C'è un fascino antico e perverso alla base di questa storia maledetta. Ed è per questo che, prima di scrivere la recensione di The Vanishing, è stato necessario documentarsi a lungo, spulciare articoli, testimonianze, video e trovare una bussola per orientarsi nel mare di teorie, suggestioni e speculazioni che avvolgono il mistero su cui si basa il film di Kristoffer Nyholm. Un esordio alla regia ancorato al celebre mistero delle Isole Flannan, caso avvolto nell'ombra, legato all'assurda sparizione di tre guardiani del faro. Siamo in un punto remoto dell'Oceano Atlantico, a largo delle coste orientali scozzesi.
Anno 1900. In queste acque, nel corso dell'Ottocento, si sono verificati vari naufragi e altri disastri navali, così nel 1896 venne ordinata la costruzione di un faro necessario. Inaugurato nel 1899, il faro venne posto al centro dell'isola Eilean Mòr e custodito da quattro uomini (tre sempre presenti sull'isola e uno che riposava sulla terraferma) che si alternavano a rotazione. La fredda cronaca recita che nel dicembre del 1900 James Ducat, Thomas Marshall e Donald McArthur scomparvero del nulla. Di loro non si è mai saputo più nulla.
Sono queste le coordinate spazio-temporali di The Vanishing: Il mistero del faro, solido thriller dal ritmo paziente e (a tratti troppo) compassato, dedicato alla logorante convivenza di tre uomini costretti a condividere un luogo ostile. Grazie a un racconto dal fascino atavico, di quelli che catalizzerebbero le attenzioni di molti con il tipico incipit "era una notte buia e tempestosa", Nyholm è abile nell'invitarci in un luogo inospitale che, poco per volta, diventa palcoscenico di un malessere contagioso e inarrestabile.
Isole Flannan, un mistero oscuro per una trama solare
Agli inizi del Novecento, l'indagine sulla sparizione dei tre guardiani del faro è stata chiusa incolpando un'onda anomala che avrebbe travolto i tre uomini presenti sull'isola. Una teoria plausibile ma alquanto forzata. Ecco perché il mistero delle Isole Flannan ha assunto quella tipica forma di leggenda dentro cui è possibile trovare qualsiasi tipo di teoria. Se alcune ipotesi restano nell'ambito del verosimile, altre scatenano fantasie assurde che sconfinano nel paranormale (tra fantasmi, mostri marini e maledizioni). È importante ribadire che la trama di The Vanishing appartiene alla prima scuola di pensiero, perché il film di Nyholm rimane con i piedi per terra, senza mai sconfinare nel metafisico. Attraverso un'inevitabile impostazione teatrale, tutta fossilizzata sulle ottime prove dei suoi attori, il regista danese si sofferma sul serpeggiante malessere che si insinua lentamente nelle menti alienate di tre uomini isolati dal mondo.
Leggi anche: Tratto da una storia vera: da The Conjuring ad L'Esorcista, cinque horror da incubo
Il tutto messo in scena attraverso un involontario esperimento sociologico che mette a nudo l'umana predisposizione al conflitto, alla sopraffazione e all'incapacità di cooperare per un bene comune. La convivenza e la routine di Ducat, Marshall e McArthur, infatti, verrà spezzata da un agente esterno che scombinerà i fragili equilibri del trio, costringendoli a scendere a patti con la propria coscienza e il proprio senso di colpa. Nonostante un mito così ricco di suggestioni, The Vanishing - Il mistero del faro non si fa mai tentare dal fascino del mistero assurdo, preferendo la via del thriller psicologico e realistico in cui la tensione veleggia a tratti. Sì, perché il film procede a ondate, con due o tre sequenze dal forte coinvolgimento emotivo, e molti altri troppo distensivi in cui si perde molta di quella sensazione ansiogena che gli sarebbe servita per diventare un piccolo cult.
Nessun uomo è un'isola
Uno dei pregi di The Vanishing è quello di trasformarsi in una lucida e desolante riflessione sulla natura umana. Sospetti, dubbi, parole non dette lasciate per troppo tempo a macerare nel rancore. Tutto lasciato trapelare attraverso dialoghi mai didascalici, sguardi furtivi e silenzi sovraccarichi di malessere, rabbia e fragilità. Merito di un Gerard Butler alquanto inedito nel dare vita a un uomo tormentato e per questo imprevedibile, ma soprattutto di un misurato Peter Mullan che domina la scena con carisma e maestria. Abile nel rinchiudere i protagonisti dentro un incubo claustrofobico, la regia di Nyholm riesce a rendere molto familiari i luoghi nevralgici dell'isola, il che aiuta lo spettatore a calarsi nella storia, a riconoscere oggetti, spazi, indizi significativi per i destini di personaggi rinchiusi dentro una lenta spirale diretta verso il delirio. A prescindere dall'epoca, The Vanishing assomiglia davvero a un racconto senza tempo. Perché potrebbe essere ambientato nel 1900 come cinquecento anni prima o duecento anni dopo, ma il suo retrogusto amaro da affresco antropologico rimarrebbe identico. Questo perché questo racconto antico su vecchi archetipi (tre uomini, un'isola deserta, un forziere da aprire) inseriti dentro un cinema classico ma non stantio. Un film in cui non ci si perde, perché non ha alcuna intenzione di rapire, ma dal quale si riemerge con un po' di mal di mare.
Movieplayer.it
3.0/5