Da oltre quindici anni ogni lungometraggio del regista Nuri Bilge Ceylan è stato in concorso a Cannes. E ciascuno di essi - Uzak, Il piacere e l'amore, Le tre scimmie, C'era una volta in Anatolia, Il Regno d'Inverno - Winter Sleep - ha sempre vinto premi importanti: da quello per la migliore interpretazione a quello Fipresci, dalla regia al Gran premio, fino ad arrivare ad un'attesa e meritata Palma d'oro quattro anni fa.
Non sappiamo dirvi se si tratti di un vero e proprio record, ma di sicuro ci siamo molto vicini, soprattutto considerando che anche questa sua nuova opera, The Wild Pear Tree, sembrerebbe destinata ad un qualche riconoscimento da parte della giuria della 71esima edizione presieduta da Cate Blanchett. Ovvio che, per quanti premi possa continuare a vincere, il suo cinema dai tempi dilatati e dalla durata spesso proibitiva (questa volta siamo ancora sulle tre ore e 10) rimarrà sempre confinato nei circuiti festivalieri e cinefili, ma se c'è un regista che forse rappresenta il meglio della selezione cannense degli ultimi lustri questi è proprio Ceylan.
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Cantami, o Diva, del povero Sinan
Il film è ambientato nei pressi di Çanakkale, cittadina portuense della Turchia situata nei pressi di due dei campi di battaglia più famosi della storia: quello di Gallipoli, prima guerra mondiale, e quello di Troia reso celebre da Omero. Nella piazza principale della città è addirittura conservato il cavallo di legno costruito per le riprese del film Troy (quello con Brad Pitt) e il giovane Sinan non può che osservarlo, incuriosito ed ammirato, ogni volta che gli passa accanto. Terminati gli studi e ancora indeciso sul suo futuro, il giovane torna a casa dai genitori con molta riluttanza: non ama la vita di provincia, non ha la stessa fascinazione del padre per la campagna e la natura e non è certamente contento dell'idea di fare l'insegnante, magari trasferendosi nella pericolosa Turchia orientale.
Il suo sogno è quello di diventare uno scrittore, ma uno che possa dirsi davvero libero di esprimere il proprio parere senza condizionamenti esterni, eppure non riesce a trovare nessuno che sovvenzioni questa sua idea. Anche perché i suoi primi scritti, intitolati come lo stesso film, pur parlando della regione in cui vive non hanno né lo scopo turistico che potrebbe interessare agli enti né una vera e propria storia che possa appassionare gli amici. Semplicemente sono riflessioni e discorsi molto personali, apparentemente fini a loro stessi.
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Un padre, un figlio
Non è difficile rivedere nel giovane protagonista elementi del regista e di quello che deve essere il difficile processo di realizzazione di ogni suo film. D'altronde i suoi film sono esattamente questo, lunghi dialoghi su politica, filosofia e religione perfettamente diretti e recitati che nel loro insieme costruiscono un ritratto splendido ma spesso anche molto triste dei luoghi da cui proviene. Proprio come dei racconti brevi, ogni singola sequenza del suo film potrebbe quasi essere vista come a se stante. Ed ognuna avrebbe comunque molto da dire e da insegnare, sia da un punto di vista cinematografico che sociale e culturale. Ma è nell'insieme, come spiega Sinan mostrando ad uno scrittore più esperto il suo manoscritto, che emerge il vero tema e il vero valore delle sue opere.
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Nel caso di questo The Wild Pear Tree si tratta soprattutto del confronto generazionale, della difficoltà da parte dei giovani turchi di oggi di relazionarsi con un paese che sta solo in parte cambiando, ma è anche fin troppo legato alle tradizioni e al passato. Ma il film è anche e soprattutto la storia di un padre e di un figlio che si cercano e si amano, spesso da lontano; spesso non capendosi, spesso confondendo il sentimento per odio, rabbia o invidia. Entrambi si vedono l'uno nell'altro e mentre il padre tradisce una certa nostalgia per il passato, il figlio è convinto sempre di più di non voler percorrere la sua stessa strada.
Ma i legami di sangue così come quelli con la propria terra sono spesso impossibili da ignorare, ed è così che Sinan non può che ammettere che l'unica persona veramente interessata al suo libro, al suo pensiero, è proprio il padre. Non sappiamo quanto anche questo aspetto sia autobiografico, ma di certo Ceylan non ha più questo problema perché il pubblico di Cannes e più in generale quello del cinema d'autore è sempre più ai suoi piedi.
Movieplayer.it
4.5/5