Presentato in anteprima Italiana lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma e uscito nelle sale a novembre, l'intrigante The Menu di Mark Mylod è finalmente approdato in streaming su Disney+. Il thriller d'estrazione gastronomica si è rivelato uno dei titoli più sofisticati e accattivanti del 2022, racimolando ottimo consenso tra critica e pubblico, che lo hanno accolto come un'opera cinematograficamente gustosa e concettualmente raffinata.
La storia segue il borioso Tyler (Nicholas Hoult) che decide di portare la compagna Margot (Anya Taylor-Joy) a vivere insieme a lui un'esperienza culinaria inimmaginabile nel prestigioso ristorante dello chef Julian Slowik (Ralph Fiennes), unico nel suo genere perché situato nell'isola privata di Hawthorne, appena al largo della costa. Costoso, elegante, ingegnoso ed elaborato, il menu pensato da Slowik per i suoi ospiti miliardari - imprenditori, tech-heads, critici - lascerà i commensali senza fiato, elevando agli eccessi più incresciosi il senso stesso della cucina come arte e della passione come sacrificio.
N.B.: Attenzione, spoiler a seguire
La Setta
Un film, questo di Mylod, in grado di superare la sua stessa derivazione e gli stereotipi di genere per imporsi con forza e sagacia in chiave sociale e intellettuale, senza troppe arie ma con delle ambizioni definite e ben calibrate che raggiungono infatti il loro scopo tra intrattenimento e riflessione. Soprattutto, nel grande miscellanea d'ispirazioni, The Menu riesce persino a parafrasare in contesto una pietra miliare del cinema come Quarto Potere di Orson Welles, quanto meno nel valore allegorico e intimo che l'autore sceglie di conferire al finale. C'è in realtà molto di più, considerando un cambio strategico d'interesse tematico, ma prima di arrivare a Welles si passa per tante altre intuizioni. Nella sua costruzione generale, il thriller rielabora in chiave più adulta e semi-orrorifica l'intramontabile La Fabbrica di Cioccolato di Roald Dahl, legandolo durante il grottesco ma esaltante sviluppo a qualche tratto narrativo de L'isola del dottor Moreau.
Slowik rappresenta infatti il Willy Wonka di turno o il dottore titolare del romanzo di H.G. Wells: una mente brillante e introversa, appassionata e fuori da ogni schema o preconcetto, che sceglie un luogo di totale immersione nella propria attività per allontanarsi al contempo dalla frastornante civiltà, vista un po' come una gabbia da cui fuggire, sia per il fisico sia per il pensiero. Lo chef di Hawthorne si presenta come un lungimirante genio della gastronomia molecolare che ritiene di aver ormai superato ogni limite possibile della sua stessa arte, per questo insoddisfatto e deciso a raggiungere un nuovo, irraggiungibile e mortale standard.
È così che attraverso la costruzione del suo mirabolante e introspettivo menu, Slowik punta a demistificare la spocchia e l'arroganza della sua ristretta cerchia di commensali benestanti, rei di aver abusato eticamente e intellettualmente della gastronomia per scopi di facciata, si tratti di ostentazione, lucro o carriera. Vuole dare un'estrema lezione di morale a chi morale non ne ha, e per farlo rigetta la sua stessa umanità per alienarsi al di sopra della vita stessa, scegliendo la via del sacrificio estremo e imitando quasi da vicino il controverso Jim Jones, pastore mente del suicidio di massa di Jonestown del 1978. La somiglianza traspare dell'inflessibile e militare rigore con cui Slowik comanda la sua brigata, che a Howthorne diventa praticamente una setta dedita esclusivamente al cibo e alla sua elevazione artistica e culinaria. Ma ciò che più colpisce è come questa artificiosa e compassata aura di perfezione sia stata ugualmente spinta e distruzione della passione e dell'esistenza di Slowik.
The Menu, la recensione: il gioiellino cineculinario è servito
Il valore della semplicità
È proprio nella figura dello chef interpretato da una magnetico e stoico Ralph Fiennes che troviamo la similitudine che collega The Menu a Quarto Potere. L'accostamento è da considerarsi con tutti i limiti del caso, eppure la lettura di una particolare scelta narrativa sembra affezionata e riverente al capolavoro di Welles. Esattamente come il leggendario Charles Foster Kane, magnate dell'editoria americana, anche Slowik è all'apice nel suo campo d'interesse, forse il più celebre e blasonato e curioso chef del mondo, almeno all'interno della finzione del film di Mylod. La sua ostinata e passionale scalata al successo è durata decenni e ha portato alla creazione di un vero e proprio impero della gastronomia più elevata e di lusso, dove la sostanza e la ricercatezza incontrano materie prime, strumenti e lavorazioni costose e non alla portata di tutti.
Un personaggio così eccentrico e al contempo introverso da ritirarsi in un'isola privata che sfrutta sia come ristorante che come casa, un po' come il Castello di Candalù in cui si ritirò Kane in tarda età. Già lo stesso Willy Wonka e La Fabbrica di Cioccolato era e in parte resta l'infantilizzazione stilistica del personaggio e del film di Welles, e Slowik sembra un po' sintesi ed esasperazione di questa dimensione concettuale dove viene in qualche modo glorificato l'insostituibile valore della semplicità in una storia che rivela i risvolti negativi correlati alla sua stessa perdita. Arriviamo allora alla Rosabella di Slowik, il suo cheeseburger degli inizi, quando in un piccolo ristorante di città cucinava ancora con il sorriso e carico di sogni di successo positivi.
È proprio quel cheeseburger a incarnare la gioia, l'ingenuità e la spensieratezza del comfort food, che in cucina è grassa e felice semplicità. Dentro quel panino, insieme a tutti gli altri ingredienti, Slowik mette nuovamente tutto il suo amore e la sua passione, ritrovando il sorriso appena a un passo dalla morte per suicidio, compimento ideale della sua visione molecolare e umana di cucina artistica, dessert-omicidio del suo stesso impero e del male da esso incarnato. Eppure, mentre lo slittino di Kane viene bruciato senza mai rivelare la sua importanza, il cheeseburger viene divorato famelicamente da Margot, emblema della popolazione medio-borghese e quindi della maggioranza, a sottolineare il tramandamento dell'eredità più vera e sincera di Slowik.
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