The Leftovers nasce da un romanzo, dal suo spunto relativo all'inspiegabile e improvvisa sparizione di un certo numero di persone in tutto il mondo, ma ha proseguito il suo cammino nelle due stagioni successive in modo autonomo e coraggioso, originale e interessante, sotto la guida di quel Damon Lindelof che aveva già calamitato l'attenzione degli spettatori con Lost e dello stesso autore del romanzo di partenza, Tom Perrotta, che si è messo in gioco aiutando a sviluppare ulteriormente la storia che aveva iniziato su carta.
Abbiamo sentito entrambi per conoscere le loro idee riguardo tempi e atmosfere della serie e della stagione finale in particolare, che è attualmente in onda su Sky Atlantic. Per approfondire le scelte fatte e le libertà che la nuova televisione consente, grazie ad un coinvolgimento del pubblico diverso da quello del passato, alle discussioni e i confronti online degli spettatori che forse proprio con Lost erano nati una decina di anni fa e che permettono, oggi, di mettere in piedi una narrazione fuori dagli schemi, folle e allegorica, che chiede allo spettatore un impegno e un coinvolgimento.
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Una nuova televisione per un nuovo pubblico
Anche se non è vostra intenzione dare al pubblico tutte le risposte, questa stagione sembra affrontare alcune delle domande poste nella precedente, che possono aver confuso qualcuno...
Damon Lindelof: Si, la confusione non è mai stata nelle nostre intenzioni. La vita può creare confusione, le persone possono agire in maniera imprevedibile, strana, che non ha alcun senso, ma noi vogliamo che la gente possa identificarsi nel nostro show. Essere in uno stato di confusione perenne mentre lo guardi non è nei nostri obiettivi. Penso che alcune serie, specie quelle che stanno provando qualcosa di nuovo o diverso, devono insegnarti come guardarle. Lo show ci ha insegnato di certo come scriverlo. Guardando una serie come Legion, per esempio, pensavo "Che cos'è questo?" e solo dopo un paio di episodi il mio cervello ha realizzato cosa stava succedendo e come sarebbe andato avanti. Allora è diventato di grande intrattenimento per me, ma all'inizio ho dovuto comprendere esattamente come interpretarlo.
Parlando di Legion, che è molto surreale, pensate che il pubblico stia cambiando o che gli autori televisivi stiano chiedendo di più al pubblico, una richiesta implicita di fiducia per qualcosa che all'inizio non capiscono?
Tom Perrotta: Quello che è cambiato è che adesso c'è questa cultura di informarsi e discutere: se non capisci una serie immediatamente, puoi fare ricerche subito dopo. Puoi afferrare cosa è successo e dire "Ok, posso guardare il prossimo episodio". Prima, invece, quando non c'era tutto questo materiale a disposizione, potevi semplicemente prendere atto di non capire una serie e se la persona con la quale la stavi guardando era nella tua stessa barca, rimanevi bloccato.
Damon Lindelof: Ma c'è anche gente che dice "non è previsto che tu lo capisca!" e allora puoi anche continuare a guardare senza problemi.
Tom Perrotta: Nelle università americane non esiste più la critica letteraria tradizionale, ma un tipo di critica molto politico, un analizzare qualcosa da un certo punto di vista. Invece quello che vedi nei thread di commenti è quasi un tipo di critica tradizionale. È come una comunità di critici che si è spostata dai college per approdare a un tipo di conversazione molto elevata che ha come soggetto le serie TV. Leggendo i commenti è come leggere un corso di letteratura.
Damon Lindelof: Inoltre se stai guardando un episodio e magari sei su Twitter o Reddit e succede qualcosa che non afferri, puoi chiedere dei chiarimenti agli altri e ricevi dei link di riferimento. La possibilità di conversare in real time è una cosa nuova, nata da poco.
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Il salto temporale di 7 anni e la location australiana
C'è stato un piano fin dall'inizio di terminare la serie con una stagione collocata dopo sette anni dalla Sparizione? Un collegamento all'Apocalisse e ai sette anni di fatiche?
Tom Perrotta: Abbiamo sempre avuto in mente l'idea dei sette anni, ma non sapevamo se avremmo avuto una terza stagione e quando l'abbiamo saputo è stato un salto temporale naturale, avendone già stabilito uno precedente saltando tra la stagione uno e due. Inoltre ci porta a un finale che si avvicina allo stato mentale della gente che è convinta che la fine del mondo sia vicina, il che è molto adatto al contesto della serie.
Damon Lindelof: Apriamo questa stagione con i Milleriti, una setta del 18esimo secolo che ebbe una sezione australiana diretta da Thomas Playford, e che in seguito sono diventati gli Avvetisti del Settimo Giorno. Cosa succede quando predici la fine del mondo e poi non succede? Pensi che è praticamente la fine della tua religione. Ma questa è una cosa che succede anche con il Cristianesimo, basta guardare il capitolo dell'Apocalisse. Il mondo doveva finire durante la linea temporale delle persone che stavano leggendo i Vangeli iniziali, così quando il mondo non finisce devi improvvisare.
Quando avete deciso che vi sareste spostati in Australia?
Damon Lindelof: Come molte altre meravigliose idee di The Leftovers, è cominciata come una battuta. Poi la gente ha inziato a chiedersi se stavo facendo sul serio e alla fine tutti erano d'accordo che sarebbe successo. Questo è stato durante la seconda stagione. Austin è stato un posto grandioso per la stagione due e sentivo che l'Australia sarebbe stata altrettanto grandiosa per il finale.
