The Walking Dead 9: il meglio e il peggio dell’ultima stagione

The Walking Dead 9: tra segnali di risveglio e vecchi punti deboli, ecco pro e contro della stagione appena conclusa.

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The Walking Dead: Andrew Lincoln, Josh McDermitt, Melissa McBride e Khary Payton

La prova del nove. Nel vero senso della parola. The Walking Dead 9 è stata per la serie AMC la stagione dell'esame del fuoco, quella degli arrivederci travestiti da addio, quella in cui dimostrare di non essere soltanto una serie che si trascina come un errante. Aspetti che proveremo ad approfondire in questo articolo sui pro e contro di The Walking Dead 9.
Dopo la dirompente entrata in scena di Negan alla fine della sesta stagione, è innegabile che la serie AMC abbia deluso le altisonanti aspettative sollevate proprio dall'arrivo del grande personaggio affidato ad un eccezionale Jeffrey Dean Morgan. Come in preda a un folle paradosso, The Walking Dead sembra essersi impigrito subito dopo aver mostrato il suo asso nella manica; involuto proprio quando ha mostrato il suo enorme potenziale. Colpa di una settima e ottava stagione dove la scrittura, la regia e la messa in scena sono state spesso sciatte, vuote, fiacche. Pigra e senza idea, la serie ispirata al ricco fumetto di Robert Kirman sembrava traghettare stancamente sul corso della sua vecchia gloria.

Nel frattempo gli spettatori salutavano e gli ascolti erano in preda a inarrestabili emorragie. Ecco perché su The Walking Dead 9 pesavano pressanti responsabilità. Non solo riscattarsi da due anni di delusioni, ma soprattutto sopravvivere al saluto del suo miglior ambasciatore, del suo leader, del suo simbolo: Rick Grimes. È possibile immaginare The Walking Dead orfana dell'instabile ex vice-sceriffo di Andrew Lincoln? Con questo dubbio pesante come una spada di Damocle sulle spalle, la serie si è avventurata in una nona stagione di transizione, in cui lo show ha provato a scrollarsi di dosso vecchie ruggini e a cambiare pelle.

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The Walking Dead: Andrew Lincoln, Normal Reedus e Danai Gurira in una scena

Non tutto è andato per il meglio, ma sarebbe ingrato non riconoscere a The Walking Dead 9 di aver lanciato dei confortati segnali di risveglio. Nonostante la testarda presenze dei soliti punti dolenti, la serie (per quanto ci riguarda) merita un onesto 7 in pagella. Un voto che proviamo subito a motivare e argomentare segnalandovi i pro e contro di The Walking Dead 9.

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Contro

Uccidete padre Gabriel: la gestione della coralità

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The Walking Dead: Seth Gilliam in primo piano

Era tra i nostri timori quando, mesi fa, vi avevamo parlato delle nostre speranze per la nona stagione di The Walking Dead 9. E invece, rieccoci qui, a leccare sempre le stesse ferite. Sì, perché per The Walking Dead la gestione della coralità resta un enorme problema di fondo. Restano troppe le sequenze dedicate a tanti, troppi personaggi senza carisma e profondità, incapaci di accaparrarsi il nostro interesse e la nostra empatia. Personaggi come Enid, Aaron, Tara, Henry, Rosita e soprattutto padre Gabriel (secondo noi il peggiore mai visto nello show) non riescono a reggere il confronto con le gesta della "vecchia guardia", risultando scialbi e poco incisivi nell'arco narrativo della serie. Non aiuta aver creato dinamiche interpersonali forzate e insopportabili come il triangolo amoroso tra il nostro amato prete, Rosita e Siddiq (di rara inutilità), e non è certo un bene se, dinanzi alla mattanza fatta da Alpha (a suon di teste impalate), alcuni spettatori abbiano giustamente applaudito davanti alla dipartita di molti volti poco amati. Per adesso "rimandati a settembre", o meglio a ottobre, i cinque nuovi arrivati (Yumiko, Luke, Magna, Connie e Kelly) di cui aspettiamo di esplorare meglio il passato e il carattere per sbilanciarci. Una cosa è certa: se The Walking Dead vuole sopravvivere a se stessa dovrà potare i suoi rami secchi e puntare sulle salde radici.

