Incredibile ma vero. I binari del Far West possono essere molto più pericolosi di burrascosi mari in tempesta. Il deserto degli Stati Uniti, infatti, nasconde trappole più fameliche dei kraken caraibici. Lo hanno imparato a loro spese Gore Verbinski e Johnny Depp, che dopo aver rilanciato i pirati sul grande schermo, hanno provato a ripetere l'impresa rispolverando anche un genere antico come il cinema: il mitico western. Sono queste le premesse di The Lone Ranger, film che nasce sulle ali dell'entusiasmo, nel rispetto di un proverbio sulla carta affidabile: squadra che vince non si cambia. Jerry Bruckheimer in produzione, il sapiente Verbinski in cabina di regia e Johnny Depp alle prese con la sua ennesima maschera stramba. Il tutto, ovviamente, sotto la benedizione di "mamma" Disney. Cosa potrebbe andare storto? Molte cose, a dire il vero. A partire da una produzione talmente ambiziosa da sforare di gran lunga il budget iniziale. Arrivato in sala in una sfortunata estate del 2013, The Lone Ranger non rispettò le rosee aspettative che lo precedevano, deragliando su tutta linea: non apprezzato dalla critica, non compreso davvero dal pubblico e affossato da un botteghino impietoso. Costato ben 215 milioni di dollari, il film ne incassa soltanto 89 negli Stati Uniti e 260 in tutto il mondo. Però c'è un piccolo dettaglio che abbiamo tralasciato: il budget del marketing, che lievitò sino a 150 milioni di dollari. Il che porta The Lone Ranger nell'oscuro mondo dei numeri negativi.
Un bottino misero, che di fatto inibisce ogni ambizione per un'eventuale saga morta sul nascere. Eppure, nonostante questi risultati deludenti, noi siamo certi che The Lone Ranger non meriti di rimanere sepolto tra le sabbie dei film dimenticati. Ed è per questo che nel nuovo episodio della nostra rubrica "Incompresi" vi racconteremo i retroscena di una spettacolare e impavida avventura in salsa western, che galoppa ancora nei nostri occhi.
Alle origini del mito
Gli Stati Uniti d'America sono una nazione storicamente molto giovane. Ed è per questo che la loro mitologia affonda le radici in un'epoca relativamente recente. Un'epoca fatta di guerre sanguinose e cruenti conflitti, ma anche di grandi traguardi per la società civile. Ed è per questo che il western si è imposto come il genere prediletto in cui raccontare sia grandi imprese che pagine oscure della storia, sia leggende da ammirare che personaggi dalla fama tutt'altro che onorevole. In questo senso The Lone Ranger recupera una visione quasi romantica del western. Pur criticando la cupidigia dell'animo umano, le pellicola è lontana dalle derive crepuscolari e disilluse de Gli spietati, Hostiles, Django Unchained e The Hateful Eight, preferendo soffermarsi sulla origin story di un eroe positivo. Perché con il suo Cavaliere Solitario The Lone Ranger non fa altro che scolpire il prototipo dell'eroe americano: giusto, leale, riluttante alla violenza e convinto che qualsiasi balordo meriti una seconda occasione di redenzione. Senza dimenticare un'iconografia che lo avvicina al supereroe dotato di maschera, alter ego e un fulgido destriero bianco dalle abilità incredibili. In effetti le origini di The Lone Ranger risalgono sino a un vecchio mito tutto americano. Il film di Verbinski, infatti, è ispirato a un programma radiofonico nato nel 1933 (la stessa data in cui sono ambientate le sequenze del film dedicate al racconto del vecchio Tonto). Quasi 3000 episodi per uno show trasmesso da Detroit Radio Station che narrava le gesta del ranger John Reid, salvato dall'indiano Tonto dalle grinfie di un manipolo di fuorilegge. Il buon John, affiancato dal fedele compagno d'avventura, si impegnava per vendicare il fratello ucciso, ma col tempo si trasformava nel nobile Cavaliere Solitario, talmente ligio al suo codice morale da evitare ogni spargimento di sangue. Il personaggio era talmente positivo e idealista da fare breccia nel cuore degli americani, conquistati da una figura impeccabile in cui riconoscersi.
