Un comico, per parlare di un tema, deve conoscerlo. Questo il punto di partenza di Francesco De Carlo nell'affrontare The Roast of Italy, proprio per questo motivo definito un programma observational, che si basa sull'osservazione diretta e approfondita di un tema sui cui costruire anche monologhi comici. In onda su Comedy Central ogni martedì, lo show con protagonista De Carlo arriva alla puntata del 26 Gennaio volgendo lo sguardo verso la musica trap, facendosi accompagnare da un ospite d'eccezione come Piotta per affrontare questo percorso. Ne abbiamo parlato direttamente con Francesco De Carlo per farci raccontare qualcosa sulla realizzazione di quest'ultima puntata, ma anche di quelle già andate in onda che hanno già rivolto l'attenzione su altri temi interessanti, per capire i presupposti su cui si basa il lavoro relativo a The Roast of Italy così come la comicità del suo mattatore.
Nel mondo della trap
Partiamo dalla prossima puntata che andrà in onda, che affronta il tema della trap. Come hai scelto questo tema e come ti ci sei approcciato?
The Roast of Italy ha come intento da una parte di vagliare e analizzare alcuni aspetti dell'Italia e degli italiani, e dall'altra farmi uscire dalla confort zone e farmi fare delle esperienze lontane da me sulle quali scrivere poi dei monologhi comici. Il tema musicale è uno di quelli che meglio risponde a queste esigenze, perché è un periodo in cui tanti giovani ci si avvicinano, soprattutto se parliamo di trap, e fanno successo. Inoltre di recente mi sono avvicinato alla musica con un approccio un po' da vecchio: strimpello la chitarra e avevo iniziato di fare al termine dei miei spettacoli delle canzoni di cantautorato becero comico. Mi sono unito a un duo già esistente e poco prima che chiudessero tutto abbiamo fatto anche due concerti che sono andati molto bene. Insomma la musica mi ha sempre incuriosito, allora mi sono detto: proprio per svecchiare i miei gusti musicali ancorati ai cantautori anni '70 e vedere come funziona il mondo della musica di oggi per chi vi si approccia da zero, perché non fare un viaggio per comprendere questo ambiente. Sono passato per un giovane trapper romano che sta avendo un buon successo sui social, ho visto come funziona la sua vita, e mi sono fatto guidare da una guest star come Piotta che mi ha fatto da mentore in questo mondo. Insieme a lui ho trasformato un mio brano intitolato "Mi sono innamorato di una complottista" in versione rap, anche se lui ha cercato di farmi desistere da questo, e un dissing nei confronti dei miei colleghi. Come fanno i rapper che si insultano a vicenda, io l'ho fatto con il mondo della stand-up.
A fine puntata che idea ti sei fatto del fenomeno?
Come per ogni tema, va detto che ci sono tanti pregiudizi. Prima di tutto miei. Sono pieno di pregiudizi, questa è la considerazione finale di queste otto puntate di The Roast of Italy. Se uno resta dentro casa, nella sua confort zone, non mette mai in discussione le proprie idee. Nel caso della trap, il ragazzo che ho conosciuto è uno che si sveglia alle sei del mattino per aprire il bar di famiglia e ha il sogno di sfondare nella musica. Non c'è niente di male in questo, ma vedo che in ogni ambito c'è sempre questa contrapposizione "noi" e "loro", ma sono dei ragazzi giovani che hanno dei sogni e fanno di tutto per realizzarli, per comunicare quello che hanno dentro. Poi alcuni sono più bravi di altri, come in ogni campo. E va detto che non è così facile avere successo: ci si immagina che basti mettere l'autotune o altri espedienti, ma la produzione del brano è solo l'inizio, perché c'è tutto un lavoro successivo, dalla distribuzione alla promozione, che è più complesso di quanto ci si possa aspettare. Inoltre in questo momento di live bloccati, viene meno l'unica grande forma di guadagno. Se anche i grandi guadagnano soprattutto da quello, immagina su un scala più piccola quanto questo possa essere un problema.
