"In una testimonianza emotiva, secondo me, l'ottantacinque percento è esagerazione." "E l'altro quindici?" "Falsa testimonianza. Ai miti della creazione serve il diavolo."
Distribuito al cinema il 5 settembre 1941, Quarto potere ha esplorato uno dei temi al cuore della cultura stessa degli Stati Uniti: il mito del self-made man come suprema incarnazione del sogno americano. Un mito che tuttavia, nella straordinaria opera prima di Orson Welles, è fatto oggetto di una demistificazione implacabile; e nell'America di Roosevelt, che da lì a tre mesi sarebbe entrata in guerra contro i totalitarismi europei, un film del genere non poteva che essere percepito come un pugno allo stomaco. A quasi settant'anni di distanza, in The Social Network, il regista David Fincher si confronterà invece con il self-made man per antonomasia della nostra epoca: Mark Zuckerberg, il giovanissimo creatore di Facebook.
The Social Network faceva la sua comparsa nelle sale l'1 ottobre 2010, venendo accolto dalla critica come il film dell'anno e aggiudicandosi tre premi Oscar (miglior sceneggiatura, colonna sonora e montaggio). David Fincher lo definisce ironicamente "il Quarto potere dei film di John Hughes", ma il paragone fra le due pellicole, evocato in più occasioni, è tutt'altro che peregrino: anche The Social Network, come Quarto potere, racconta l'ascesa folgorante di un giovane antieroe e, in controluce, il suo impatto sulla società. E in entrambi i casi, ad emergere in primo piano è il lato oscuro dell'American Dream: l'inquietante ipotesi che il successo non costituisca un infallibile viatico per la felicità.
Da Orson Welles a David Fincher: anatomia di due film-inchiesta
È dunque lecito supporre che la magnifica sceneggiatura firmata per David Fincher da Aaron Sorkin, sulla base del libro di Ben Mezrich Miliardari per caso, abbia almeno qualche debito con lo script realizzato a quattro mani da Orson Welles ed Herman J. Mankiewicz e ricompensato con l'unico Oscar attribuito a Quarto potere (proprio alla stesura del film di Welles è dedicato fra l'altro Mank, il film biografico su Herman J. Mankiewicz diretto da Fincher nel 2020). Dopo l'indimenticabile incipit con la morte del protagonista e il mistero di Rosebud, Quarto potere ci presenta la figura di Charles Foster Kane attraverso un espediente particolare: un fittizio documentario che, nell'arco di alcuni minuti, ripercorre per sommi capi l'esistenza di questo magnate della stampa che per lungo tempo era stato l'uomo più influente d'America.
Se già una scelta simile appariva come una netta anomalia rispetto alle convenzioni del cinema hollywoodiano, il resto della pellicola non adotta il semplice ricorso ai flashback, ma inserisce tali flashback all'interno dell'inchiesta condotta dal reporter Jerry Thompson (William Alland), affidandoli pertanto al punto di vista soggettivo di diversi personaggi. Ebbene, anche The Social Network procede mediante una catena di analessi, sostituendo al reportage giornalistico su Kane le deposizioni e i ricordi di Mark Zuckerberg, interpretato da Jesse Eisenberg, e di coloro che lo hanno citato in giudizio con le accuse di aver rubato l'idea di Facebook e di aver raggirato il co-fondatore del sito, Eduardo Saverin (Andrew Garfield). E come in Quarto potere, pure la struttura del film di Fincher consente un'analoga sovrapposizione di prospettive e di voci narranti.
The Social Network: il capolavoro di David Fincher parla (ancora) di tutti noi
Charles Foster Kane e Mark Zuckerberg: dal quarto al quinto potere
Charles Foster Kane, il Citizen Kane del titolo originale del capolavoro di Orson Welles (che tenne il ruolo per se stesso), era ispirato all'imprenditore William Randolph Hearst, proprietario di un gigantesco impero mediatico adoperato per favorire la propria carriera politica; non a caso Hearst, riconoscendosi nell'ambizioso e spregiudicato "cittadino Kane", avrebbe tentato con ogni mezzo di boicottare il film di Welles. Un film imperniato appunto sulla capacità del "quarto potere", la stampa, di influenzare e manovrare l'opinione pubblica; in maniera finanche ambigua e pericolosa, laddove l'informazione perdeva la propria autonomia per rispondere agli interessi di un singolo individuo. "Lei si preoccupa di quello che pensa la gente?", domanda sarcastico Kane; "Su questo argomento posso illuminarla: io sono un'autorità su come far pensare la gente".
