The Last of Us: il finale nasconde un significato che ci riguarda

In attesa della Parte II, in uscita il 19 giugno, ritorniamo sul primo The Last of Us analizzando il significato del finale.

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Ci sono opere che travalicano il loro medium di appartenenza: opere dove una sola parola (libro, film, disco) solitamente usata diventa troppo restrittiva per racchiuderli e descriverli al meglio. Ecco, volessimo essere sbrigativi descriveremmo The Last of Us come un videogioco, ma questo termine rende giustizia alla creatura di Naughty Dog giunta a noi la bellezza di sette anni fa? La sensazione è che l'opera di Neil Druckmann sia davvero molto di più e tutto grazie ad alcuni elementi che spesso nell'arte videoludica vengono messi in secondo piano: stiamo parlando della scrittura raffinata del racconto, del modo in cui i personaggi sono caratterizzati, ma anche delle scelte di regia (pensiamo al prologo: un perfetto cortometraggio horror con tutti gli elementi al posto giusto) e dell'impianto scenografico o fotografico. Seppur mai noiosa, la ripetitività di quello che il giocatore deve compiere, joypad alla mano, sembra più un contentino per rendere interattivo un vero e proprio capolavoro narrativo molto cinematografico, ma risulta essenziale nel momento del finale dove viene svelato un significato profondo e nascosto sull'animo umano.

Un'esperienza indimenticabile

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Stiamo parlando di un gioco quindi divertiamoci e giochiamo anche noi. Vi ricordate il giorno in cui avete finito per la prima volta The Last of Us? Vi ricordate cosa avete provato e come siete rimasti di fronte ai titoli di coda? Siamo sicuri che leggendo queste righe le immagini del vostro passato vi siano tornate alla memoria, forse un po' sbiadite, ma ben presenti. Basterebbe questo per dimostrare come The Last of Us sia qualcosa di straordinario, un'esperienza che permane nella memoria a distanza di tempo. In qualche modo il sentimento cardine del gioco si riflette fuori dallo schermo, come il morso di un infetto: durante la nostra partita esploriamo un mondo fatiscente che non esiste più, troviamo biglietti e lettere di persone scomparse in case abbandonate provando (si spera) empatia e una punta di nostalgia verso qualcosa che è passato. Tornare con la memoria alla nostra sessione di gioco di The Last of Us è la stessa cosa, significa riscoprire qualche emozione rimasta sopita dentro di noi pronta a risvegliarsi al solo ripensarci. Inevitabile come la brutale violenza del gioco, la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di straordinario è la sensazione che accomuna tutte quelle opere del mondo dell'intrattenimento che si ergono a capolavori.

Giocare il migliore film horror possibile

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Per certi versi quasi dispiace che The Last of Us sia un videogioco (almeno per ora, la serie televisiva targata HBO è in lavorazione), un'arte che non viene quasi mai considerata allo stesso livello della letteratura o della cinematografia, e una tipologia di medium che, per vari motivi - alcuni dei quali non totalmente campati in aria - allontana molte persone all'approcciarsi e al dedicarsi. Dispiace perché il gioco targato Naughty Dog è il migliore film horror degli ultimi anni, quello che utilizza il genere per raccontare la storia dell'elaborazione di un lutto, del percorso di crescita comune e incrociato tra un burbero e disilluso adulto e l'innocenza colpevole di una ragazzina. Due opposti che avranno modo, lentamente, in un mondo desolato e pericoloso, di comprendersi e aiutarsi. Certo, siamo sicuri che, anche quando giungerà sui nostri schermi la serie televisiva, il pubblico potrebbe spaventarsi e allontanarsi dal prodotto a causa della violenza brutale che caratterizza in gran parte la storia. Elemento indispensabile e imprescindibile, la violenza in The Last of Us è ciò che rende veramente la storia un racconto dell'orrore (un aspetto importante come potete leggere nella nostra recensione di The Last of Us parte II). Lontano dalla coreografia e dal senso di divertimento del genere action, troppo poco solare per pensare al viaggio on the road come un racconto d'avventura, The Last of Us indaga la brutalità dell'animo umano, il lato oscuro che si cela dentro di noi: depressione, sfiducia, senso di colpa, egoismo, impotenza. Ci sono barlumi di amore, di una potenza inaudita proprio perché rari e soppesati, ci sono momenti di gioia e meraviglia di breve durata (quanto è raffinato quel momento con la giraffa?), ma continuamente soffocati dalla disumanità sotto le sembianze di infetti mutati o sotto forma di uomini più bestiali degli animali.

