Con la recensione di The Upshaws, nuova serie comica disponibile su Netflix, si torna in quel territorio curioso che da alcuni anni fa parte del modus operandi della piattaforma: il tentativo di riportare in auge il format classico della sitcom, con riprese in teatri di posa e pubblico presente, con l'aggiornamento minimo che è riconoscere che siamo su un servizio streaming e non su un canale generalista, con una maggiore libertà per quanto riguarda il linguaggio (anche se in realtà questa variazione sul tema l'aveva già messa in atto la HBO in tempi non sospetti, nel 2006, con Louis C.K.). Un'operazione stramba che finora ha generato risultati modesti, fuori tempo massimo, reliquie di un tempo che fu. In questo caso, complice la presenza di Wanda Sykes davanti e dietro la macchina da presa (è co-creatrice, sceneggiatrice e produttrice esecutiva), c'è un tentativo di andare oltre i limiti del genere, nobile ma in fin dei conti incompatibile con la forma espressiva scelta. N.B. La recensione si basa sulla visione in anteprima della stagione completa.
Una famiglia allargata
Al centro di The Upshaws c'è l'omonima famiglia, un po' in crisi come suggerisce la schermata del titolo con il cognome segnato da crepe: c'è il padre Bennie (Mike Epps), che vive apparentemente felice con la moglie Regina (Kim Fields) e le due figlie piccole Aaliyah e Maya; c'è il figlio maggiore Bernard, in cattivi rapporti con il padre che lo ha quasi sempre trascurato; c'è l'altro figlio Kelvin, nato da una relazione extraconiugale (Bennie era convinto che con Regina fosse finita); c'è la cognata Lucretia (Wanda Sykes), che non perde mai l'occasione di consigliare alla sorella di lasciare Bennie. Attorno a loro ruotano le classiche storie di malintesi e frustrazioni, tra la casa e l'officina che Bennie gestisce insieme agli ex-compagni di scorribande criminali (nel primo episodio assistiamo al ritorno in società di Duck, che ha appena scontato una pena carceraria e deciso di lasciarsi alle spalle i metodi violenti dei tempi che furono). In particolare, assume un'importanza sempre più evidente la delusione professionale di Regina, desiderosa di fare passi in avanti in ambito lavorativo mentre Bennie dimostra di non capirla fino in fondo.
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Cupi tentativi di risata
Al netto di legittimi dubbi sulla presenza del pubblico per le riprese (dato che la serie è stata girata dopo il primo lockdown), le risate risultano comunque abbastanza forzate a causa di un evidente contrasto tra la forma e il contenuto: anche nei suoi momenti più cupi (vedi alcuni dei passaggi più drammatici di Friends, o la conclusione della settima stagione di Seinfeld), la sitcom classica funziona perché mette in scena personaggi a cui ci affezioniamo, nel bene e nel male. Qui la cosa è più difficile, poiché la struttura dello show ci chiede di simpatizzare con Bennie all'interno di un meccanismo che non prevede le sfumature caratteriali di un personaggio che non è né completamente buono né completamente cattivo. La scrittura cerca di passare da gag pure a discorsi più complessi, in particolare nella seconda metà della stagione che propone un vero arco narrativo serializzato fatto su misura per il bingewatching, ma l'operazione si inceppa nel momento in cui ambizioni più serie si scontrano con gli archetipi (vedi il personaggio di Lucretia, la cui caratterizzazione sembra uscita da un prodotto di vent'anni fa). Al posto della risata arriva un senso di angoscia, in parte voluto ma in grandissima parte frutto di un lavoro che non ha capito come muoversi all'interno di una struttura limitante.
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Ed è un peccato, perché la storia in sé, nel tentativo di approfondire escamotage triti e ritriti, genera situazioni interessanti, che in un contesto diverso, come quello della soap opera postmoderna di un Desperate Housewives - I segreti di Wisteria Lane, avrebbe potuto aggiungere qualcosa di sostanzioso alla produzione afroamericana contemporanea. Nella sua forma attuale, invece, è un prodotto incerto che vuole guardare al presente ma è bloccato dagli stilemi di ieri (con tanto di rimandi espliciti ad altre sitcom di tempi lontani), inciampando regolarmente tra una gag e l'altra. Fino ad arrivare a una situazione che, come da tradizione di Netflix, promette una seconda stagione (non ancora annunciata ma, conoscendo le abitudini delle alte sfere della piattaforma, quasi sicuramente in arrivo) e, sulla carta, un ulteriore mescolamento di due tipi di narrazione che non dovrebbero dividere lo stesso spazio.
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Conclusioni
Chiudiamo la recensione di The Upshaws sottolineando come si tratti di una sitcom ambiziosa ma irrisolta, che non riesce a unire completamente la forma classica e il contenuto più moderno. La scrittura discontinua fa pochi favori a un cast generalmente all'altezza.
Perché ci piace
- Gli attori sono simpatici e dotati di ottimi tempi comici.
- La volontà di andare oltre i limiti della sitcom classica è intrigante...
Cosa non va
- ... Ma l'ambizione è incompatibile con le restrizioni strutturali del progetto.
- Wanda Sykes è un po' sprecata nei panni di Lucretia.