Philip K. Dick è un autore che ha una vita cinematografica notevole, dalle sue storie e le sue geniali idee sono stati tratti innumerevoli film e capolavori come Blade Runner, eppure la fedeltà all'originale non è mai stata un elemento chiave degli adattamenti. L'ultimo in ordine di tempo a dedicarsi a rendere l'opera di Dick è stato Frank Spotnitz nella serie di Amazon The Man in the High Castle, diffusa come pilot lo scorso anno ed in procinto di essere diffusa per intero in streaming con tutti i suoi 10 episodi il prossimo 20 Novembre, come abitudine degli Amazon Studios, che sposa la filosofia da Binge Watching di Netflix.
L'ispirazione per lo show, prodotto anche da Ridley Scott con un budget più che dignitoso, è il romanzo noto da noi come La svastica sul sole, nel quale l'autore di Blade Runner ipotizzava una realtà alternativa in cui gli alleati non hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale e il mondo è governato dalla Germania nazista ed il Giappone. Un'ambientazione ed una storia affascinante che Spotnitz ha dovuto espandere in uno script di più ampio respiro che potesse coprire l'arco narrativo di dieci episodi e, potenzialmente, continuare per più stagioni. Di questo abbiamo parlato nel corso del nostro incontro, ma senza trascurare un elemento chiave e quantomai attuale della sua carriera: l'imminente ritorno di X-Files previsto per il 24 Gennaio del 2016.
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La sfida di adattare Dick
Cosa l'ha affascinata tanto di questa storia, tanto da decidere di farne una serie? Ho letto il libro quando ero al college ed ha fatto lasciato un segno dentro di me. Per tanti anni avevamo visto serie TV in cui i buoni vincevano, qui invece i buoni perdono, anzi hanno perso molti anni prima dell'inizio della storia che vive nella sconfitta. Questo mi ha emozionato e turbato allo stesso tempo e il libro è rimasto dentro di me a lungo.
I lavori di adattamento da romanzo a film sono sempre rischiosi perché si scontrano con le aspettative di chi ha letto l'originale. Che riscontro c'è stato da parte di chi ha letto l'opera di Dick? Ero molto preoccupato di questo aspetto, perché sapevo che avrei dovuto cambiare il romanzo che non era adattabile in una serie TV. Ma la figlia di Philip K. Dick è una delle produttrici della serie ed ha approvato quello che ho fatto, quando vedeva che c'era qualcosa che poteva essere in contrasto con le idee del padre me lo diceva, abbiamo avuto diverse discussioni e talvolta non eravamo d'accordo, perché in fondo anche lei stava interpretando le idee del padre come facevo io. Però alla fine il risultato è stato buono e finora tutti i fan hanno capito quelli che sono stati i miei cambiamenti ed hanno visto come in una serie televisiva ci potesse essere più spazio per esplorare le idee del romanzo.
Ci può fare qualche esempio dei cambiamenti che ha apportato alla storia?
Il più evidente, se avete letto il romanzo, è che lì the man in the high castle ha scritto un libro in cui gli alleati hanno vinto la guerra, mentre nella serie c'è un film che mostra questa stessa idea. È un grande cambiamento. Penso che oggi un libro avrebbe avuto un impatto inferiore e inoltre mentre si guarda una serie TV vedere delle immagini è molto più potente che sentir leggere una storia. Ancora più interessante, secondo me, è che le immagini che vengono mostrate sono quelle che abbiamo visto per tutta la vita, perché abbiamo usato materiale reale della seconda guerra mondiale. Trovate interessante vedere che invece i personaggi della serie non potevano avere le nostre stesse reazioni a quelle immagini, la trovo una cosa molto potente dal punto di vista narrativo.
Un altro cambiamento riguarda il ragazzo della protagonista, che viene arrestato in situazioni diverse. Quando la storia del libro inizia, Juliana e Frank si sono già divisi. Lei è in Colorado e lui a San Francisco. Io ho preferito fare un passo indietro e mostrarli ancora insieme, in questo modo gli spettatori avrebbero potuto costruire con loro un legame diverso ed essere più coinvolti dalle loro vicende. In più il fatto che lui sia ebreo per nascita ma non per identità, nel senso che non è la sua fede, mi è sembrato un ulteriore elemento interessante che potesse essere approfondito.
Grazie ad Amazon
Come è stato lavorare con Amazon Studios. C'è stata maggiore pressione, visto che basa tutto sul gradimento del pilot da parte del pubblico?
Sapete il concetto di togliere la spina dalla zampa del leone? Ecco, ho provato la stessa gratitudine, perché Amazon ha letteralmente salvato questo progetto che era nel limbo, rifiutato da tutti per un paio d'anni, quindi siamo stati tutti felicissimi che sia stato così amato da loro. La cosa unica di Amazon è che mette il pilot a disposizione sul loro service e tutti possono votare, mentre io ero abituato a mostrare il lavoro solo ai dirigenti di una rete e ci si basava solo sulla loro decisione. In questo caso tutti possono vedere il tuo lavoro, se hai fatto bene o meno. Per fortuna la gente ha apprezzato molto il pilot e l'ha reso il più popolare realizzato da Amazon, quindi alla fine posso dire che mi piace molto questo sistema [ride]. Funziona! Quello che sorprende è che proprio a causa della reazione positiva del pubblico è stato più semplice realizzare la serie. Amazon si è sentita più sicura nello spendere molti soldi per The Man in the High Castle e reclutare le persone migliori per realizzarlo, visto che tutti hanno visto il progetto e sapevano a cosa avrebbero lavorato.
