Con questa recensione di The Rain 2 torniamo, a distanza di poco più di un anno, nella Scandinavia post-apocalittica immaginata da Jannik Tai Mosholt, Esben Toft Jacobsen e Christian Potalivo, autori della prima serie originale nordica per Netflix. Un mondo devastato da una pioggia letale, che ci era stato introdotto cinque anni dopo il fatidico evento, quando due dei sopravvissuti, la giovane Simone (Alba August) e il fratello Rasmus (Lucas Lynggaard Tønnesen), emersero dal bunker dove li aveva nascosti il padre Frederik (Lars Simonsen), e iniziarono la loro ricerca di risposte e di un posto dove tenersi al riparo dalle insidie delle condizioni atmosferiche a dir poco avverse. Un duplice viaggio che li portò, insieme ad altre persone, dalla Danimarca alla Svezia e a una scoperta terrificante: Frederik faceva parte del gruppo che ideò il virus trasmesso dalla pioggia, e Rasmus è il contenitore di una versione mutata del morbo, il che rende pericoloso anche solo toccarlo. E così iniziò una nuova fuga per la sopravvivenza, con alle calcagna la misteriosa organizzazione guidata da Sten (Johannes Bah Kuhnke).
Stagione nuova, ritmo nuovo
Per quanto non priva di spunti interessanti, mescolando problematiche giovanili con la formula del survival movie post-apocalittico, la prima stagione di The Rain soffriva comunque di un difetto non insolito per le produzioni seriali della piattaforma di streaming: una trama allungata a dismisura per quello che essenzialmente era un lungo preludio, durato otto episodi (la seconda annata ne ha solo sei). Il materiale davvero interessante arriva lentamente e riguarda essenzialmente il conflitto aperto tra il piccolo gruppo di superstiti e gli scienziati della Apollon, unito alla situazione sempre più instabile di Rasmus, un'arma vivente pronta a esplodere (non proprio letteralmente) in qualunque istante. È preservata la struttura dei flashback sparsi in punti strategici dei singoli episodi, sia per approfondire il background dei personaggi (particolarmente efficace quello di Fie) che per raccontarci, in momenti di sottile pathos come la sequenza d'apertura della prima puntata, gli inizi dell'apocalisse. Il tono è più apertamente horror, con sprazzi di David Cronenberg per quanto riguarda l'uso del corpo come fonte dei momenti più orrorifici (per quanto calibrati per un pubblico relativamente giovane, essendo la serie concepita per spettatori dai tredici anni in su).
L'equilibrio tra dramma intimo e thriller-horror, con intrighi che si susseguono con regolarità, dà a questo secondo ciclo una carica adrenalinica ed emotiva notevole, abilmente contrapposta all'estetica ancora più lugubre del solito legata ai paesaggi nordici. C'è uno scavo più profondo nella psicologia di tutti i personaggi, con particolare attenzione a Rasmus che da espediente narrativo passa rapidamente a nucleo umano della storia, soprattutto quando anche per lui si palesa la possibilità di un rapporto affettivo con una persona in condizioni che si contrappongono alle sue (lui può uccidere chiunque, lei rischia di morire da un momento all'altro a causa di un sistema immunitario in pessime condizioni).
Dalle dinamiche alquanto artificiose della prima annata siamo passati nella seconda stagione a una formula corale ben impostata, dove il pathos umano alimenta la tensione e viceversa, laddove un anno fa entrambe le componenti procedevano quasi col pilota automatico. Il numero ridotto di episodi elimina la necessità di allungare il brodo, dando ad ogni capitolo una propria identità, per quanto compatibile con la formula del binge-watching, e la sensazione di aver assistito a un racconto più completo, anche se le possibilità per il futuro non mancano.
Serie TV in arrivo nel 2019, direttamente da Canneseries
Apocalypse Nordic
A livello di genere puro c'è anche un certo fascino legato alla dimensione scandinava, in termini di mood generale, grigio come solo i nordici sanno dipingerlo con misurata efficacia, e nelle concessioni più elementari ma simpatiche a certe convenzioni narrative, anche se per coglierle è necessario conoscere un minimo le lingue locali (i protagonisti sono danesi mentre l'antagonista principale è svedese, mettendo alla berlina i luoghi comuni sulle rivalità tra i paesi in questione). Particolarmente notevoli, a livello lessicale, le continue menzioni della necessità di "uccidere" il virus: in originale usano l'espressione specifica slå ihjel, la cui connotazione è relativamente neutra in patria ma fa comunque sorridere poiché si traduce letteralmente con "ammazzare di botte". Un'involontaria sfumatura "di serie B" per chi conosce e apprezza gli idiomi nordici, che alimenta il fattore entertainment della serie con quella carica vitale che era per lo più assente un anno fa.
Conclusioni
Arrivati in fondo alla nostra recensione di The Rain 2, vediamo come la seconda stagione lasci un'impressione nettamente più positiva rispetto alla prima, troppo attenta all'atmosfera lugubre e non abbastanza ai meccanismi narrativi. I tempi morti sono stati sostituiti in questa sede da cadaveri veri, con un tono che vira più verso l'horror pur preservando, con una cura maggiore, il miscuglio originale di pathos umano (e in particolare quello giovanile) e brividi da thriller "virale".
Perché ci piace
- La seconda stagione è strutturata e gestita in modo più efficace ed equilibrato.
- Alba August guida un cast molto più affiatato e sfruttato a dovere.
- I momenti puramente di genere sono spettacolari e terrificanti nella giusta misura.
Cosa non va
- Non ci sarebbe dispiaciuto qualche minuto in più per i singoli episodi, alcuni dei quali sono piuttosto brevi.