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Sopportare la perdita

The Last of Us: Left Behind
The Last of Us: Left Behind

Ogni volta che ricominciamo a giocare a The Last of Us siamo costretti a rivivere, senza possibilità di saltarlo essendo parte integrante del gioco e non un filmato, il lutto di Joel, il protagonista maschile della storia. Siamo costretti ad assistere a quella notte dove il mondo cambiò irrimediabilmente, quando il caos prese il sopravvento, quando l'anarchia ebbe la meglio sulle regole e la ragione umana. È il compleanno di Joel e sua figlia Sarah attende il suo ritorno dal lavoro per regalargli un orologio. Per scherzare Joel finge che l'orologio sia rotto: ironia della sorte per lui il tempo si fermerà proprio quella notte. Nonostante ce l'abbia sempre al polso, anche a distanza di vent'anni, Joel non riesce a superare gli eventi di quella tragica notte dove sua figlia morirà di lì a poco. È ancorato al passato, come una lancetta rotta che non gira come dovrebbe (e fate caso a quante volte, nella colonna sonora, la musica sembra scandire il tempo, a volte in maniera anche irregolare), incapace di ricominciare una vita evita di parlare di quella notte che l'ha cambiato ("Una cosa l'ho capita: dal passato non si scappa" dirà più avanti nella storia). Anche noi giocatori, per rientrare nel mondo di The Last of Us, per tornare a muovere Joel, dobbiamo ripetere ogni volta quel trauma. Abbiamo anche noi l'orologio rotto al polso e ogni volta troviamo le lancette nella stessa posizione. Ripensiamo a Joel, ripensiamo alla morte di Sarah: non siamo zombie infetti, ma revenants, non-morti e al contempo mai del tutto vivi.

Perché The Last of Us è più di un videogioco, ma una storia che ci ha contagiato il cuore

"Riesci a essere il miglior papà ogni anno"

The Last of Us: Ellie
The Last of Us: Ellie

È la frase del biglietto d'auguri che Sarah dimentica di consegnare insieme all'orologio. Joel non lo leggerà mai (e anche noi giocatori, se non esploriamo accuratamente le stanze della casa potremmo non scoprirlo). Prendersi cura di Ellie, la giovane ragazzina che sembra nascondere dentro di sé la cura al virus che trasforma gli uomini in mostri rabbiosi, anche se all'inizio controvoglia e freddamente, porterà Joel a riscoprire lentamente il suo lato paterno e affettivo. In vent'anni, però, il mondo è cambiato e forse non c'è più spazio per gli affetti e i sentimenti. Quella di Joel diventa quindi una sua personale ricerca del tempo perduto, del tempo che non ha potuto passare con sua figlia Sarah. Come a dire che l'orologio funzionerà davvero, per lui, se tornerà ad essere "il miglior papà". Un'impresa vera e propria in un mondo dove villaggi trasformati in campi militari o abbandonati, cadaveri in decomposizione lasciati agli angoli delle case e dimenticati, finestre rotte e palazzi a pezzi, biglietti di addio inutilmente lasciati sul comodino, diari in cui si percepisce il fallimento quotidiano di sopravvivere, la fanno da padroni. Come si può essere un buon padre in un mondo dove la bestialità in tutte le sue forme regna sovrana, come si può educare una figlia se mancano quei valori educativi essenziali su cui poggiare la crescita della persona? L'unica soluzione è mentire.