Poco Negan

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The Walking Dead: Jeffrey Dean Morgan in una scena dell'episodio La Tempesta

E a proposito di radici, eccoci davanti a un'altra nota dolente, ovvero la scarsa presenza di un personaggio fondamentale come Negan. Nonostante sia arrivato soltanto alla fine della sesta stagione, il sadico personaggio interpretato con maestria da Jeffrey Dean Morgan è diventato subito uno dei volti più riconoscibili di The Walking Dead. A suo agio nei panni di un uomo dotato di lucida crudeltà e di una morale disillusa ma non del tutto disumana, l'attore ha modellato un antagonista affascinante, pericoloso anche quando è rinchiuso in prigione perché capace di manipolare anche senza l'uso della forza, armato solo di parole convincenti e melliflue. Sconfitto alla fine dell'ottava stagione, nel corso della nona Negan ha dimostrato tutto il suo orgoglio, ma di essere lontano anni luce da uno stupido ottuso. Negan è un maestro della sopravvivenza, e in quanto tale abilissimo ad adattarsi alle situazioni. Prigioniero di Michonne ad Alexandria, l'ex leader dei Salvatori ha mostrato segnali di sincero cambiamento, di umanità e di redenzione. Potenziale narrativo assai sprecato considerando la sua scarsa presenza in scena nel corso della stagione. Possiamo immaginare che il cachet di Morgan non sia dei più leggeri sul mercato, ma tenere un fuoriclasse come lui per troppo tempo in panchina è un lusso che The Walking Dead non può più permettersi.

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Troppi episodi

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The Walking Dead 9: Carol ed Ezekiel in una foto dell'episodio The Bridge

Eccezion fatta per la prima, tutte le altre stagioni di The Walking Dead sono sempre state divise in due parti. La prima in onda in autunno e la seconda durante l'inverno. Questo ci ha abituati alla presenza del cosiddetto mid-season finale, ovvero all'ultimo episodio della prima parte nel quale inserire spesso clamorosi colpi di scena (quest'anno sono apparsi per la prima volta i Sussurratori). Una dinamica che ha creato dei picchi di interesse all'interno di ogni stagione, ma anche troppi punti morti infarciti di lungaggini nel mezzo. L'impressione, insomma, è che una stagione di The Walking Dead sia composta da troppi episodi. Sedici episodi sono tanti, soprattutto se (come successo anche quest'anno) quelle davvero degne di nota sono sempre quattro o cinque. Passi l'esigenza di dividere la stagione in due tronconi, ma snellire la struttura a 10 o 12 episodi, puntando al sodo della storia, darebbe più ritmo e ridurrebbe la storica sensazione del "portarla troppo per lunghe" quasi fisiologica per uno show giunto alla decima stagione. E che non ha alcuna intenzione di fermarsi.

Pro

L'eredità di Rick Grimes

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The Walking Dead 9: Andrew Lincoln in una foto dell'episodio The Bridge

La risposta alla più scomoda delle domande è insperata, forse ingrata, senza dubbio sincera: sì, The Walking Dead può sopravvivere senza Rick Grimes. Per quanto il suo saluto (non un addio, ma un furbo arrivederci nei film) abbia ferito e commosso i fan, la serie ha sfruttato l'assenza del suo personaggio-simbolo per resettarsi, rinnovarsi, provare a immaginare un futuro nuovo. La parabola del personaggio interpretato (sempre meglio) da Andrew Lincoln sembrava in fase calante: dopo la sua evoluzione da capo di una democrazia a istintivo anarchico, eravamo davanti a un uomo profondamente diverso, ferito, cambiato dopo la morte di suo figlio Carl. Un figlio capace di insegnare a suo padre la nobile dote della comprensione, della calma e della tolleranza. Il fatto che Carl e Rick siano andati via quasi insieme, ha lasciato nelle mani degli altri personaggi un'eredità preziosa da onorare, e abbiamo apprezzato la maturità con la quale gli sceneggiatori di The Walking Dead non abbiano mai abusato della nostalgia per rievocare Rick. Il fantasma di Grimes aleggia con parsimonia nella gesta di Michonne, Daryl e Carol ma non è mai asfissiante o ingombrante. La serie si è lasciata alla spalle il suo vecchio leader e vuole guardare al futuro soprattutto grazie alla carica emotiva regalata dalle sequenze in cui Michonne duella con Negan a suon di frasi ficcanti e Daryl e Carol si capiscono e ritrovano con uno sguardo. L'eredità di Rick non è tanto riposta in Judith Grimes, ma nelle mani di questi quattro personaggi a cui ci siamo davvero affezionati.

