Nel 1995, lo spietato gangster russo Arkady Karasov e i suoi soci Leo Imasov e Yuri hanno preso il controllo del business della prostituzione sulla Costa Azzurra, eliminando di fatto le bande rivali. Una delle ragazze che lavora al loro servizio è la giovane Anna, sfruttata come tante altre sue coetanee da quella banda senza scrupoli. L'azione si sposta in avanti di quindici anni, con Anna pronta a organizzare un elaborato piano per far cadere l'impero criminale di Karasov e vendicarsi delle violenze subite.
Come vi raccontiamo nella recensione di The Transporter Legacy, a finire suo malgrado coinvolto sarà l'ex operativo delle forze speciali Frank Martin, un asso al volante nonché esperto di combattimenti corpo a corpo, che "lavora" trasportando pacchetti o persone in missioni spericolate e non sempre legali, a bordo della sua Audi S8. Per costringerlo a collaborare, Anna rapisce Frank Martin Sr., un agente del MI6 in pensione e padre di Frank Jr.: questi si ritrova suo malgrado impegnato in un'impresa pericolosa e adrenalinica.
Ricominciamo...
Ci sono reboot e reboot e viene difficile ricordarne uno più fallimentare di The Transporter Legacy, quarto capitolo del franchise e sorta di nuovo inizio, con Ed Skrein a prendere il posto del ben più carismatico Jason Statham. Un nuovo inizio che è coinciso anche con una prematura fine della serie, in attesa che qualcuno vi rimetta mano prima o poi in futuro. Ma andiamo con ordine e vediamo cosa non va in questa nuova avventura di Frank Martin datata 2015, cominciando da una sceneggiatura spesso improbabile e ricca di forzature. Il protagonista a differenza del solito sembra passivamente vittima degli eventi e la vicenda vive su situazioni che si ripetono ciclicamente senza un'effettiva logica, impedendo allo spettatore di affezionarsi ai personaggi principali, che si muovono come inermi pedine in un gioco narrativo confuso e sconclusionato. Dalle figure femminili anonime ad un villain di cartapesta, il cast non brilla a cominciare proprio da Skrein, reduce allora dal notevole successo sul piccolo schermo in Game of Thrones per il pur breve ruolo di Daario Naharis.
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Tutte per uno
Tra citazioni a Dumas e a I tre moschettieri ben più che casuali, infatuazioni romantiche d'ordinanza e salvataggi dell'ultimo minuto, l'ora e mezzo di visione si appoggia a luoghi comuni in serie, senza trovare la giusta personalità. Manca il climax, la tensione assente e anche lo stesso divertimento di genere viene meno per via di sequenze d'azione poco ispirate, tranne una manciata di scene. Ma un paio di coreografie discretamente orchestrate non salvano una generale mancanza di sostanza e si rimpiangono enormemente le acrobazie di Statham, di ben altra qualità. Il regista Camille Delamarre, autore l'anno prima dell'altrettanto mediocre remake Brick Mansions (2014), aveva già lavorato alla saga come editor di Transporter 3 (2008), ma la promozione dietro la macchina da presa non ha garantito i risultati sperati e nemmeno quel senso di continuità, auspicabile anche seguendo le vie del reboot.
Bang bang, brum brum
Slow motion a go go, lotte all'ultimo sangue in corridoi assurdamente stretti, spericolati inseguimenti su quattro ruote fino all'ingiustificabile resa dei conti finale, dove tutti i contendenti si ritrovano senza validi perché sul medesimo yacht alle prese con una situazione di stallo tragicomica e molti di loro vengono banalmente eliminati senza un minimo di pathos, buoni o cattivi che siano. E che dire della panoramica conclusiva sul nostro Frank Martin, sguardo tormentato verso l'orizzonte, all'insegna di una serietà fuori luogo e poco affine a un personaggio che era apprezzabile per ben altri motivi. Il padre dongiovanni interpretato dal compianto Ray Stevenson risulta paradossalmente l'elemento migliore, un personaggio piacione e incurante di quel che gli accade intorno, summa perfetta di un film che se ne sbatte della coerenza, mancando più o meno volutamente di rispetto per i fan del franchise che si attendevano ben altro.
Conclusioni
Nella versione originale il titolo è accompagnato dall'aggettivo Refueled, ma nel presunto rifornimento il carburante deve essere finito fuori dal serbatoio, in quanto questo reboot ha il fiato corto e non regge il paragone con i suoi tre predecessori. The Transporter Legacy segna l'esordio nei panni di Frank Martin di Ed Skrein - subentrato a un Jason Statham che non ha accettato di continuare a interpretare il personaggio - che fa rimpiangere e non poco il ben più carismatico collega. Ma il film non funziona nemmeno a livello narrativo, con una sceneggiatura improponibile e forzata, e nemmeno dal punto di vista dell'azione, con coreografie per la maggior parte poco ispirate, siano combattimenti a mani nude o forsennati inseguimenti su quattro ruote.
Perché ci piace
- Un paio di sequenze d'azione discrete ma nulla più, e in un'ora e mezzo di visione è troppo poco per un film di genere.
Cosa non va
- Ed Skrein non ha il carisma adatto per il ruolo.
- Sceneggiatura e personaggi anonimi.
- Messa in scena priva di tensione ed emozione.