all'emarginazione e alla sofferenza.
Questo tema, per molti versi scottante, alcune volte è affrontato in maniera diretta, altre volte lo è di sguincio, ma il rimando arriva sempre puntuale e pare qualcosa di non programmato ma poi colpisce a regola d'arte e impressiona le anime più sensibili e romantiche tra gli spettatori. A ciò si aggiunga un'altra critica molto attuale nei confronti dell'autorità e dell'apparato burocratico che, a parer del regista, limitano fortemente la libertà degli individui.Burton è un mirabile inventore e partendo dai suoi miti giovanili, lui stesso ci tiene a raccontare come da piccolo passasse ore e ore perdendosi tra i fotogrammi di film come Dracula, King Kong, Godzilla ecc., ha tentato con successo di rivisitare tutti questi generi rispolverandoli e riadattandoli alle proprie esigenze, mettendoci dentro qualcosa di estremamente personale come il gusto per l'ironia che accompagna un'analisi accurata delle idee, dei sentimenti e dei valori che fanno parte di ciascuno di noi e, in tal modo, attraverso il filtro della propria esperienza, Burton riesce a raccontare i conflitti e i mostri della nostra disordinata società contemporanea.
Dal punto di vista tecnico-stilistico è facile rendersi conto quando un film è targato Burton poiché numerose sono le caratteristiche stilistiche che contraddistinguono queste opere, basti pensare ai tagli particolari delle inquadrature che ricordano i classici Universal degli anni '30,'40 e '50 e i film espressionisti tedeschi, l'uso disneyano del colore e le magiche partiture musicali di Danny Elfman, così come l'uso abbondante di metafore all'interno della narrazione. Ricorrenti sono anche alcune immagini come le nevicate che aprono o chiudono i film, e poi il rilievo riservato dalle inquadrature agli occhi degli attori che, secondo Burton, sono estremamente simbolici perché riescono a trasmettere al nostro inconscio il senso più autentico e profondo della narrazione e insieme alle immagini, curate e suggestive, colpiscono direttamente il subconscio e rimarranno parte di noi per sempre anche quando dimenticheremo del tutto la storia.Una carriera così splendente è anche offuscata da alcune scelte sbagliate e sonore stroncature a cominciare dagli esordi quando i primi lavori (Vincent,1982 e Frankenweenie,1984) furono rifiutati dalla Disney, che li produceva, perché ritenuti non adatti ai bambini e perciò non distribuiti.Nel 1998, dopo un anno di lavoro, Burton si ritrovò senza Superman 5, venendo addirittura licenziato dalla produzione!Altra pellicola dall'incerta fortuna di critica ma di ampio successo al botteghino, è stata Planet of the apes - Il pianeta delle scimmie, un remake senza dubbio coraggioso ma non riuscito perché, nonostante l'irriconoscibile cast d'eccezione e la profusione di effetti speciali, resta un prodotto troppo lontano dalla genuina ottica burtoniana e lascia il passo ad un'operazione commerciale che in molti avremmo preferito non vedere.