Nel 1941, un ventiseienne Orson Welles metteva in guardia l'America sui rischi insiti nell'intreccio fra giornalismo e politica. Sette decenni più tardi, i social media si affermeranno come uno dei principali strumenti di comunicazione di una società globalizzata; e rispetto al 2010, la loro importanza come veicolo di informazione e di propaganda politica è cresciuta a dismisura. The Social Network non si sofferma su questo aspetto, ancora di là dal manifestarsi, pur alludendo all'impatto rivoluzionario esercitato da Facebook sulle nostre vite; in compenso descrive la scalata di Mark Zuckerberg, che come Kane può contare su una posizione privilegiata. La famiglia di Kane si ritrova immersa in un'improvvisa ricchezza; Zuckerberg non ha il medesimo background, ma in qualità di studente di Harvard è comunque parte di un'élite, per quanto si senta escluso dai gradini più alti del microcosmo universitario.
Quarto potere: i segreti del film più acclamato di sempre in cinque scene memorabili
Rosebud: la tragedia del rimpianto
Ricostruendo l'intera vicenda di Charles Foster Kane, Quarto potere mostra anche il suo progressivo declino e l'isolamento autoimposto in quella gabbia dorata chiamata Xanadu; The Social Network copre un arco di tempo più limitato, e la parabola del suo Zuckerberg è esclusivamente ascendente. Eppure, nel percorso dei due personaggi non mancano ulteriori affinità, incluso un elemento-chiave della loro 'dannazione': l'amicizia tradita. Uno dei narratori di Quarto potere è Jedediah Leland (Joseph Cotten), il reporter la cui integrità gli costerà l'amicizia di Kane e il posto di lavoro. In The Social Network, il conflitto più doloroso al centro della storia si consuma fra Mark e il suo migliore amico Eduardo, pugnalato alle spalle per aver osato opporsi, sebbene soltanto per qualche ora, alla hybris del proprio partner d'affari.
Il potere, sembrano dirci entrambi i film, divora chi ce l'ha: più Kane e Zuckerberg si spingono verso l'alto, più si fanno sfuggire il contatto con la realtà, mentre i sentimenti benigni (l'amicizia, l'amore, la fiducia) si tramutano in ossessione e paranoia. Pur appartenendo ad epoche lontanissime, Quarto potere e The Social Network mettono in scena la "tragedia americana" per eccellenza: il sogno come l'altra faccia dell'incubo, la natura demoniaca che si annida dietro al mito ("Ai miti della creazione serve il diavolo", è l'ammonimento a Mark dell'avvocatessa Marylin Delpy). L'ultima parola di Kane prima di morire, Rosebud, è un ricordo d'infanzia, il rimpianto per un'innocenza perduta; e al termine del film vedremo quell'innocenza letteralmente divorata dalle fiamme.
L'ultima immagine di Zuckerberg, invece, è il suo sguardo di ghiaccio di fronte allo schermo di un PC. Kane vagheggiava la sua Rosebud all'inizio di Quarto potere, nel momento del trapasso; di contro, nella prima scena di The Social Network Mark viene lasciato dalla sua ragazza, Erica Albright (Rooney Mara). Ed Erica, in fondo, è la Rosebud di Mark: tenuta da parte per tutto il film, ma in qualche modo sempre lì, in un angolo della sua mente. E nell'epilogo, l'attesa di una risposta da un profilo di Facebook evoca lo stesso, disperante senso di vuoto di quella slitta ormai dispersa nei meandri di un impero.
Da Zuckerberg a Steve Jobs: con Aaron Sorkin la tecnologia è al servizio del talento e dell'amore