L'avevama vista ed apprezzata a Venezia 2016, l'abbiamo ammirata nuovamente questa mattina a Roma confermando le impressioni positive di un mesetto fa: The Young Pope è una serie promettente fin dai primi due episodi che andranno in onda il 21 Ottobre su Sky Atlantic e che siamo curiosissimi di continuare a guardare di settimana in settimana, per gustare la messa in scena di Paolo Sorrentino, ma anche gli sviluppi e gli intrecci che la sua scrittura ha pensato per i rimanenti episodi, per dar spazio e sviluppare quei tanti spunti che ogni personaggio secondario sembra avere in cantiere. Qualche accenno a quello che ci aspetta ci è stato sussurrato questa mattina nella conferenza stampa romana, tenuta dall'autore partenopeo e da buona parte del cast della serie targata Sky, HBO e Canal+, dal protagonista Jude Law, che ha parlato diffusamente del suo personaggio e della sfida dell'interpretarlo, a Silvio Orlando, Cécile De France, Ludivine Sagnier, Javier Cámara e Scott Shepherd, accompagnati dal produttore Sky Andrea Scrosati e quello di Wildside Lorenzo Mieli.
Tanti gli argomenti trattati tra le importanti informazioni di servizio da far passare, a cominciare dal cospicuo budget di quaranta milioni investito dai tre colossi in gioco, solo 20% dei quali di provenienza italiana, ma quasi tutti spesi ed investiti nel nostro paese, alla vendita all'estero che già conta circa 110 paesi ("mentre parliamo saranno già 115" ha scherzato Sorrentino). Ma non è mancata l'occasione per commentare il recente infortunio dell'attaccate del Napoli Milik, sulla scia dei diversi riferimenti a Higuain ed alla fede calcistica del cardinale Voiello di Silvio Orlando.
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Tra le risposte alle domande della stampa, c'è stato tempo anche per un annuncio importante, ovvero che Paolo Sorrentino sta già lavorando alla sceneggiatura di una seconda stagione, e di visionare un interessante backstage della serie, con immagini dal set che hanno evidenziato due cose: prima di tutto l'enorme partecipazione e dedizione di Jude Law al ruolo, sempre umile ma propositivo nel suggerire soluzioni a Sorrentino (tanto che lo stesso regista, al termine della breve proiezione, ha scherzato "da questo backstage si evince chiaramente che il regista è Jude Law ed io mi limitavo a dire 'yes'"); in secondo luogo l'abilità calcistica del nostro premio Oscar: suo infatti il tiro nel set nella partita a calcetto tra suore che è già uno dei cult dell'attuale stagione televisiva.
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Una sfida di portata internazionale
The Young Pope è una produzione di grande portata, che crea un nuovo paradigma creativo per la televisione. Come hai affrontato questa sfida? Paolo Sorrentino: Questa meravigliosa opportunità che mi è stata data consente di fare quello che una volta si poteva fare sul grande schermo, un cinema d'autore poderoso che oggi è sempre più difficile realizzare. Ora è possibile spostare questa ambizione sulla televisione, grazie all'intelligenza di committenti come i nostri Sky ed HBO, che hanno reso possibile due condizioni necessarie per questo tipo di operazione, ovvero la libertà ed i mezzi messi a disposizione. Sono contento che se ne parli in questi termini, se lo facessi io risulterei presuntuoso e spesso vengo accusato di esserlo.
Perché Sky ha creduto in questo progetto?
Andrea Scrosati: Ogni anno negli Stati Uniti vengono prodotte circa 450 serie, che noi cerchiamo di acquisire prontamente, quindi quando produciamo qualcosa direttamente vogliamo che sia qualcosa che si differenzi da quello che compriamo dal mercato internazionale. The Young Pope una serie completamente diversa da quanto si è visto in televisione nel nostro paese, ed è qualcosa che è stato chiaro fin dal primo giorno, da quando Paolo e Lorenzo sono venuti a presentarci il progetto.
Quali sono le principali difficoltà che avete incontrato?
