Tutti i bambini si identificano con una certa immagine, magari proveniente dal mondo delle favole. Io sentivo che spesso i mostri venivano visti dalla gente in maniera sbagliata e che in molti casi erano più sinceri di tutti gli umani che li circondavano.
Nel moderno cinema americano, ci sono due autori che, più di tutti gli altri, nei propri film hanno celebrato il potere della fantasia, raccontando storie in cui i drammi della realtà sono spesso declinati attraverso un approccio in qualche modo 'fiabesco': Steven Spielberg e Tim Burton. Due registi che hanno offerto un contributo fondamentale nella formazione dell'immaginario di almeno un paio di generazioni (incluso l'ampio settore dei millennials) e che ancora oggi, dopo decenni di attività alle spalle, rimangono ben fedeli alla propria poetica.
Originario di Burbank, piccolo centro nella contea di Los Angeles, e formatosi presso la Walt Disney, abbandonata dopo pochi anni per seguire senza vincoli la propria vena creativa, Tim Burton è considerato da quasi tre decenni il maestro indiscusso del cinema gotico. Nutritosi fin da bambino della passione per i B-movie, la fantascienza e gli horror classici, Burton ha recuperato tutti quegli elementi per poi rielaborarli all'interno di una ricca filmografia, in cui l'omaggio ai propri "numi tutelari" (cinematografici, letterari e artistici) lascia comunque spazio a quel tocco personale diventato ormai un marchio di fabbrica.
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Dal 1985, anno del suo primo lungometraggio, Tim Burton ha inanellato molti grandi successi e alcuni enormi successi, intervallati da pellicole meno fortunate a livello commerciale, ma entrate talvolta nel novero dei suoi film più amati da esperti e cultori (basti pensare a Ed Wood o al meraviglioso Frankenweenie); si è dedicato alla produzione (un caso su tutti, il classico natalizio Nightmare Before Christmas) e ha esplorato le potenzialità dello stop-motion, aggiudicandosi due nomination all'Oscar per i film d'animazione La sposa cadavere e Frankenweenie; ha ricevuto, in tempi recenti, qualche accusa di scarsa ispirazione, ma si è anche visto 'canonizzare' dal Festival di Venezia, che nel 2007 lo ha reso il più giovane regista mai insignito del Leone d'Oro alla carriera. E in occasione del suo sessantesimo compleanno, e in attesa di Dumbo, vogliamo celebrare il cinema tenebroso e immaginifico di Tim Burton con un'analisi di cinque fra elementi più riconoscibili del suo cinema...
1. Il fascino del macabro
È il principale e il più evidente fra i connotati della produzione di Tim Burton: l'amore del regista californiano per l'oscurità, per il macabro e per tutti gli ingredienti di un immaginario riconducibile alla letteratua gotica e ai racconti dell'orrore. E la fascinazione di Burton per questo immaginario riguarda sia gli elementi cardine della narrazione, fra spettri, zombie, misteri, delitti e creature più o meno mostruose, sia alle atmosfere inconfondibili dei suoi film, tanto che al riguardo è stato addirittura possibile coniare l'aggettivo "burtoniano". Gli esempi in merito si sprecano: dalla villa decadente di Beetlejuice - Spiritello porcello al maniero di Vincent Price in Edward mani di forbice, dalla cornice cimiteriale de La sposa cadavere, col suo vivace tripudio di scheletri, alla tenebrosa Londra vittoriana di Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street.
Ma uno scenario gotico, seppure innervato da pennellate di gusto postmoderno, è anche quello che caratterizza la Gotham City dipinta da Burton in Batman, senza dimenticare il film in cui il regista ha potuto esprimere appieno la sua inclinazione per il macabro: Il mistero di Sleepy Hollow, rievocazione estremamente suggestiva di una certa sensibilità gotica dell'Ottocento, fra cadaveri decapitati, minacciose foreste e la cupa fotografia di Emmanuel Lubezki.
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2. Le freak c'est chic: dalla parte degli outsider
Dal fanciullesco Pee-Wee Herman protagonista dell'opera prima di Burton, Pee-Wee's Big Adventure, all'introversa Lydia Deetz di Winona Ryder, teenager dal look goth in Beetlejuice; dal timidissimo e stralunato Edward di Johnny Depp in Edward mani di forbice al regista che stenta ad affermarsi a Hollywood in Ed Wood: fin dai capitoli iniziali, quello di Tim Burton è stato un cinema popolato da cosiddetti loser, personaggi solitari, incompresi, emarginati, spesso segnati da una diversità interiore e/o esteriore. Quella diversità celebrata gioiosamente in uno dei film più 'solari' di Burton, Big Fish - Le storie di una vita incredibile, o che in casi estremi può generare autentici mostri: il Pinguino di Danny DeVito, in cerca di una spietata rivalsa in Batman - Il ritorno (ma è una 'reietta', a suo modo, pure la Catwoman di Michelle Pfeiffer), o il Benjamin Barker di Johnny Depp, la cui sete di vendetta farà scorrere fiumi di sangue a colpi di rasoio in Sweeney Todd.