L'ambiguità di un finale straordinario

The Last Of Us

È coerente che nella rappresentazione di un mondo senza certezze, il finale della storia sia a sua volta ambiguo. Ellie viene catturata dalle Luci che vogliono estrarle dal cervello il fungo che porterà poi a un vaccino e all'unica salvezza dell'umanità. Quest'operazione chirurgica causerà, ovviamente, la morte di Ellie e Joel non può sopportare un'altra figlia morta (poco prima dell'ultima sezione di gioco, nel filmato d'intermezzo in cui i due vengono catturati dalle Luci, sembra di rivedere e rivivere gli ultimi momenti di vita di Sarah). Decide quindi di salvarla, rinnegare tutto il viaggio verso quell'obiettivo e continuare a vivere condannando di fatto l'umanità. Come giocatori siamo costretti a uccidere le guardie armate per salvare Ellie, ma anche a premere il grilletto contro i medici innocenti che la stanno per operare (e siamo sicuri che in quel momento la scelta di premere il tasto sia stata la più difficile di tutto il gioco). Proviamo sollievo perché ci sentiamo legati alla ragazzina e la vogliamo vedere crescere, ma sentiamo anche un senso di disagio nel sapere che abbiamo volontariamente rinunciato a una cura. L'ultimo dialogo tra Joel ed Ellie è emblematico. Joel racconta (mentendo) che le Luci li hanno lasciati andare: esistono molte persone immuni al virus e che non sono riusciti a estrapolare un vaccino. Ellie finalmente si confessa a Joel: prova un enorme senso di colpa nell'essere sopravvissuta e aver visto la sua migliore amica morire sotto ai suoi occhi. Forse Ellie sarebbe stata disposta a sacrificarsi per salvare l'umanità intera. Joel è costretto a mentirle ancora una volta nascondendole il fatto che le ha salvato la vita per puro egoismo. Senza Ellie, nonostante il mondo sarebbe cambiato, Joel avrebbe perso tutto (di nuovo). Lo sguardo finale di Ellie (quanto bisogna essere folli e consapevoli della propria opera per chiudere in maniera così cinematografica, puntando tutto sulla grafica, un videogioco?) sembra tradire, con il suo "Ok", la conoscenza della verità.

Il significato che ci riguarda

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Mentire o essere sinceri? Pensare a sé stessi o essere altruisti? Continuare a sopravvivere con l'ansia e la paura o voler cambiare il mondo in un posto migliore? Quante domande ci pone questo incredibile finale di questo incredibile gioco. Più di un film nel quale siamo spettatori passivi, la forza narrativa sospesa di quell'ultima inquadratura ha tutto un altro sapore avendo attivamente partecipato ai movimenti e alle decisioni dei personaggi. Riusciamo a capire l'egoismo di Joel o lo condanniamo? Ellie avrà capito la verità o crede alla bugia raccontata (forse la Parte II ci darà una risposta certa a questa domanda)? Non viviamo in un mondo post-apocalittico e non facciamo un uso così brutale e massiccio della violenza ma spesso abbiamo a che fare con gli stessi dubbi anche nella vita quotidiana: mentire per mantenere il quieto vivere o per tirare su di morale la persona a cui vogliamo bene, è giustificato rispetto al raccontare la verità? Pensare di più al nostro benessere personale sacrificando un bene comune è più accettabile? Quando per la prima volta impersoniamo Joel e dobbiamo prenderci cura di Ellie, questa ragazzina un po' irrispettosa che sta causando solo problemi (per tutto il gioco è come se dovessimo proteggerla come dei babysitter rischiando la vita per lei), procediamo controvoglia. Ellie, durante le prime ore di gioco, è un peso di cui non vediamo l'ora di liberarci per tornare a una routine quotidiana miserabile ma pur sempre sicura. Rompere questa catena di sicurezza e spingersi nell'ignoto con tutti i rischi e le paure (ecco qui un altro bell'elemento del genere horror perfettamente inserito nel racconto) vale la pena? Più si procede con la storia, grazie anche ad alcuni colpi di scena, instauriamo un legame affettivo fortissimo con i due personaggi che iniziano a prendersi cura l'uno dell'altro. Sono virus e vaccino reciproci, sono un microcosmo che inizia a funzionare grazie a un legame a volte altalenante.

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Qual è il significato di quello sguardo finale? Come in tutte le grandi opere narrative, l'ambiguità e l'assenza di risposte certe rendono il finale personale e quindi indimenticabile (ricordate come abbiamo iniziato questo approfondimento?), rendono The Last of Us un'esperienza che indaga ciò che siamo e l'umanità (o la disumanità) che ci portiamo dentro o una profonda analisi sul nostro lato oscuro individuale. Così come possiamo scegliere se scontrarci continuamente coi nemici o evitarli usando un approccio stealth, così come possiamo scegliere se farci carico emotivamente delle storie di persone morte che hanno lasciato fotografie appese ai muri delle loro case o procedere rapidamente verso gli obiettivi che la storia ci prefigge di raggiungere, così possiamo scegliere se credere alle ultime parole di Joel, se restare spaventati dal mondo brutale e godere di quei pochi attimi di luce o affrontare una nuova vita, a caro prezzo, come l'orologio che Sarah regala al padre.