Dimenticate le smancerie di Grey's Anatomy. Dimenticate la spettacolarizzazione di E.R. - Medici in Prima Linea. Dimenticate l'aspetto fiabesco di Scrubs. Anche se, ci piace pensare, la serie cult con Zach Braff potrebbe essere stata per Adam Kay una sorta di spunto quando ha buttato giù, in un libro best-seller, le sue disavventure di quando è stato dottore specializzando in un ospedale pubblico londinese. Un'esperienza lavorativa (e personale) decisamente al limite, rivista in un romanzo nonfiction che, già all'uscita (era il 2017), riscosse una notevole attenzione. Era arrivato il momento di narrare davvero cosa fosse l'NHS (National Health Service), e poi la scrittura di Kay era tanto coinvolgente che si prestava per diventare una splendida serie tv. Tant'è che This is Going to Hurt, co-prodotta da BBC e AMC (in Italia su Disney+), la consideriamo nella recensione come il medical comedy-drama definitivo, nonché come uno dei migliori prodotti seriali visti di recente. Asciutta, trafilata, sincera, sostanziale. Sette puntate firmate dallo stesso Adam Kay, con la regia alternata di Lucy Forbes e Tom Kingsley. In mezzo, l'esplosione umana e nevrotica di un dottore gettato in pasto a turni massacranti, pazienti che si sovrappongono, errori madornali, notti insonni e un universo professionale macchiato da quei "superiori" boriosi, arroganti e politicizzati.
Un universo, quello di This is Going to Hurt, da cui è impossibile uscire indenni: ci ritroviamo tra le corsie di un stropicciato ospedale pubblico al fianco di un altrettanto stropicciato dottore; due elementi paralleli che si incontrano e si scontrano, tratteggiando un orizzonte lavorativo spinto ben oltre i confini. Anche se non siete un medico, la serie BBC è la metafora precisa di quanto le ansie professionali, dettate da un climax assurdo e tossico, siano il veleno più subdolo che c'è. Agisce piano, dall'interno, scorre dalla pancia fino alla testa. Un veleno che distorce la realtà e ci rende più fragili, più arrabbiati, più scostanti. Per questo, come probabilmente mai prima, This is Going to Hurt punta sull'essenzialità di una professione tanto meravigliosa quanto usurante, aprendo uno squarcio più ampio sulle prospettive lavorative: fin dove possiamo spingerci prima di crollare? Quanta ingiustizia dobbiamo ancora ingoiare? Ma soprattutto: dov'è finita quella sensibilità e quell'empatia necessaria per rendere accettabili le nostre giornate?
La storia vera di Adam Kay
Per questo, This is Going to Hurt è uno show che merita di essere visto, compreso, amato. Difficilmente, alla fine del viaggio, riusciremo a staccarci dal mondo di Adam Kay, interpretato da un grande Ben Whishaw, finalmente alle prese con un ruolo da protagonista. È la serie che meritava, e l'attore britannico - scelto all'unanimità dalla produzione - riesce a rappresentare fisicamente e psicologicamente i molteplici spunti della serie, riuscendo (e non era facile) ad essere sia parte dell'estetica visiva che di quella narrativa. Il dottor Kay, come detto, è un esperto specializzando che regge quasi da solo il reparto di ostetricia e ginecologia.
È il 2006, ci sono i cercapersone e in giro si vedono ancora i Nokia 3310. Settimane lavorative da cento ore (quando va bene), sangue e fluidi corporei ("non quelli divertenti", scherza Adam, guardando ogni tanto in macchina in stile Frank Underwood), una paga misera, il sonno che è ormai una chimera, le pazienti da accudire, l'invasività dei parenti, le diagnosi e poi ancora la notte e il giorno che perdono il loro senso, mentre prova - come può, e con un pizzico di bonaria insolenza - a prendersi cura delle incertezza della giovane specializzanda Shruti (Ambika Mod) e a far bella figura verso il professor Lockhart (Alex Jennings), emblema di altezzosità e vanità.
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La drammatica commedia di un dottore
Ma la sfida di Adam non si ferma solo tra le corsie dell'ospedale. Del resto, con un lavoro del genere, è complicato gestire la propria vita privata e amorosa. Figurarsi se sei un omosessuale, fidanzato da anni e con una madre poco avvezza ai sentimenti. E non finisce qui, dato che il plot di This is Going to Hurt gira sopra un insuperabile trauma di Adam: aver fatto nascere prematuramente un bambino dopo un'errata e superficiale diagnosi. Un mix di sensazioni e di sfumature, rese imperdibili da una narrazione contemporanea eppure ancorata ad una messa in scena in linea con la cornice temporale in cui è ambientata. Una fotografia granulosa, i toni grigi, un orchestra di personaggi che animano e popolano il mondo del dottor Kay. Ci affezioniamo a lui, addirittura finiamo per ritrovare la stessa ambizione e le stesse inquietudini quando abbiamo la (s)fortuna di fare il lavoro dei (nostri) sogni.
Le insormontabili difficoltà, le vecchie generazioni ad invadere e ad affossare la passione e lo zelo dei giovani (sì, la società considera giovani anche i quarantenni), facendoci sfigurare con noi stessi e con il sacrosanto desiderio di poter ottenere ciò che meritiamo. Un medical drama e una storia vera, l'istantanea di un inizio Millennio stretto sotto la morsa di mille paure, e la necessità di mettere in scena le contratture personali di un uomo comune e di un dottore come tanti, che con fatica e abnegazione affrontano le giornate come meglio possono. La forza della serie è proprio questa: con un linguaggio a tratti spassoso, capace di spezzare la tensione (il ritmo è altissimo, e la macchina a mano riesce a trasfigurare la caotica realtà di Adam), ma poi subito riempito da un schema naturalmente drammatico, c'è la normalizzazione della figura del dottore, umanizzando in modo lucido e preciso i pregi e i difetti. E poi, orecchio alla soundtrack: dagli Hooverphonic ai Florence + the Machine, da Ray LaMontagne a Villagers. Un tono musicale perfetto per un show umano da non perdere. Insomma, l'avrete capito: se This Is Going to Hurt non è la miglior medical serie di sempre, poco ci manca.
Conclusioni
Un grande Ben Whishaw, la destrutturazione della figura del dottore, una storia vera e un'estetica efficace. Concludiamo la recensione della serie This is Going to Hurt sottolineando il suo approccio asciutto e reale, che non si risparima ma che anzi spinge forte sul fattore umano. Il tutto, dettato da un ritmo instancabile e volutamente stropicciato.
Perché ci piace
- L'estetica.
- Ben Whishaw, finalmente protagonista.
- Il cast in generale.
- La soundtrack.
- L'umanizzazione della figura del dottore.
Cosa non va
- Se siete sensibili al sangue, ai bisturi, alle garze... meglio di no.