D'altra parte lo diciamo da mesi ormai che il mondo dello spettacolo è quello più penalizzato dalla situazione attuale.
È un disastro. L'unica forma di ottimismo che riesco a coltivare è che quando si riaprirà nascerà una nuova scena. Il pubblico non vede l'ora di andare a concerti, spettacoli, cinema. Tutti ci stiamo rendendo conto di quanto era importante tutto questo, che non abbiamo più quello che davamo per scontato. Sono convinto che ci sarà una sorta di rinascimento culturale che investirà tutto il mondo dell'intrattenimento, della cultura e dello spettacolo.
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I tanti temi di The Roast of Italy
Facendo un passo indietro, come hai scelto i temi per le puntate realizzate fin qui?
Ho cercato, insieme agli autori, di mettermi il più possibile in difficoltà. Se parliamo di calcio o di comicità sono temi che mastico abbastanza bene; se parliamo di starsene a casa sul divano, sono un campione mondiale. Se mi dici di passare la giornata con due bambini e far loro da babysitter, visto che li odio, è ovvio che il conflitto ha generato dei momenti e dei monologhi interessanti. Ho cercato di mettere sempre in discussione quello che pensavo di un tema, così come per il populismo quando ho fatto il sindaco di Cerveteri, ho voluto portare in giro delle allegre vedove per conoscere il famoso pubblico mainstream, e anche lì sono venuti fuori momenti molto divertenti. Per quanto riguarda il nobile, essendo io di estrazione molto popolare ho voluto vedere come fosse il conflitto con una persona estremamente educata e simpatica come il conte Baldovinetti. E infine la scorsa settimana siamo usciti con quello che secondo me è un capolavoro di surrealismo, che è stata la produzione di un film porno che si chiama "Vorrei ma non voglio". C'è una prima parte in cui vado su un set porno e non mi era mai successo di vedere delle persone all'amore davanti a me. Ma soprattutto dopo di questo mi incaponisco e mi dico che voglio produrre il primo film porno con dei contenuti culturali, quindi abbiamo preso un set, quattro attori professionisti e abbiamo fatto Vorrei ma non voglio che è un film ambientato in una città in cui la libido è sparita per motivi che non si conoscono, ma può tornare grazie alla cultura. Quindi i personaggi dovevano recitare Jonescu, leggere Kant, citare Il capitale di Marx per poter poi andare a letto. È una cosa assurda, ma è una metafora di quello che è il mio lavoro, il contrasto tra quello che vuole fare un creativo e quello che poi ti chiede il pubblico e il mercato. Anche lì abbiamo avuto una guest molto importante che è Rocco Siffredi. Il film l'ho fatto insieme a Francesco Malcom che è un pornoattore italiano di lunga esperienza, mentre a Rocco abbiamo chiesto cosa ne pensasse di questo capolavoro.
Dal punto di vista pratico, come lavorate a una puntata dello show? I monologhi li scrivi dopo aver vissuto l'esperienza?
Sì, assolutamente. I monologhi sono il frutto dell'esperienza. Alcuni sono di repertorio, perché su alcuni temi ho già del materiale, e questi possono essere all'inizio della puntata, ma nel corso dell'esperienza cambia il punto di vista e accompagno lo spettatore in questa trasformazione. Quasi sempre l'esperienza cambia quello che pensavo, quindi parto da un punto A, penso di arrivare a un punto B ma invece arrivo a un punto C. E questo ti fa capire qualcosa anche di te stesso.
C'è un argomento che ti ha messo più in difficoltà nell'affrontarlo? Uno che ti ha fatto pensare "chi me l'ha fatto fare!"?