Può dirci qualcosa della collaborazione con Ridley Scott che aveva già lavorato con materiale di Dick?
Ridley Scott e David Zucker che lavora per lui sono stati i sostenitori di questo materiale per molto tempo e quando ho fatto il mio adattamento ho avuto da loro la massima libertà. Quando lo abbiamo realizzato, il ruolo di Scott è stato di consulente visivo, nel senso che aveva delle idee molto precise su come andava girato, sulla luce e sulla scenografia. Naturalmente mi ha dato come riferimenti anche Blade Runner, Il conformista di Bertolucci e un artista come Edward Hopper e credo che queste influenze siano visibili.
Cosa ne pensa di questa nuova tendenza di Amazon e Netflix, per esempio, di far vedere le nuove serie TV per intero?
Per me è un tempo incredibile, il migliore di sempre per fare e vedere televisione, non c'è mai stata così tanta buona televisione in giro o così tanti tipi di televisione. Per la prima volta nella mia carriera, mi viene chiesto di essere originale, di fare qualcosa che nessuno ha fatto prima. Perché il mercato è così affollato che devi necessariamente fare qualcosa che si faccia notare. È una sfida continua, la competizione è durissima, ma allo stesso tempo è estremamente stimolante.
Il lavoro per l'Italia
Può dirci qualcosa anche dell'altra serie per cui è qui, Medici: Masters Of Florence?
Medici è scritta per la Rai, prodotta con Lux Vide, con Richard Madden, Dustin Hoffman e Billy Campbell. La prima stagione tratta di Giovanni De' Medici e i suoi figli Cosimo e Lorenzo ed è un dramma storico in senso stretto, più un What if, con un'impostazione simile a quella di Amadeus nei confronti della vita di Mozart. Perché non sappiamo come Giovanni De' Medici morì, ma se fu ucciso, questo può essere un mistero che può ossessionare suo figlio. Ho pensato che nel raccontare la storia seguendo questa strada avrebbe potuto conquistare anche persone che non sono interessate alle vicende dei Medici e organizzare tutti i loro nemici intorno a questo quesito centrale. Per me quindi è stato un modo diretto e immediato per approcciare la storia e renderla interessante per un pubblico moderno. Non sapevo molto dei Medici, ma leggendo la loro storia mi sono convinto che hanno creato il mondo che conosciamo oggi, dal punto di vista economico e culturale, perché hanno creato le banche e il commercio ed allo stesso tempo finanziato il Rinascimento.
Don't Give Up!
Lei ha parlato di originalità, ma ora imperversa la tendenza ai revival. Ci può dire qualcosa di quello di X-Files? Che ne pensa di questo ritorno?
Penso che la crescita di tutte queste nuove piattaforme come Amazon e Netflix oltre al cable è stato a danno dei network tradizionali, che ora hanno bisogno di riguadagnare il loro pubblico. Per questo guardano al loro archivio alla ricerca di nomi che possano recuperare alcuni dei loro spettatori. Nel caso di X-Files io penso che meriti di tornare! X-Files è un'idea così geniale, David e Gillian hanno incarnato quei personaggi in modo così perfetto, che non ho mai dubitato che potesse tornare. Infatti dopo il secondo film ho detto agli attori che non credevo che sarebbe stata la fine. Anche se il film è stato una delusione, sapevo che in qualche modo sarebbe tornata. Ancora parlo con i fan online, alcuni di loro sono qui anche oggi, e per gli ultimi sette anni ho continuato a dirgli "non arrendetevi" (NDR: "Don't Give Up" è la battuta finale di X-Files: Voglio crederci), tornerà. E mi sento sollevato dal fatto che ora lo farà, mi dispiace solo di non aver potuto prendere parte al progetto della decima stagione. Ma come fan non vedo l'ora di guardarla.
Che lezione conserva dall'aver lavorato per dieci anni ad una serie così iconica come X-Files? Che ci crediate o meno, X-Files è stato il mio primo lavoro in televisione, appena uscito dalla scuola di cinema. Quindi è stato come una seconda scuola di cinema, ho imparato tutto da quell'esperienza, la porto dentro di me ogni giorno ed in tutto il mio lavoro continuo a pensare al mio tempo nella serie. Sono stato incredibilmente fortunato ad esserne parte. Quello che ritengo inusuale in X-Files negli anni '90 e in quel momento della televisione è l'ambizione smisurata di Chris Carter. Ci diceva sempre che non potevamo mai essere abbastanza furbo, perché il pubblico è più furbo di te, sempre un passo avanti a te. Questo è stato un grande insegnamento che ho portato sempre con me fino ad ora in The Man in the High Castle.