Così, tra gli anni Quaranta e Cinquanta The Lone Ranger diventa un vero e proprio fenomeno transmediale. Nel 1948 la Western Publishing pubblica il fumetto dedicato alle avventure dell'avventuroso duo (con tanto di cross-over con Zorro), nel 1949 la ABC produce un'apprezzata serie televisiva andata avanti sino al 1957 (pare che il protagonista Clayton Moore indossasse l'iconica maschera nera anche fuori dal set) , nel 1956 è il turno del primo adattamento cinematografico (in Italia distribuito con il titolo Il cavaliere senza volto) e dell'inevitabile romanzo, mentre nel 1966 arriva anche la serie animata, poi ripresa negli anni Ottanta dalla mitica Filmnation (lo stesso studio di Masters of the Universe e The Real Ghostbusters). Insomma, The Lone Ranger ha alle spalle decenni di storie raccontate su ogni mezzo possibile e immaginabile. A infarcire di mito il tutto c'è anche la credenza popolare che la storia sia basata su una persona realmente esistita. Stiamo parlando di Bass Reeves, uno dei primi uomini di legge neri della storia. Una figura molto amata dalla comunità afro-americana, celebre per le sue incredibili doti da pistolero e da detective capace di catturare oltre 3mila fuorilegge. Un uomo però dimenticato dalla Storia, come dimostrato dal fatto che lo stesso Cavaliere Solitario è tutt'altro che nero.
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Una produzione folle
È il 2007 quando in casa Disney inizia a serpeggiare il desiderio di salire a bordo di quel treno chiamato The Lone Ranger. Un anno non casuale, visto che è quello in cui la strabordante trilogia de I Pirati dei Caraibi ha chiuso il suo ciclo glorioso con un incasso globale di quasi 3 miliardi di dollari. Un successo clamoroso, che ha avuto soprattutto due meriti indiscutibili: aver regalato al cinema una figura iconica come Jack Sparrow (senza dubbio il personaggio cinematografico non ispirato a opere già esistenti più celebre degli ultimi 20 anni) e aver traghettato i pirati verso il grande successo commerciale, visto che in passato il genere corsaro non era mai stato molto fortunato sul grande schermo. Chiuso quel capitolo glorioso, c'era bisogno di cavalcare l'onda del successo. E così il produttore Jerry Bruckheimer punta sull'usato sicuro: Gore Verbinski alla regia e Johnny Depp a cui affidare un personaggio eccentrico e fuori dagli schemi. La pre-produzione di The Lone Ranger parte nel 2009, ma il progetto si dimostra subito troppo impegnativo per essere chiuso in pochi anni. C'è bisogno di aspettare il 2012 per avviare l'enorme macchina produttiva dietro The Lone Ranger. Un film che dopo il deludente e scialbo quarto capitolo della saga dei Pirati dei Caraibi, uscito nel 2011, si sovraccarica di aspettative e speranze per il futuro. Per rendere l'idea della folle ambizione dietro questo film basta soltanto ricordare una cosa: la produzione costruì una linea ferroviaria nel deserto del New Mexico appositamente per The Lone Ranger. Ben 8 chilometri di binari costruiti anche durante le riprese, visto che Verbinski (in nome di un realismo quasi maniacale) ebbe la geniale idea di inserire nel film anche il montaggio vero e proprio della strada ferrata con le comparse all'opera.
Per rendere il tutto estremamente verosimile, furono creati anche due treni alimentati a legna e a carbone. Una scelta artistica ammirevole, in cui i ritocchi digitali furono ridotti al minimo, ma che ovviamente pesarono non poco sul portafogli della Disney. A complicare il tutto ci furono anche delle condizioni ambientali avverse. Girare in un deserto comportò uno sbalzo termico incredibile, costringendo la troupe a convivere con temperature che oscillavano dai -2 ai 45 gradi centigradi. A completare la situazione di enorme disagio anche vari incidenti sul set (tra cui una caduta da cavallo di Depp, sopravvissuto quasi per miracolo) e tempeste di sabbia che crearono lunghi ritardi. Insomma, The Lone Ranger aveva ambizioni grandi quanto i suoi meravigliosi scorci paesaggistici. Un film che aveva fame di epica di frontiera e grandi racconti, ma che (come il corvo morto sulla testa di Tonto) si dovette accontentare solo delle briciole.