Non me la sono mai vista brutta, a parte quando il bambino ha dato la botta nell'occhio al fratello nella prima puntata. Quello è uno dei miei incubi maggiori, l'idea che un bambino possa farsi male sotto la mia protezione. Per il resto a parte incidenti su un cavallo, o l'ultima puntata che mi ha portato in una comunità di tossicodipendenti. Questo prima che uscisse SanPa, di cui ancora non sapevo niente. Ho provato a fare un workshop di comicità ai ragazzi che la frequentano, perché sono convinto che, tolte le tecniche della comicità che si imparano in cinque minuti, il comico nasce dalle esperienze di vita. E chi meglio di un ragazzo che ha avuto problemi di dipendenza può raccontare la sua vita vissuta molto profondamente. È stata una sfida per capire come raccontare quell'esperienza. Abbiamo fatto un workshop di quattro settimane in cui ho cercato di trasmettere loro le conoscenze di base, ho ascoltato le loro esperienze e abbiamo realizzato uno spettacolo di fine corso. E devo dire che è stata una puntata di un'umanità incredibile. Credo sia stata la sfida più alta, ma sono stati bravissimi loro e verrà una puntata molto bella.
Come nasce The Roast of Italy?
Parlando dello show in generale: come è nata l'idea di lavorare a The Roast of Italy? Come e quanto è diverso da quanto fatto all'estero?
The Roast è un programma con tradizione decennale in cui si prende un personaggio e si mette a ferro e fuoco. C'è poi quello spagnolo in cui si prendono dei temi e si vede come fare per scrivere un monologo su quei temi. A questo ho cercato di aggiungere un po' di autobiografia, di raccontare un po' la vita del comico, quello che c'è intorno al palco, dietro al palco, per arrivare al palco. In un periodo in cui la comicità passa spesso attraverso battutine e meme su internet, credo che sia importante riaffermare che chi sale su un palco ha una responsabilità e deve raccontare delle cose, possibilmente divertenti e originali, ma fare anche lo sforzo di alzarsi dal divano e vivere la vita. Credo che ci sia molta della mia vita, a partire da mio padre che è in tutte le puntate ed è diventato una star nel quartiere. Ci tenevo a raccontare anche cose personali. Ci sarà una puntata sui single, perché lo sono e voglio raccontare cosa voglia dire essere single a quarant'anni. Cerco di tenere in piedi tutte e due le cose: da una parte il roast dell'Italia e degli italiani, dall'altra le vicende personali di un comico che deve scrivere dei monologhi su determinati temi, quindi abbandonare la propria confort zone e fare delle storielle.
Nella tua attività di comico chi sono i tuoi modelli? Ci sono comici italiani o internazionali a cui ti ispiri?
Sto riscoprendo tantissimo la commedia all'italiana. Parliamo di stand-up comedy come se fosse un prodotto americano che abbiamo importato adesso, ma abbiamo avuto la commedia all'italiana che metteva insieme tragico e comico. Questa è la stand-up, una comicità più vera, e non l'hanno inventata gli Americani, noi la facevamo al cinema. Ci sono dei film con degli attori e fatti da registi e autori illuminati di cui forse dovremmo essere un po' più orgogliosi, perché sono stati veramente rivoluzionari. Hanno messo insieme la verità e la comicità. Il problema del comico in Italia è che è sempre visto come il personaggio ridicolo che deve far sempre ridere, ma se fai un programma tutto di battute, alla fine non fai nemmeno più ridere. È il mio punto di vista e il mio stile. La mia voce credo sia questa: recuperare un po' di verità nelle cose che si fanno. In tanti film ti fai una bella risata dopo aver visto il dramma, e quella risata è ancora più importante. All'estero per quanto riguarda la stand-up sono bravissimi e cito ogni volta qualcuno di diverso, sono drogato di quel tipo di umorismo. Da noi era arrivata la stand-up, era l'anno della stand-up, ma si riprenderà da lì perché tanti giovani non fanno più personaggi e parodie, ma fanno monologhi e questo è molto importante. Su questo Comedy Central è stata fondamentale, perché dall'inizio si è resa conto del respiro internazionale di quello che facciamo e ha trovato sempre più comici da far salire su un palco.