Lorenzo Mieli: Dall'inizio abbiamo deciso di sviluppare questa serie con Paolo sulla base di un'idea condivisa, rendendoci conto immediatamente delle proporzioni dell'operazione. Siamo andati subito da Sky, ma ci siamo resi conto che questo progetto avrebbe richiesto forze molto più grandi, per questo abbiamo coinvolto anche entità come HBO e Canal+. La sfida principale è stata di portare nel progetto tutta la storia del cinema di Paolo, coinvolgendo il suo cast storico e tutto quello a cui ha sempre lavorato.
In un'intervista Ron Howard ha detto di aver visto Gomorra e di aspettare molto The Young Pope, sottolineando come si respiri una bell'atmosfera in Italia per questo settore. Siamo sulla strada giusta per fare qualcosa di rilevante nel nostro paese?
Andrea Scrosati: Oggi siamo qua per presentare l'esempio perfetto di questo discorso. Il budget di The Young Pope è in linea con quello delle grandi produzioni internazionali ed è un budget che arriva per l'80% dall'estero, speso quasi interamente qui. E' un'indicazione della voglia che c'è nel mondo di investire in questo settore nel questo paese, perché oggi esiste un sistema che permette ai nostri talenti di concretizzare le loro idee qui, senza dover andare all'estero. Ed è importante perché su alcuni ambiti l'idea che possiamo averne in Italia è per forza diversa da quella che possono avere all'estero, come nel caso della figura del Papa, con cui ogni italiano è abituato a convivere. Il tipo di empatia che Paolo è riuscito a costruire con la figura di Belardo è tale che nessuno che non fosse italiano avrebbe potuto metterla in scena. I risultati ottenuti ci permettono di costruire delle storie con un punto di vista molto originale.
Paolo Sorrentino: L'Italia è un luogo che ha tantissime storie, anche per ragioni geografiche, che possono essere di grandissimo interesse per tutti. Avevamo il problema di come sbloccare la situazione e dare compimento a queste storie, ma finalmente si è ripristinata una sana dialettica tra produzioni ed autori, senza che si sbilanci da nessuna delle due parti. Finalmente ci si ascolta.
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Hai detto che ti hanno fatto stare in Vaticano solo per mezz'ora. Qual è la mezz'ora girata là e dove è stata girata la serie?
Paolo Sorrentino: In realtà in quella mezz'ora non abbiamo girato niente, semplicemente fatto una passeggiata io, Jude e Silvio. Tutto è stato ricostruito a Cinecittà o ripreso in altri luoghi reali. I giardini sono stati rubati da varie ville o dall'Orto botanico a Trastevere.
Silvio Orlando: Però vi racconto un aneddoto di quando siamo andati in Vaticano: siamo stati anche nella sala del pianto, dove tutti i Papi vanno prima della prima Omelia, una sala che si trova subito dietro la Cappella Sistina. Quando siamo stati lì c'erano mille o duemila turisti, noi siamo usciti e tutti hanno smesso di guardare la Cappella Sistina e hanno guardato Jude. Eravamo all'inizio del film e mi sono detto "vabbè, sarà dura!"
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Jude Law e il suo Lenny Belardo
Jude, come hai lavorato per capire il tuo Lenny Belardo?
Jude Law: Il mio istinto iniziale è stato di capire e conoscere la storia del Vaticano e del papato e gli effetti che hanno avuto sulla fede cattolica, ma si trattava di qualcosa di così vasto che mi ha subito spaventato. La seconda reazione è stata la consapevolezza che pur avendo iniziato questo cammino di ricerca, non riuscivo a capire chi dovesse essere questo Papa nel mondo creato da Paolo. Allora mi sono affidato a lui, lasciandomi guidare dalla sua regia, tornando alla sceneggiatura e le indicazioni di Paolo per costruire un uomo che fosse credibile nel diventare Papa a 47 anni, stabilendo una serie di regole di comportamento del personaggio, chi era pronto ad accogliere e chi invece avrebbe escluso, lasciando tutti ad interrogarsi su quello che gli passava per la testa fino alla rivelazione finale.
È un giovane Papa molto tormentato. Condividi i suoi tormenti?
Jude Law: No, ho i miei tormenti personali. Ma recitare in questo ruolo mi ha aperto gli occhi su quello che è il mio rapporto con la fede, quindi è stato un cammino interessante a livello personale. Mi ha molto colpito perché mi ha portato a interrogarmi sul senso della Fede e spero che possa accadere a tutti.