C'è un che di apocalittico nello scenario australiano. È stato un fattore che vi ha aiutati nella scelta?
Damon Lindelof: È primordiale e antica, ti dà la sensazione di essere fuori dal tempo, c'è questa energia incredibile che sembra cosmica, per mancanza di un termine migliore. Penso che quello che è interessante per un anglo-caucasico è che vai in Australia e tutti parlano in inglese e pensi che siano tutti come te, ma sei molto lontano da casa, il più lontano possibile. Se vai a Tokyo sei consapevole che sei tu l'intruso. Ma la cosa sottile dell'Australia è che tu sei l'intruso ma quando ti guardi intorno pensi di essere a San Diego. Poi ti allontani per 45 minuti dalla città e ti rendi conto che potresti finire in pasto a qualcosa. Ci sono circa 80 milioni di cose che potrebbero ucciderti.
Tom Perrotta: Gli australiani si offendono a morte se ti fai ammazzare.
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The Leftovers, Kevin, Nora e Donald Trump
Ci sono molti riferimenti ai falsi profeti durante le stagioni precedenti ma sembra che ci sia un particolare accento nella nuova stagione. Con questa apocalisse politica che c'è in giro... ne avete avuto sentore quando l'avete girata?
Damon Lindelof: Direi che la parola profeta sembra riferirsi a qualcuno che divulghi saggezza, ma Kevin non è mai stato il tipo da voler fare questo. Se c'è qualcuno analogo a Kevin nelle elezioni USA è probabilmente Joe Biden, di cui tutti dicevano "devi candidarti" e lui rispondeva "nahh è meglio di no". Vorrei che qualcuno nella stanza degli sceneggiatori avesse creduto alla possibilità che Trump venisse eletto, avremmo avuto una storia leggermente più distopica, ma la verità è che eravamo tutti ottimisti sulla direzione in cui le cose stavano andando. Poi però è arrivato l'8 novembre e si è diffusa nel Paese una sensazione simile a quella della Sparizione: nel giro di due ore tutto è cambiato. Io vivo a Los Angeles dove sono tutti liberali. Sono andato a una festa dove c'erano palloncini, cibo e tutti si stavano divertendo, dopo 90 minuti le persone piangevano e si abbracciavano per consolarsi. E ho pensato "Questo mi sembra molto Leftovers", non perché ho pensato che il mondo stesse finendo, ma per quell'idea che il mondo può cambiare in un istante. Tutti i segnali erano lì e mi sono sentito così responsabile. E questa è l'altra cosa in comune con la Dipartita: c'è quest'idea che è colpa mia perché non me ne sono accorto, non ho fatto il possibile, mi sono adagiato, ho smesso di ascoltare quello che molti Americani stavano dicendo. Adesso c'è un periodo di riflessione, dolore e rabbia, ma nessuno se lo aspettava.
Tom Perrotta: il libro è stato scritto con una sorta di richiamo all'11 settembre, ma anche alla crisi economica del 2008. È difficile da ricordare ora, ma è stato un periodo spaventoso. C'era la sensazione che i risparmi della gente potessero scomparire da un momento all'altro e che ci sarebbe stato un caos economico. Durante quel periodo sono stati prodotti una serie di film e serie TV dal tono apocalittico. Penso che la gente che ha superato quel periodo e si è sentita tranquilla perché il mondo non è finito - come succede ogni volta - non si è accorta che c'è un sacco di gente per cui il mondo realmente è finito. Quello che ci spaventava, l'instabilità delle nostre vite, il non poter fare affidamento sulle cose, c'era un'enorme fetta della popolazione che si sentiva in quel modo e quelle sono le persone che hanno eletto Trump. Quindi, in un certo senso lo show è stato scritto con quella sensazione, quell'anticipazione che poi ha prodotto Trump, ma non penso fossimo consapevoli di quelle correnti implicite.
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Quello che colpisce di Kevin e Nora, in questa stagione specialmente, è la loro terribile paura di essere vulnerabili, di rivelare il loro dolore di fronte all'altro, anche se sono pronti a morire.
Damon Lindelof: Si, se questo significa non dover essere dove si trova, cioè quello che impara nel settimo episodio. Che c'è questa cosa dentro di lui che deve far uscire fuori, o che gli deve essere tolta.
Quella scena con Kevin che incontra se stesso è straordinaria...
Damon Lindelof: Justin Theroux ha fatto un lavoro davvero splendido in quell'episodio. È uno script eccentrico, prima deve leggere questo romanzo che si suppone abbia scritto, ma in realtà non ha scritto, poi lo portiamo a operarsi a cuore aperto e in seguito dà il via a una guerra nucleare. Quando dici queste cose a qualcuno ti risponde: "Di che diavolo stai parlando?". Ma quando Justin lo interpreta, viene fuori un livello di autentica emozione.
Tom Perrotta: Una delle cose che rende The Leftovers diverso dagli altri show che fanno cose bizzarre è che c'è una narrativa e un'allegoria coerente. Quando lui distrugge quel mondo, lui sta dicendo di sì a questo mondo. Sta dicendo "distruggiamo questo mondo così da non doverci mai ritornare": è un atto essenzialmente razionale. Sembra completamente folle, ma ha una sua logica.
Damon Lindelof: È come Il ponte sul fiume Kwai.