Troppo usato, poco sicuro
La domanda che ci poniamo sempre in questa nostra rubrica dedicati ai film incompresi è sempre una: cosa è andato storto? Da queste parti difenderemo sempre The Lone Ranger a pistola tratta, ma è indubbio che l'opera di Verbinski abbia dei problemi evidenti. In primis i dejà vu con la saga dei Pirati dei Caraibi sono davvero troppi. Almeno in superficie. Il gusto per l'avventura, il personaggio di Tonto che nelle movenze e nelle smorfie facciali assomiglia davvero troppo a Jack Sparrow, il triangolo amoroso di contorno e la volontà di lanciare una nuova star come Armie Hammer attraverso un personaggio valoroso e di buon cuore. Proprio come fatto con Orlando Bloom anni prima. Forse la Disney si è fidata troppo di personaggi e di una proprietà intellettuale non così conosciuta e popolare al di fuori degli Stati Uniti, e sicuramente non ha aiutato anche il tentativo (coraggioso) di conciliare dramma e commedia. The Lone Ranger in molte sequenze non riesce a far convivere bene queste due anime, spezzando l'epica con una comicità che a volte funziona, mentre altre appare fuori tono. Manca quella brillantezza nei dialoghi che ha contraddistinto la saga dei pirati, o meglio in parte c'è, ma è davvero troppo altalenante all'interno di un film pieno di alti e bassi. E aggiungiamoci pure un protagonista forse troppo passivo e vittima degli eventi, ancora troppo acerbo e guidato dagli altri in questa origin story, che forse avremmo apprezzato al meglio solo nei due film successivi di una trilogia che non vedremo mai. E poi non va dimenticata un'altra cosa. Badate bene, per noi non è un difetto del film, ma al massimo una sua criticità: The Lone Ranger non ha i tempi e le dinamiche del tipico blockbuster. Il film svela le sue carte poco per volta, si affida alla pazienza del pubblico con una struttura narrativa che non chiarisce subito le motivazioni dei personaggi e il vissuto dei protagonisti. Alla fine sarà tutto chiaro, ma il percorso con cui arriva a dirci tutto è più tortuoso e meno lineare del solito. Per noi le criticità di The Lone Ranger finiscono qui. Non abbastanza per etichettare un western d'avventura come un'opera deludente, scarsa e da dimenticare. Ed è per questo che, scavando nella sabbia del tempo, abbiamo trovato molte cose da salvare. Eccole.
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L'oro del Far West
Alla radici del mito americano. È questa la vera meta di The Lone Ranger. Come detto in apertura, Verbinski sfrutta il western per ribadire come il western stesso sia sempre stato terreno fertile per raccontare una mitologia tutta statunitense (tema già in parte affrontato nello splendido e mai abbastanza incensato film animato Rango, sempre diretto dal regista americano). Lo fa in un film ambientato in un'epoca di grandi cambiamenti, un tempo di transizione, che proiettava il Paese verso il futuro. La metafora della ferrovia come veicolo di progresso è perfetta per raccontare la genesi non solo di un personaggio, ma di una nazione intera, finalmente unita dalla preziosa strada ferrata. È in questo contesto di fermento industriale e culturale che l'avidità umana rappresenta un freno fortissimo per un vero progresso collettivo. È in questo tessuto sociale ancora sfibrato che si inserisce la genesi di un paladino riluttante, che dice a se stesso che un paese civile non dovrebbe concepire l'esistenza di difensori della legge mascherati. The Lone Ranger ci mostra così come l'eroismo sia una specie di grande compromesso che da una parte eleva il singolo, ma dall'altra sottolinea le miserie di una società ha sempre bisogno di eroi. Al fianco di questa morale di fondo, crediamo che anche il personaggio di Tonto sia stato troppo sfavorito dall'inevitabile paragone con Sparrow. Accostamento dal quale non poteva che uscire con le ossa rotte. In parte anche noi pigri spettatori non siamo andati oltre quella maschera, quella patina, quell'impalcatura, perché in realtà il personaggio nascondeva un cuore tragico molto toccante. Un senso di colpa lancinante che rende Tonto una macchietta solo in apparenza, perché quel suo essere strambo è il frutto di un trauma indelebile, di un lutto che andava ancora elaborato. Rivisto con occhi sgombri da facili paragoni, Tonto ha un animo malinconico e delle insicurezze che lo rendono un personaggio completamente diverso di Sparrow. E per capire il lavoro profondo fatto da Depp, basta ricordare ha immaginato il personaggio come se stese partecipando a un film muto, in cui movenze ed espressioni bastavano a dire tutto (e fateci caso, anche i flashback della sua infanzia infelice sono quasi totalmente privi di parole). Infine, ci permettiamo di sottolineare un pregio tutt'altro che secondario, visto che stiamo parlando cinema (e quindi di linguaggio audio-visivo e immagini in movimento). Ecco a livello di messa in scena crediamo che The Lone Ranger sia una perla assoluta.
A partire da tutta la ricostruzione scenografica curata in ogni minimo dettaglio, Verbinski ha creato uno spettacolo visivo incredibile. Ogni scena d'azione travolge, coinvolge, ti immerge nel film attraverso sequenze in cui è sempre chiaro cosa stia accadendo. Con un montaggio e dei movimenti di macchina degni di un grande regista, The Lone Ranger tocca il suo apice con l'inseguimento finale tra i due treni. Una specie di montagna russa cinematografica che si sballottola tra vagoni, sparatorie, scazzottate e una colonna sonora indimenticabile. No, non temiamo di esagerare nel dire che l'ultima mezz'ora del film rappresenta una delle sequenze action più belle degli ultimi vent'anni. Ed è per questo che The Lone Ranger ci ha lasciato tanto amaro in bocca. Il suo è il sapore di un'occasione mancata, quella di una saga monca nonostante il suo enorme potenziale. Quella di un film incompreso come il suo indiano eclissato da un pirata. Quella di un'opera che si allontana malinconica verso il tramonto, come fanno i western ormai arrivati al crepuscolo.