E come hai costruito la gestualità del tuo Papa? Jude Law: La mimica e la postura sono influenzate soprattutto dall'abbigliamento. Mi sono sempre chiesto il perché della posizione delle mani di tanti Papi, ed è semplicemente perché non c'è effettivamente posto per in cui metterle. Inevitabilmente finiscono conserte o sulla schiena. Ho continuato a tenere le mani in questa posizione anche senza gli abiti papali, anche perché mi ero abituato. Quanto alla gestualità, ho cercato di tenerla al minimo concentrandomi su piccoli movimenti.
Chi ha avuto l'idea di far assumere al Papa la postura di Pio XII, nella famosa foto dopo il bombardamento di San Lorenzo?
Paolo Sorrentino: L'immagine l'ho voluta io, perché è famosissima. Per non prenderci troppo sul serio, abbiamo detto con Jude di rifarci anche a Rooney, che è un calciatore che quando segna prende quella posizione.
Sei andato ad ascoltare le parole di Papa Francesco?
Jude Law: Sono andato ad ascoltarlo proprio all'inizio, era uno dei tanti piani che avevo in mente per questo lavoro, come imparare l'italiano. Ma sono tutte cose che ho messo da parte quasi subito, perché avevo troppo lavoro.
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Non solo Jude: i protagonisti di The Young Pope
Silvio, che ci racconti di questa esperienza?
Silvio Orlando: Alla fine di questo film mi sono sentito un po' come la Cristoforetti, reduce da una missione internazionale nello spazio. Nessuno si aspettava molto da me e dal mio inglese e sono orgoglioso di essere in qualcosa di così importante e soprattutto bellissima. Nella mia generazione, la ricerca della bellezza era diventata un po' volgare, ma Paolo ha spazzato via questo concetto con la sua ricerca della bellezza a tutti i livelli. In The Young Pope ho un assistente meraviglioso, Gianluca Guidi, a cui devo metà del mio personaggio, siamo una specie di Batman e Robin. Spero che questa produzione sia apprezzata anche per il futuro della televisione e che sostenga la dialettica tra produzioni ed autori, che è il vero successo di questo progetto.
Cecile, come è stato interpretare la tua responsabile marketing circondata da uomini?
Cecile De France: Come Silvio mi sono dovuta impegnare molto sul piano dell'inglese, ma sono fortunatissima e orgogliosa di aver potuto partecipare a un progetto così importante che è stato un'esperienza straordinaria. Quando abbiamo iniziato non ero sicura che sarei stata all'altezza degli altri membri del cast, ma ci sono riuscita grazie ad una delle sceneggiature più belle che abbia mai letto. Inoltre essendo una non protagonista, è stata dura perché i giorni di ripresa erano sparsi nel tempo, ma Paolo mi ha permesso di entrare facilmente in questo mondo. È uno dei migliori registi del mondo ed è un autore che ama gli attori, riesce a stimolarli in modo che possano contribuire al risultato finale anche con una sola battuta. Amo la sua capacità di sorprendere ed inventare traendo ispirazioni sul set anche da un oggetto o un accessorio.
Ludivine, tu invece interpreti una donna sterile che sogna ardentemente un figlio e che cresce con le puntate successive alle prime. Che ci dici di lei?
Ludivine Saigner: Come dice Suor Mary, il Vaticano è pieno di anime perse che non hanno vissuto. Credo che sia una giusta descrizione del mio personaggio, che è molto innocente, è una donna che ha una concezione un po' all'antica della religione. Desidera ardentemente qualcosa che non riesce ad avere e per questo prova un senso di colpa che la fa identificare con il discorso del Papa non appena lo ascolta, perché non pensa di meritare di avere un figlio. É un caso che io stessa abbia una profonda fede, quindi so bene cosa significhi tutto ciò. Sono stata fortunata come attrice, perché finora non avevo avuto la possibilità di esprimere questa parte di me.
Scott che ci dici del tuo cardinale Dussolier?
