"Non cesseremo mai di esplorare, e alla fine dell'esplorazione arriveremo là dove abbiamo cominciato. E per la prima volta conosceremo il luogo". Queste parole di T.S. Eliot, incise sulla casa di San Francisco, che, come il Pifferaio di Hamelin, ha attratto una serie di ragazzi che giocavano a un gioco su una app, ci introducono al finale di The OA 2, l'intrigante serie in streaming su Netflix dal 22 marzo. Sono parole stimolanti, dense, misteriose. Il senso del finale è forse anche qui, ma non solo. Forse questa frase vuole dirci che Prairie, o Nina come l'abbiamo conosciuta in questa seconda stagione, Homer, Hap, BBA, Karim e gli altri personaggi dovranno esplorare ancora, viaggiare ancora, muoversi nelle dimensioni per trovare se stessi, per trovare il senso della loro esistenza. E forse vuole dirci, velatamente, che anche per noi l'esperienza di The OA sarà una lunga esplorazione. Perché è una serie che va vista più volte per coglierne tutte le stratificazioni e i significati profondi. E perché, probabilmente, esploreremo The OA anche in altre stagioni: il finale della seconda stagione, The OA 2x8, Visione d'insieme, ha un finale compiuto ma anche estremamente aperto, molto più del finale della stagione 1. Di fatto, ci porta già nella stagione 3. In questa spiegazione del finale di The OA 2 proveremo a cogliere alcuni significati dei nuovi episodi della serie.
Che cos'è una casa?
La visione d'insieme del titolo dell'episodio The OA 2x8 è quella che possiamo avere solo dall'alto, quella visione della Terra che abbiamo avuto solo una volta arrivati sulla Luna. In quella famosa casa di cui stiamo parlando, c'è un rosone, evocato dai sogni, che probabilmente ci darà una visione d'insieme sul nostro mondo. Karim ci arriva, ma quello che vede ha qualcosa di beffardo, quasi a suggerirci il nostro vivere, consci o ignari, in un mondo di finzione. La seconda stagione della serie Netflix - di cui abbiamo parlato anche nella nostra recensione di The OA 2 - si conclude in una casa, come del resto in una casa, anzi due, si svolgevano gran parte delle vicende della prima. Ma che cos'è una casa? È uno spazio, ed è così che si collegano le dimensioni, attraverso gli spazi. Trovandosi in un luogo, ci sono persone che sono in grado di "sentire" la presenza di qualcuno, anche se è in un'altra dimensione.
Sogni e dèjà vu
The OA ci vuole suggerire che la realtà è molto più strana e complicata di quello che crediamo, come spiega Praire/Nina (Brit Marling) a Karim. I sogni, e i déjà vu, allora, non sarebbero altro che un modo per vedere cosa è accaduto in passato, ma in un'altra dimensione. È un modo affascinante di considerare i sogni, qualcosa a cui non siamo abituati a pensare, ma The OA è qui anche per instillarci dubbi, per farci riflettere ad altre ipotesi, per aprirci la mente. Se davvero fossimo destinati, prima o poi, a un'altra dimensione? Ce lo chiedevamo all'inizio di questa seconda stagione, e ce lo chiediamo ancora, dopo averla portata a termine. D'altra parte "è la nostra incapacità che non ci fa concepire certe cose", come ripete Hap in un momento chiave del finale di The OA 2. Si riferisce ai suoi esperimenti, ma la frase sembra parlare della serie stessa o, a livello più ampio, dell'arte, quella in grado di aprici la mente.
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L'effetto eco
Che l'abbiate trovata efficace o no, al livello della prima o meno, quello che non si può discutere è che la stagione 2 di The OA ha dettato le coordinate, le regole del gioco del mondo in cui ci muoviamo (gli sceneggiatori hanno sentito la necessità di spiegare molte più cose che nella stagione 1). Nella prima parte non erano ancora abbastanza chiare. Ora sì - per quanto possano esserle in un gioco immaginifico come questo - e nelle stagioni successive sappiamo che i protagonisti si muoveranno secondo queste. Ora sappiamo che gli eventi che accadono in certe dimensioni influiscono sulle dimensioni circostanti. È come l'eco. Se ci avviciniamo a qualcuno, ci avviciniamo anche nelle altre dimensioni. Ma l'effetto eco non è scontato. Passando in un'altra dimensione potremmo non ritrovarci in essa, non ritrovare le stesse persone, e crollare a pezzi. Il rischio, inoltre, è che la vecchia identità soffochi la nuova, o viceversa. È per questo che Prairie soffoca Nina, è nel suo corpo ma non ha la sua mente, i suoi ricordi. E per liberare Nina dovrà rivivere quel trauma di quando Nina era ragazzina, legato all'acqua: ecco perché, al di là dei simbolismi, è uno dei temi ricorrenti del racconto.
Se questo è un angelo
E Praire sceglie di farlo, di liberare Nina. Perché, in fondo, abbiamo il libero arbitrio. E, se per molti il passaggio a un'altra dimensione, il "salto", non è voluto, oppure lo è ma è una necessità, per alcuni può essere una scelta (per Hap lo sarà per non lottare più) o un'abitudine ormai consolidata, come per l'affascinante viaggiatrice interpretata da Irène Jacob. Che ci spiega che, sì, è possibile l'integrazione tra le varie personalità. Prairie acquista man mano informazioni e consapevolezza di queste possibilità. Quella di essere un angelo ce l'aveva da subito, da quel colloquio con BBA, l'insegnante del liceo, in una delle prime puntate, quando si era presentata come The OA, in italiano Il PA, il Primo Angelo. Nel finale di stagione, nell'episodio 8, durante uno scambio con Hap, la sua nemesi, lo ribadisce ancora. "Sono stata pressata come il carbone, ho sofferto. E questo è un angelo. Essere pressata sotto il peso di questo mondo". E ripete anche, riferendosi a lei e ai suoi compagni di viaggio, "Noi abbiamo fede". Dobbiamo averla anche noi che guardiamo The OA, abbandonarci e fidarci del racconto. Allora abbiate fede. Anche nella terza stagione.
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