Nessuno nell'attuale panorama cinematografico internazionale può competere con Asghar Farhadi quando si tratta di mostrare le incredibili ramificazioni che una ordinaria e banale azione può avere sulla vita di uno o più personaggi: in About Elly bastava il gesto di invitare una ragazza ad una gita al lago; nel premio Oscar Una separazione si trattava di una piccola distrazione da parte di una giovane badante; ne Il passato è semplicemente la visita di un ex a dare il via ad un intreccio che avrà conseguenze per tutti i protagonisti.
Lo stesso succede anche in questo The Salesman, che vede la coppia di sposi composta da Emad e Rana costretta improvvisamente a cambiare casa dopo che il loro edificio viene giudicato inagibile a causa di alcune lesioni strutturali e perdite di gas. Per fortuna nella compagnia teatrale in cui i due lavorano come attori (stanno portando in scena un'opera di Arthur Miller) un collega si dice subito disposto a dare una mano ed offre loro un appartamento lasciato libero da un'inquilina qualche settimana prima. Questa inquilina però nasconde un segreto che indirettamente porterà ad un incidente che cambierà per sempre la vita dei due protagonisti.
Morte di un commesso viaggiatore
Se nel cinema di Asghar Fahradi l'ordinario si trasforma spesso in una tragedia più grande di quello che sembra è perché tutti i suoi film (con l'esclusione del "francese" Il passato) sono molto radicati nella cultura e società iraniana, in cui la minaccia di uno scandalo, della pubblica vergogna (anche senza alcuna colpa) è perfino peggiore della violenza fisica. Di quello che le è successo, Rana rifiuta di parlare alla polizia e vuole che vicini e amici ne sappiano il meno possibile.
Il marito così si trova davanti ad un'impasse: la donna preferirebbe dimenticare ma allo stesso tempo non riesce a farlo, perché non si sente sicura, non si sente protetta. È qui che Fahradi, un poco alla volta, inserisce i parallelismi tra il personaggio di Emad e quello di Willy Loman che interpreta sul palcoscenico: a caratterizzare entrambi c'è quel senso di colpa ed inadeguatezza nei confronti della moglie da cui non riescono a sottrarsi e che in qualche modo segnerà la loro rovina.
Il revenge movie dell'anima
Emad però non accetta passivamente lo sguardo perso della moglie e il suo sentirsi inutile, è così che in una svolta mistery quasi hitchcockiana riesce ad arrivare ad un confronto in cui ancora una volta non è la forza fisica a determinarne l'esito ma sono i principi morali. Emad è un uomo ferito, un uomo divorato dal desiderio di vendetta e giustizia, ma soprattutto è un uomo. E per questo non capisce quello di cui veramente la moglie ha bisogno, quello che la moglie non riesce a comunicare se non con quello sguardo ferito e umiliato.
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Gli sguardi e il non detto d'altronde sono da sempre l'essenza del cinema di Fahradi, e c'è una scena in quest'ultimo film, splendida ed agghiacciante nella sua naturalezza e nella sua semplicità, che è particolarmente significativa: si tratta di una cena felice e spensierata in cui un banale piatto di spaghetti si può trasformare dal cibo più succulento del mondo nel boccone più difficile da inghiottire e mandare giù, quello della vergogna e dell'impossibilità di dimenticare. Il tutto davanti agli occhi ancora innocenti e spensierati di un bambino incapace di capire ma che in quel momento potrebbe rappresentare chiunque giudichi al di fuori del contesto rappresentato.
Si tratta anche della scena in cui al meglio possiamo apprezzare le incredibili interpretazioni dei due interpreti Shahab Hosseini e Taraneh Alidoosti, entrambi fedelissimi collaboratori del regista e di questo cinema che continua ad essere un thriller dell'anima, a colpire e scavare sempre più a fondo e a ricordarci che non esistono azioni, per quanto minuscole e apparentemente innocue, senza conseguenze. O quantomeno non esistono nel cinema e nella società iraniana, ed è per questo che siamo da sempre grati ad un autore come Asghar Fahradi.
Movieplayer.it
4.0/5