Scott Shepherd: C'è una battuta nella mia prima scena che per me è stata il punto di partenza, quella che dice "questo posto ha odore di incenso e morte, io preferisco quello di merda e vita". Penso che questa sia lo spunto su cui ho lavorato per distinguermi dall'idea che ha Lenny del ruolo della Chiesta, sul quale il mio personaggio ha una visione più umile. E' geniale quello che fa Paolo nello sviluppare la storia intorno all'interrogativo su chi sia veramente Lenny, concretizzandolo attraverso la figura di Suor Mary e la mia, che lo conosciamo sin da piccolo. Non credo di rovinare la sorpresa se dico che in una delle scena ancora non viste si vedono i due ragazzi uscire dall'orfanotrofio e Dussolier dire "dobbiamo tornare indietro". Lenny gli risponde "d'accordo" senza nemmeno guardarlo, andando avanti. Penso che questo sintetizzi il modo diverso in cui tutti e due vedono e vivono la fede.
Javier, tu invece rappresenti il lato candido della fede.
Javier Camara: Io non sono candido, sono l'immagine stessa delle felicità, perché essere qui inventando il mio italiano, gesticolando, fingendo di parlare francese con Ludivine e inglese con Jude è fantastico. Penso che il primo miracolo di The Young Pope sia io. È fantastico essere qui, nel centro mondiale della spiritualità, è un sogno che diventa realtà e il mio monsignor Gutierrez è un uomo molto spirituale. Paolo è un regista che lavora con la teatralità e la bellezza, ma non è solamente estetico, perché le inquadrature sono piene di emozioni ed interrogativi.
Paolo, Jude e l'armonia creativa sul set
Come è stato il rapporto sul set con Paolo Sorrentino?
Jude Law: Il rapporto tra attore e regista cambia ogni volta, perché dipende dal regista. In questo caso specifico, siamo stati estremamente fortunati. Siamo tutti grandi ammiratori del lavoro di Paolo e ci siamo trovati davanti ad una sceneggiatura precisa, con una visione netta, che ci dava del materiale chiarissimo su quello a cui dovevamo lavorare. Posso dire che nei casi migliori, e questo ne è un esempio perfetto, il lavoro in armonia è quello che può dare di più. Il mio ruolo come attore è capire quello che vuole il regista, perché questo è un media che si basa sulla sua visione, quindi cercavo di capire le sue intenzioni e facevo di tutto per metterle in pratica, ma in questo caso specifico è stato semplicissimo farlo.
Il rapporto tra fede e Chiesa è già stato raccontato molte volte...
Paolo Sorrentino: Lo so, ma l'idea era di farlo in modo diverso dagli altri, di raccontare il clero per quello che è, esseri umani tra gli umani, con loro pregi, difetti e limiti. Pensiamo che non sia mai stato fatto davvero e ci auguriamo di essere riusciti in questo scopo. Non posso approfondire molto, perché avete visto solo due puntate, ma in linea generale la serie non vuole essere provocatoria e incentrata su luoghi comuni, anche perché questi si baserebbero su una rappresentazione che finora è stata "falsa".
Hai detto che The Young Pope non è provocatorio, ma di certo provocherà delle reazioni.
Paolo Sorrentino: Se dico che non è provocatorio è perché so come va a finire e so che certe provocazioni delle prime puntate vengono ribaltate alla fine.
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La battuta i capelli mi fanno male viene da Antonioni?
Paolo Sorrentino: Sì, la battuta viene da Antonioni, mi ha sempre divertito, ha un effetto comico involontario. Avevamo già provato a metterla in un altro film e l'avevamo tagliata, ma questa volta l'abbiamo lasciata, visto che non si butta mai niente.
Ci sono spesso animali nei suoi film. Cosa rappresentano? Paolo Sorrentino: Non lo so. Mi piacciono molto. Con 40 milioni a disposizione si potrà fare anche qualcosa che piace e che non abbia un senso, no? [scherza] In realtà un senso ce l'ha, ma non è rilevante che io stia a spiegare cosa significhi il rapporto tra l'uomo e il canguro. Comunque sia, al Papa appena eletto arrivano regali anche più stravaganti di quelli che ho messo in scena io.
Prima di chiudere l'incontro, però, Paolo Sorrentino si è concesso un piccolo appello a noi della stampa come al pubblico, riguardo la visione di The Young Pope in lingua originale: "Premesso che i doppiatori hanno fatto un lavoro meraviglioso, noi abbiamo lavorato tantissimo sulla lingua, quindi il mio umile suggerimento è di guardarlo in lingua originale con sottotitoli".