Ad un certo punto, quando viene superata la metà del film, e avvertiamo una certa costrizione sulla poltrona, troppo stretta per contenere il nostro smanio e la nostra empatia, ci rendiamo conto che The Whale di Darren Aronofsky, più che un (ottimo) film, è una vera e propria esperienza fisica. Un approccio, quello di Aronofsky (che ha sempre sfruttato la fisicità per trasmettere il messaggio, basti pensare a The Wrestler), studiato proprio per far scattare il cortocircuito, che lega i tre estremi: il film stesso, il protagonista, il pubblico. Tuttavia, il film, scritto dal drammaturgo Samuel D. Hunter, e tratto dalla sua omonima opera teatrale (altro spunto, il cinema degli ultimi anni sta letteralmente saccheggiando le migliori storie dai palcoscenici dell'Off-Broadway), non è solo la storia di uomo enorme, rinchiuso nel suo sudicio appartamento, bensì è la parafrasi esatta di quanto l'uomo, pur scaraventato nel peggior incubo, cerchi comunque dei segnali di speranza. La speranza, però, va alimentata, curata, accarezzata.
Allora, l'immagine in 4:3 di Aronofsky, suggerisce proprio l'impossibilità del protagonista ad uscire dalla sua estensione, letterale quanto figurativa. Sì perché Charlie, con il volto di un incredibile Brendan Fraser, è un professore universitario che pesa oltre 250 chili. Si muove poco e quando lo fa arranca, divora avidamente qualsiasi cosa gli capiti a tiro: pizza, pollo fritto, snack, cioccolata, bibite gassate. Il cibo è la sua maledizione, ma anche la sua unica certezza in un mondo che gli ha tolto tutto. Prova a resistere, prova a combatterlo. Si ferma ad osservare un uccello fuori dalla finestra opaca, si aggira lento come un dinosauro, mentre gli risuonano in testa le parole di un vecchio saggio su Moby Dick di Herman Melville. Tiene le sue lezioni con la telecamera spenta, e il suo unico tramite con l'esterno è la sua amica infermiera Liz (Hong Chau), che l'accompagna verso un ultimo, disperato, desiderio: riallacciare i rapporti con la figlia Ellie, interpretata da una tostissima e arrabbiata Sadie Sink.
Un professore con il cuore a pezzi
Ecco, tutto questo ristretto universo è condensato nei primi piani su cui indugia Darren Aronofsky che, durante l'anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia 2022, ha riletto il film, spiegando come rendere coerente il doppio equilibrio di The Whale: "Cosa succede riprendendo un solo personaggio che non si può muovere? Per un film è una cosa interessante, e dunque discusso su come Charlie potesse essere un personaggio cinematografico". Giusto, come fare? Semplice, come scriviamo nel nostro approfondimento, la sua pellicola, prodotto insieme ad A24, è incredibilmente vicina ad un'estenuante prova fisica, compiuta tanto da Brendan Fraser alias Charlie, tanto dagli spettatori, quasi soggiogati davanti il dolore espanso di un professore con il cuore a pezzi.
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Gli occhi in cerca della leggerezza
Al netto delle polemiche alzate in quanto Fraser non è obeso e, di conseguenza, ha utilizzato delle protesi per il ruolo, stereotipando il concetto di obesità, The Whale è un folgorante esempio di tecnica cinematografica. L'intera messa in scena è costruita sui sospiri nasali di Charlie (il sound design avrebbe meritato la candidatura all'Oscar), sulle smorfie, sul sudore che gli gronda da ogni piega della pelle lucida e biancastra, riflettendo la grana della fotografia di un maestro come Matthew Libatique, tornato a lavorare con Darren Aronofsky dopo Il cigno nero e il controverso Madre!. I suoi movimenti fermi e stantii sono studiati al centimetro: Fraser, carico e sovraccaricato, è un gigantesco pianeta pronto ad implodere, invadendo ogni singola inquadratura che scricchiola sotto il peso degli occhi tondi ed espressivi di Fraser.
Sono loro che, roteando insistentemente, cercano la luce, il perdono, la compassione, la leggerezza. Una performance miliare, descritta a Venezia dallo stesso Brendan Fraser: "Il mio corpo, il mio spazio, è limitato al sofà e alla poltrona. Come se fosse una luce nell'oscurità. Il suo trauma si manifesta a livello fisico, e perciò ho dovuto imparare a muovermi in modo diverso. Sentivo le vertigini a fine giornata... per interpretare Charlie bisogna essere forti fisicamente e mentalmente". Perché, vedere per credere, ogni suo gesto rimbomba fortissimo nelle asfissianti scene, sconquassando testa e cuore. Appunto, un'impresa carnale.
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