Emanuel Parvu, tra i più interessanti autori mitteleuropei, va dritto al sodo, asciuga ed elimina l'extra diegetico (esempio: non c'è la musica), pur allargano lo sguardo visivo grazie ad un luminosissimo widescreen (estendendo l'azione anche dove la camera non arriva, segno di grande personalità). Il regista va dritto al sodo, perché Three Kilometres to the End of the World, che cavalca un titolo emblematico e risolutivo, è il viaggio statico di una brutale epifania che passa attraverso la conoscenza e l'incoscienza.
Uno specchio attuale, che potrebbe riassumere le molteplici sfumature del paese da cui il film ha origine, la Romania, facendosi quindi dramma sociale ma, anche e soprattutto, anfratto intimo di una vicenda che colpisce per costruzione e intelligenza visiva. Del resto, chi lo dice che ogni film, d'impatto sociale, debba essere per forza sinonimo di un panorama più vasto? Scritto da Parvu in coppia con Miruna Berescu, Three Kilometres to the End of the World (Trei Kilometri Pana La Capatul Lumii, titolo originale), è stato presentato in Concorso a Cannes 77, segnando la prima del regista sulla Croisette, dopo gli apprezzati Mikado e Meda or the Not So Bright Side of Things.
Lividi e dogmi
Lo sguardo di Parvu ci porta allora a Sfântu Gheorghe, località rumena inzuppata nel delta del Danubio (un circolo chiuso, tant'è che si può raggiungere solo in barca). Il protagonista è Adi (Ciprian Chiujdea), diciassettenne che ascolta gli U2, tornato a casa da Tulcea, dove studia, per passare l'estate con i genitori (Bogdan Dumitrache e Laura Vasiliu). Le giornate trascorrono sornione, almeno fino all'evento scatenante che altererà Three Kilometres to the End of the World: Adi viene selvaggiamente picchiato. I lividi sono solo un punto di partenza, perché dietro c'è molto di più. Emanuel Parvu apre la narrazione, mischiando i punti di vista: il ragazzo è vittima di omofobia (attenzione, non è un film di denuncia, semmai il tema è un pretesto), e a picchiarlo sembra essere stato il figlio di un influente uomo locale, a cui il padre di Adi deve del denaro. Piano piano, la verità viene messa in fila, peccato però che i genitori di Adi, ossessionati e religiosi, siano più preoccupati per il suo orientamento sessuale che per il pestaggio. Tanto da coinvolgere il prete locale per un'assurda conversione.
Un'opera dosata al millimetro
Che Three Kilometres to the End of the World sia un film riuscito lo si deve in particolar modo all'approccio del regista verso i suoi protagonisti (e i genitori sono centrali tanto quanto Adi), immergendoli in un cinema di movimenti lineari ed eleganti, che parla e avanza senza mai scomporre un'identità cinematografica di risonante qualità. Nell'arco di un tempo relativamente breve, mentre i lividi del protagonista diventano sempre più neri, Emanuel Parvu affronta la situazione da più angolazioni, alternando quello che diventerà un teatro umano in cui si consuma una rabbia inespressa, e quindi funzionale poi allo scopo di un film dosato al millimetro, eppure mai costruito seguendo un'appariscente auto-certificazione autoriale.
Parvu dimostra quanto la regia, pur presente, dovrebbe essere l'aggiunta diretta alla sceneggiatura, e mai prendere il suo posto; una traduzione visiva delle parole e dei personaggi, accompagnando le svolte (e in Three Kilometres to the End of the World ce ne sono diverse, non tutte di immediata comprensione) fino al finale. A proposito, sarà quindi l'ending, probabilmente riassumibile in un abbraccio, a chiudere un cerchio, verso una catarsi generale che guarda alla contrapposizione netta tra generazioni. In tal senso, l'orizzonte sociale puntato dall'autore è chiaro: in Europa c'è un moto ondoso di nuove voci (anche cinematografiche) disposte a tutto pur di ritagliarsi il proprio spazio nel mondo, superando decenni di dogmi patriarcali e incongruenti regole comunitarie. Ecco, Three Kilometres to the End of the World, nella sua asciuttezza grammaticale, punta proprio a questo: sottolineare un cambiamento in atto, resistente tanto all'amore quanto all'odio.
Conclusioni
Il rumeno Emanuel Parvu punta sull'asciuttezza pur non rinunciando alla forza di una sceneggiatura ben scritta e ben puntualizzata, legandosi bene con una regia che punta all'estetica ricercata. Mai banale nelle scelte, e anzi arguto nel metterle in scena, l'autore con Three Kilometres to the End of the World dimostra quanto il cinema europeo, oggi, abbia una marcia in più. Nuova, ritrovata e splendidamente sociale.
Perché ci piace
- La regia di Parvu, mai banale.
- Il finale.
- I colori scelti.
- Il formato widescreen.
Cosa non va
- Verboso, ovviamente un'opera di cinema che punta ad un pubblico ben definito.