È il motivo per cui perfino a figure tanto sinistre è riservata una certa dose di empatia. Quell'empatia che, in compenso, Burton rivolge in maniera incondizionata ai propri eroi più improbabili: Edward ed Ed Wood, per l'appunto, ma anche la pittrice Margaret Keane, interpretata da Amy Adams in Big Eyes, e soprattutto i giovanissimi, adorabili freak impegnati a battersi per la propria sopravvivenza in uno dei film più recenti del regista, Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali.
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3. Fra brividi e ironia
L'orrore e la suspense sono ingredienti adoperati da Tim Burton in diversi suoi film: se Il mistero di Sleepy Hollow costituisce in tal senso un caso paradigmatico, momenti di alta tensione si registrano pure nel dittico di Batman, in Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie, in Sweeney Todd e in Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali. Ma nel cinema burtoniano, a stemperare il dramma e la suspense intervengono puntualmente abbondanti dosi di humor: che si tratti della leggerezza di commedie come Beetlejuice, dell'umorismo più sommesso e malinconico di Ed Wood o di farse scatenate come Mars Attacks! e Dark Shadows. Tracce di ironia, però, possono essere rintracciate anche nelle opere in apparenza più cupe del regista: dallo humor nero che fa più volte capolino in Batman, spesso mediante il gigionesco Joker di Jack Nicholson, ai tratti semi-parodistici dell'Ichabod Crane impersonato da Johnny Depp ne Il mistero di Sleepy Hollow.
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4. Immaginari rivisitati: l'omaggio al passato
Tim Burton, si diceva, è un autore strettamente legato a una certa cultura popolare, assimilata a piene mani negli anni della sua formazione e in seguito rielaborata attraverso i propri film. Il cinema di Burton, in effetti, si nutre di una profonda connessione con un immaginario ben preciso: un immaginario relativo a numerose pellicole del passato e alle serie TV, ai romanzi e ai fumetti. E se in Edward mani di forbice Burton apre il film con l'idolo della sua adolescenza, il veterano Vincent Price, in seguito si possono individuare omaggi ancora più emblematici: quello ai B-movie in bianco e nero in Ed Wood, in cui un magistrale Martin Landau presta il volto a un altro attore-simbolo dell'horror d'annata, Bela Lugosi; quello alla fantascienza degli anni Cinquanta e Sessanta, prima con la parodia di Mars Attacks! e poi con il remake de Il pianeta delle scimmie; quello a Roald Dahl e al Willy Wonka di Gene Wilder, riproposto da Johnny Depp ne La fabbrica di cioccolato.
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Ma l'elenco non finisce qui: il romanzo per l'infanzia di Lewis Carroll sarà oggetto di un fortunatissimo adattamento in live-action con Alice in Wonderland, ispirato in parte al film d'animazione della Disney; Dark Shadows 'riesuma' l'omonima soap opera in stile gotico degli anni Sessanta; mentre Frankenweenie, così come il delizioso cortometraggio realizzato in precedenza dallo stesso Burton, aggiorna il 'canovaccio' di Frankenstein di Mary Shelley in maniera unica e personalissima.
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5. L'elogio della fantasia
"A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie: esse continuano a vivere dopo di lui, e così egli diventa immortale". La citazione di Big Fish, uno dei titoli a cui i fan di Tim Burton sono maggiormente affezionati, in fondo potrebbe adattarsi benissimo all'intera produzione del maestro del gotico. C'è una costante, in effetti, che ritorna in tutti i suoi film, che si tratti di racconti fantastici, fiabeschi o ambientati nella realtà: l'incrollabile fiducia nel potere salvifico dell'immaginazione. E nelle pellicole di Burton, la fantasia è lo strumento più efficace per resistere alle difficoltà della crescita, alle barriere della solitudine e agli orrori del mondo: quella fantasia in grado di evocare un universo bizzarro e avventuroso, come in Big Fish, di far sì che un ragazzo riporti in vita il suo amato cagnetto o che Alice possa far ritorno nel Paese delle Meraviglie.
L'irruzione del fantastico nella realtà è l'elemento-chiave di tutto il cinema burtoniano: la fonte dello spavento così come della meraviglia, la consapevolezza che esiste un mondo 'altro' a cui ciascuno di noi ha la possibilità di accedere. E per farlo non è necessario imbattersi in qualche spettro o scoprire un biglietto d'oro nella cioccolata: talvolta siamo noi stessi a poter modellare la realtà secondo il nostro sguardo, come la Margaret Keane di Big Eyes con i suoi quadri... o a scoprirci in grado di distendere le ali - anzi, le orecchie - e di spiccare il volo, come Burton tornerà a ricordarci l'anno prossimo con Dumbo, il suo ennesimo, fragile eroe a cui sarà impossibile non voler bene.