Filosofia del bisbiglio: i Sussurratori

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The Walking: Samantha Morton, Cassady McClincy nell'episodio Il Guardiano

Cosa è più folle? Fare finta di nulla e provare a ripristinare uno stato civile dentro un mondo impazzito o arrendersi all'evidenza delle cose e abbracciare la brutalità dell'epidemia? Ecco un'altra domanda posta senza troppa pietà da The Walking Dead 9. La risposta è nascosta dietro le macabre maschere indossate dai Sussurratori: non più umani, non ancora zombie, raccapricciante ibrido incarnato da persone che usano i resti degli zombi per mimetizzarsi tra orde di infetti. Grazie a un'attrice sopraffina come Samantha Morton, in grado di dare ad Alpha le giuste dosi di gelida spietatezza, e a una spalla massiccia come Beta, ottimo comprimario per le sequenze più fisiche e violente, i Sussurratori (proprio come nel fumetto) sono stati una ventata di fetida aria fresca per lo show. Succede perché la loro filosofia di vita, straniante ma realista nello sposare la nuova natura animalesca della realtà, è malsana ma non impossibile da comprendere. Smettere di lottare con gli zombi per mischiarsi e confondersi con loro, significa adottare una tattica estrema quanto efficace, oltre che prendere atto di un mondo che non potrà mai più tornare quello di prima. I Sussurratori, poi, sono riusciti nell'impresa di ridare senso e spessore alla presenza degli zombie, ormai non più minacciosi da anni. Il disorientamento provato davanti a un errante, di cui adesso va interpretata la vera natura in pochi istanti, è stata una svolta inaspettata quanto necessaria. Senza dimenticare lo sconvolgente picco drammatico delle teste mozzate, "bigliettino da visita" che elevano Alpha tra i personaggi più spietati (e quindi intriganti) visti nella serie.

Messa in scena e scrittura

Quando inserisci il pilota automatico, ti dimentichi di fare le cose come si deve, vivi di rendita, smetti di sperimentare, rischiare, sorprendere. È questo l'errore in cui è caduto The Walking Dead che dopo una sesta stagione in cui aveva mostrato i muscoli (poche serie possono permettersi quel cliffhanger a fine stagione), aveva avuto una preoccupante involuzione anche sul piano della scrittura e della regia. Effetti speciali rozzi, messa in scena piatta, dialoghi inconcludenti. Difetti che The Walking Dead 9 ha tentato di risolvere, curando molto meglio la messa in scena, attraverso una fotografia più varia e a intuizioni di regia non sempre elementari e prevedibili come quelle degli ultimi tempi. Emblematici in tal senso gli ultimi tre episodi dello show, in cui il livello si è alzato non poco. Ripensiamo alle sequenze con una Michonne incinta che si fa strada tra bambini crudeli, all'epilogo straziante con le teste impalate e alla scelta (finalmente) di cambiare atmosfera con l'arrivo dell'inverno. Dopo nove anni di foreste ripetitive, vedere tanta neve attanagliare le sorti dei personaggi ci ha finalmente mostrato qualcosa di nuovo. Adesso, nonostante tutto questo gelo, la speranza è che per The Walking Dead possa sbocciare una nuova primavera piena di sussurri, balestre, katane, vecchi cappelli e tante mazze da baseball.